Corriere della Sera, 8 luglio 2019
Il tesoro del Chapo
La procura federale americana vuole mettere le mani sulla cassa del Chapo: con un atto ufficiale ha chiesto che il boss del cartello messicano di Sinaloa consegni 12,6 miliardi di dollari. Una stima al ribasso, hanno precisato i magistrati, convinti che ne abbia accumulati molti di più.
Ma il padrino è davvero così ricco? O meglio, è in possesso di tutto questo denaro? I legali negano, quasi piangono miseria, ricordano – come se Joaquin Guzman fosse un qualsiasi cittadino – che ha sempre avuto spese enormi di gestione. Un esempio? Un gruppo di spie costava 800 dollari di stipendio alla settimana per il capo locale e 40 per i sottoposti. Uno schema che se moltiplicato per dozzine di località significa uscite considerevoli. E poi El Chapo ha sempre vissuto da clandestino, latitante in una serie di appartamenti e fattorie dove il lusso era secondario. Niente zoo privati, colonnati o stravaganze. L’unica cosa importante era una galleria per fuggire.
Alcuni esperti hanno contestato le valutazioni delle autorità statunitensi. A loro dire sono dati con poco fondamento. Inoltre il boss era parte di un network con altri personaggi, alcuni ancora fuggiaschi e magari veri detentori del potere. Non è detto che sappia le coordinate del tesoro. Le sortite dei procuratori, però, hanno fatto breccia. Come non ricordare che il senatore del Texas, Ted Cruz, ha proposto di usare i soldi del narcotrafficante per finanziare la costruzione del muro al confine con il Messico. Però gli investigatori dovevano trovarli e non ci sono riusciti. Magari avranno miglior fortuna con qualche collaboratore del capo: in cambio di una riduzione di pena potrebbe dare indicazioni utili.
Gli inquirenti speravano di fare lo stesso con Guzman applicandolo regole ferree di detenzione, quelle in vigore al Metropolitan Correctional Center di New York, la piccola Guantanamo. Il bandito è rinchiuso in una cella cinque metri per tre, con la luce sempre accesa. Da qui può uscire solo una volta al giorno, per un’ora. Gli avvocati, invocando ragioni mediche, hanno chiesto misure meno severe. Richiesta respinta insieme a quella di un nuovo processo. Per ora nulla cambia, il 17 luglio il tribunale annuncerà il destino per El Chapo, già riconosciuto colpevole. Tutti danno per scontato l’ergastolo. Magari il condannato, angosciato dalla prospettiva di un’esistenza da sepolto vivo, accetterà di cooperare, ma non è detto che sappia le coordinate del tesoro.