Corriere della Sera, 9 luglio 2019
L’astronauta africano non volerà
Resterà per sempre l’Afronauta, il «ragazzo dello spazio». Mandla Maseko, morto sabato sera in un incidente di moto, era il primo africano destinato a volare oltre l’atmosfera. Quei soprannomi, e il posto sulla prima navicella disponibile, se li era guadagnati tra un milione di aspiranti cosmonauti. E rispetto agli altri candidati, giunti al Kennedy Space Centre in Florida per la selezione finale un giorno del 2013, era come se lui arrivasse già dalla luna: un giovane dj cresciuto ai margini di Pretoria, a Mabopane, una di quelle township dove al tempo dell’apartheid i bianchi segregavano i neri. E nella foto di gruppo fatta all’Accademia Spaziale, accanto al canuto Buzz Aldrin veterano della prima missione lunare, tra i 23 fortunati l’unico africano era proprio lui, Mandla. Normale che in patria l’avessero subito ribattezzato Spaceboy: scelto in mezzo a un milione di concorrenti, aveva superato pure due connazionali bianchi sulla carta più quotati, un quarantenne ingegnere esperto in simulazioni di volo e un appassionato di immersioni con gli squali. In confronto Maseko era un pantofolaio, come lui stesso aveva raccontato: un giorno era sdraiato sul divano quando aveva sentito l’annuncio alla radio. Cercavano qualcuno che volesse andare nello spazio. Il primo passo era spedire una propria immagine in volo: «Mi feci fare una foto mentre saltavo da un muretto alto due metri».
Ecco, la storia dell’Afronauta è cominciata con quel salto. Per questo sembra ancora più beffardo il destino di morire a trent’anni, senza il tempo per il grande balzo. È possibile, forse probabile, che nello spazio Spaceboy non ci sarebbe andato comunque. Il lancio della navetta Lynx era previsto per il 2015. Ma quell’ora di viaggio cosmico, da Mobapane fin quasi alla luna, fu rinviato sine die. Problemi tecnici, guai economici. Nel 2017 l’azienda XCor Aerospace fallì, e i pezzi del Lince andarono a una ong che si occupava di formazione.
Fisico eccezionale
Si era lanciato da 3 mila metri ed era stato il più bravo sulla «vomit comet», il simulatore
Questo inghippo, questo contrattempo, non aveva fermato la missione di Mandla Maseko. Era entrato nell’esercito, si era addestrato privatamente come pilota, teneva conferenze motivazionali e dalle parti di Johannesburg c’è una scuola di specializzazione che porta il suo nome. Anche restando a terra, ce l’aveva fatta. Anche lui nel suo piccolo, First Man: il primo africano a sudarsi un biglietto per lo spazio. E non era stato uno scherzo. Si era buttato con il paracadute da 3 mila metri, era stato il più bravo sulla «vomit comet», una stanza dove il pavimento scompare simulando i vuoti e gli sconquassi di quando un razzo ti spara nello spazio. Da un milione di aspiranti da tutto il mondo, erano rimasti in 109. Altri test, altri voli a gravità zero. Finché in una sala gremita qualcuno all’altoparlante pronunciò il suo nome. Mandla lo raccontò in prima persona alla Bbc. «Voglio che i bambini lo sappiano: se ce l’ho fatta io, tutto è possibile». Per la prima missione aveva pensato subito a cosa portare: la bandiera arcobaleno del Sudafrica, una canzone di PJ Powers e Ladysmith Black Manbazo che dice: «If I win, lose or draw, it’s victory for all». Comunque vada, «è una vittoria per tutti». Aveva raccontato di sua madre, che quando lui tornava da un colloquio di lavoro andato male lo consolava: «Non preoccuparti, qualcosa di più grande ti aspetta». E quando poi avevano scelto lui tra un milione di nomi, lei aveva sorriso: «This is big», questa è davvero grossa.
Sono passati anni e di lui si erano perse le tracce. Non fosse stato per quell’incidente di moto, la sua storia sarebbe stata dimenticata? Forse è esagerato cantare che «la sua morte è una perdita per tutti». Ma con il suo strano viaggio, cominciato con un piccolo salto di due metri, Spaceboy ha regalato un sorriso all’umanità.