La Stampa, 8 luglio 2019
Da domani ci sarà a Roma una strada intitolata al magistrato Vittorio Occorsio, che avrebbe 90 anni se alle 8,30 del 10 luglio 1976 non avesse trovato ad attenderlo sotto casa, in via Mogadiscio, Pierluigi Concutelli, capo militare di Ordine Nuovo, e due raffiche di mitra
Da domani ci sarà a Roma una strada intitolata al magistrato Vittorio Occorsio, che avrebbe 90 anni se alle 8,30 del 10 luglio 1976 non avesse trovato ad attenderlo sotto casa, in via Mogadiscio, Pierluigi Concutelli, capo militare di Ordine Nuovo, e due raffiche di mitra. La prima frontale, attraverso il parabrezza della Fiat 125 a bordo della quale andava in tribunale nell’ultimo giorno di lavoro prima delle ferie. La seconda da vicino, mentre tentava di fuggire. In strada trenta bossoli.
Sul corpo volantini intestati Movimento Politico Ordine Nuovo con il simbolo dell’ascia bipenne: «La giustizia borghese si ferma all’ergastolo, la giustizia rivoluzionaria va oltre. Anche i boia muoiono».Occorsio aveva 47 anni, una moglie e due figli. Undici convulsi processi hanno consegnato una verità parziale: condannati gli esecutori materiali, non i mandanti.
Sebbene la sua uccisione sia un tornante della storia italiana, Occorsio fu inizialmente illuminato da una memoria intermittente, parziale e in un certo senso imbarazzata. Ciò perché, come ha scritto l’attuale procuratore generale di Roma Giovanni Salvi, «il suo impegno fu anche controverso, in una stagione di forti divisioni».
Il Csm ha pubblicato gli atti giudiziari e professionali che lo riguardano. L’Anm lo ha ricordato nell’ambito della mostra fotografica «Le rose spezzate» che raccoglie fotografie familiari di magistrati ammazzati. Il caso Occorsio ancora parla. Di cultura conservatrice, Occorsio è soprattutto un magistrato con uno spiccato culto dell’indipendenza. Perciò «volta a volta viene indicato dalla stampa come “di destra” o “di sinistra"», scrive Gianni Oliva nel recente volume Anni di piombo e di tritolo (Mondadori).
Nel 1967 manda a processo Eugenio Scalfari e Lino Jannuzzi per gli articoli dell’Espresso su Piano Solo e dossieraggi Sifar. Ma alla fine del dibattimento, convintosi della veridicità delle rivelazioni, chiede – inascoltato dal tribunale – l’assoluzione dei giornalisti e la messa in stato d’accusa del generale golpista De Lorenzo.
È il primo magistrato a occuparsi delle bomba del 12 dicembre 1969. Incrimina Pietro Valpreda, ma evidenzia anche le infiltrazioni neofasciste nel circolo anarchico XXII marzo. Nel 1973 processa 42 esponenti di Ordine Nuovo e consente al ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani di sciogliere l’organizzazione neofascista nonostante i dubbi di Moro e Rumor.
Rotto il patto occulto tra Stato legale, Stato parallelo ed eversione di destra, Occorsio collega neofascisti e criminalità organizzata romana e milanese e individua per primo la P2. Per questo diventa un bersaglio. Ma a dispetto delle minacce sui muri della Capitale, gli viene tolta la scorta un mese prima del delitto.Inviso alla destra, si aliena anche la benevolenza della sinistra, compresa quella giudiziaria. Pochi giorni prima della strage di piazza Fontana arresta, processa e fa condannare per apologia di reato e istigazione a delinquere Francesco Tolin, direttore responsabile di Potere operaio. Che protesta: «Primo processo di regime, sentenza da capitalismo maturo».
Il 30 novembre 1969 Magistratura democratica si riunisce a Bologna e denuncia «un disegno sistematico» fondato su «provvedimenti intimidatori» che «mettono in pericolo della libertà costituzionale di manifestazione del pensiero». Il documento provoca una scissione e le dimissioni di Occorsio dall’Associazione nazionale magistrati, per protesta contro l’ingerenza nella giurisdizione.«Uno strappo improvviso e insolito» lo definisce Salvatore Satta sui Quaderni dei diritto in un saggio intitolato «Magistratura e Costituzione». I dirigenti dell’Anm provano a rifugiarsi nella teoria dell’equivoco, ma altre dimissioni seguono. Satta scrive di una «batracomiomachia tra magistrati, non diversamente del resto da tutta la battaglia politica o pseudopolitica del nostro Paese».
L’insigne giurista e scrittore riserva a Occorsio «tutte le mie private simpatie», ma gli dà torto perché la censura dell’Anm non rappresenta una deviazione ma un’applicazione dell’ideologia che la ispira. «Le leggi di un’associazione, qualunque essa sia, dalla mafia ai partiti alle associazioni di beneficenza, devono essere osservate da chi vi aderisce – scrive Satta-. Il mio spirito calvinista arriva a ritenere che non è nemmeno lecito uscire dall’associazione: ci si deve pensare prima».
Sul filo del paradosso, Satta spiega che Occorsio è «un traditore» perché ha «portato sul banco degli imputati un martire del “libero pensiero”, cioè del comune pensiero dell’associazione». Lo fa per porre la questione della legittimità costituzionale dell’associazionismo tra magistrati, «di qualunque tinta e di qualunque colore», che impone loro la soggezione a un vincolo diverso da quello della legge. «Tra il giudice e la legge – spiega – s’inserisce un’altra “legge”, quella dell’associazione». Agli «slogan parapolitici» e alle obiezioni «dei molti amici giudici che strilleranno come aquile», Satta oppone la paradigmaticità del caso Occorsio.
Molti anni sono trascorsi e la questione è stata risolta nel senso della legittimità dell’associazionismo giudiziario. Ma mai come in giorni di scandali e trame degne di un’omerica guerra tra topi e rane suona attuale il monito con cui Satta chiude il suo saggio: «I giudici hanno solo un modo di concorrere ad attuare la Costituzione ed è quello di operare – e bene – nell’interno della loro funzione. Questo è il vero problema, difficile da risolvere».