Corriere della Sera, 8 luglio 2019
Viaggio alle origini del Male
Ho sempre pensato che Edoardo Boncinelli, il più importante genetista italiano, potrebbe fare – magari anche in qualcuna delle nostre chiese così spesso in rovina – delle splendide omelie. Del predicatore, come lo si intendeva una volta, Boncinelli ha le qualità necessarie per irretire qualunque assemblea e imporre il silenzio assoluto: conosce molto bene ciò di cui parla; parla, come pure scrive, sospinto da un empito profondo, da un sincero amore nei confronti dell’argomento che sta trattando; trasferisce questo amore a chi lo ascolta (o lo legge) con le intenzioni che possono venire da un padre o un fratello maggiore; finalmente, quando è al culmine delle sue certezze, lascia intendere, o dice onestamente, quanti sono i dubbi, quante sono le altre verità che, a lato di queste certezze limpide e incontrovertibili, lasciano uno spazio meno limpido o addirittura oscuro. La lettura de Il male. Storia naturale e sociale della sofferenza (il Saggiatore), e cioè di uno dei suoi libri capitali rivisto e completato dopo molti anni, me ne ha ulteriormente convinto.
Esiste il Male? E, se esiste, in cosa consiste? Nella natura, il Bene e il Male hanno una qualche ragione d’esistere, oppure no? Il Male nasce con l’uomo? Perché, se Dio esiste, permette il Male? A queste domande Boncinelli – che non crede in Dio e neppure in una trascendenza – risponde muovendo del dolore: «Prima o poi – scrive – qualsiasi avversità finisce di procurarci dolore e dall’esperienza del dolore parte ogni considerazione del male nel mondo». Il dolore può essere o un dolore fisico proveniente dall’esterno o dall’interno del nostro corpo, acuto o persistente; oppure può essere un dolore psichico, vale a dire un dolore che appartiene al grande capitolo delle emozioni. Il nostro corpo è esposto alle ferite esterne, si deteriora e si ammala; viviamo in un continuo bagno emozionale dovuto alle infinite sollecitazioni del mondo; siamo, insomma, un groviglio di sensazioni fisiche, di dolori fisici e di dolori psichici, di emozioni, di paure; siamo una ghirlanda di sentimenti disperati o stupendi, amiamo le persone o le cose: ma tutto questo, anche quello che taluni definiscono Inconscio, sostiene Boncinelli con l’afflato persuasivo e pacificante dello scienziato, fuori del corpo non esiste. Avviene dentro il corpo, ed è l’individuo. Il suo dominus è nel cervello: la corteccia cerebrale, e cioè il terminale dei circuiti nervosi, il luogo della cognizione, quello della memoria e dell’ordine. Dunque, il nostro Io.
È inquietante, e insieme in qualche modo grandiosa, nei limiti della sua precaria perfezione, la visione che lo scienziato ha dell’uomo, al quale, in quanto dotato di ragione affida il proprio destino, e al quale in quanto uomo libero nella maggior parte delle circostanze, fa carico del Bene e del Male compiuto, nonché delle scelte che può fare in piena responsabilità, nell’ambito della vita collettiva o della bioetica, per esempio. Ed è estremamente interessante il discorso che, a questo proposito, il moralista Boncinelli, sì vivaddio: il moralista Boncinelli, fa a proposito delle diversità che esistono fra i vari individui (che esistono e sarebbe stolto non riconoscere, ma bisogna accettare), sulla abborrita «normalità» (che esiste, è un fatto statistico), nonché su tutte le idiozie che per contro ci vengono propinate dai cultori della razza(dal momento che le razze non esistono, nasciamo e siamo tutti uguali: solo la cultura e l’educazione producono quelle diversità che dobbiamo accettare).
Ma, cosa accade quando ci troviamo dinnanzi all’idea della perdita e alla morte? Qui, i toni dello scienziato Boncinelli, che pure non recede di un millimetro rispetto alla sua posizione laica, si fanno sofferenti. Ricordano, per intensità, quelli del Sermone XXVI sul Cantico dei cantici di san Bernardo tradito fino al pianto dal dolore per la scomparsa di un confratello, Gerard. «Qualcosa dentro di noi – scrive Boncinelli – si ribella all’idea che con la nostra morte sia tutto finito. La ricchezza della vita non può cedere al nulla eterno. Ogni perdita lascia una traccia profonda nel nostro cuore! La sensazione che l’accompagna è così viva e devastante da mettere a dura prova la convinzione che alcuni, come me, hanno che tutta la vita emotiva sia riconducibile alla comunicazione tra cellule nervose appartenenti a circuiti neurali specifici e in ultima analisi a un gioco ben orchestrato di molecole». Eppure, per lui, non c’è scampo: «dopo» non esiste nulla. Dio, come la vita futura, gli uomini lo hanno inventato per ribellarsi ai «morsi del dolore» che seguono la morte, alla sensazione che in ogni ora di ogni giorno ci accompagna di «decurtazione, di paradiso perduto, di slancio smorzato, di sinfonia interrotta».
Di cosa si tratta? Cos’è questa sensazione di vuoto, di lontananza incolmabile, in definitiva di «privazione» che a volte ci sorprende? Cos’è questo Male originale e assoluto? Grande estimatore di sant’Agostino, Boncinelli assume per un momento – come Agostino – che Dio esista e sia un Dio creatore. In quanto creature, noi non possiamo per definizione essere identici al Creatore, qualcosa ci manca. Abbiamo insomma una privatio boni, un difetto di Bene che è il Bene infinito senza specificazioni: il marchio d’origine del Peccato originale. Se, invece, un momento dopo, pensiamo che ci siamo inventati l’idea di Dio (ed è questo che pensa Boncinelli), l’argomento decade. Siamo soli. E, sulla terra.
«La vita umana è uno scandalo», scrive in questo affascinante libro, colmo di suggestioni e suggerimenti, Boncinelli. Potremmo sommessamente aggiungere, forse, che un secondo scandalo è l’incarnazione di Dio (per chi ci crede) nell’uomo. Vale a dire, aver colmato il Male assoluto, quel difetto di Bene, nel Figlio. E cioè in una figura umana: Dio, in un essere riconoscibile. Negli uomini. Negli altri. Che dobbiamo amare, e rispettare, come il Bene assoluto.