Libero, 8 luglio 2019
Vita da camionista (donna)
Bebeep bepeep… Le tre meno dieci. Il gesto istintivo di spegnere la sveglia e mandare tutto all’aria, ma c’è un donnino di un metro e sessanta e 50 chili di peso che mi scruta sulla porta della stanza. Indossa jeans e maglietta bianca, ha legato i capelli in una coda composta, si è persino truccata gli occhi. «Non vorrai dormire adesso», dice. Praticamente una sentenza. Martedì mattina di inizio giugno. Ma potrebbe essere febbraio o anche settembre, perché la vita della camionista è maledetta e comincia sempre a quest’ora. Fa ancora buio nella campagna di Ponticelli, frazioncina composta e rurale di quella cittadina stramba che è Imola, anche se l’aria è tiepida e i primi uccellini azzardano due note. Non va giù niente nello stomaco, neanche un caffè caldo. Nel cortile davanti alla casetta con le siepi addomesticate, la vite che gioca coi filari e i fiori rossi infilati nei vasi, c’è il camion di Stefania Bartolini, un gigante di 15 metri modello Scania R500. Sul vetro anteriore si accende un’insegna rossa come quelle delle vetrine a Natale, c’è scritto Stefania a caratteri cubitali, e che sia chiaro a tutti chi comanda da queste parti. Comincia il viaggio. Salire su un camion è come arrampicarsi su una collina scoscesa, o fai la falcata giusta o caramboli giù. La cabina è una stanza che ti inghiotte e accudisce. Un metro dalla testa al tetto stando in piedi, due sedili imponenti con i draghi che sputano fiamme sullo schienale, una pila ordinata di cd e un nastrino rosso che pende dal volante. Ci sono anche le tendine color panna e un acchiappasogni indiano che svolazza tra i sedili, ho letto che nelle antiche tribù lo mettevano sulle tende dei capi famiglia che facevano bene il loro mestiere. Sembra un salotto. Invece è la cabina molto poco romantica su cui si macinano metri di lurido asfalto. Dobbiamo muoverci. Stefania ha la cadenza e il sorriso solare della Romagna: 52 anni e 33 passati su un camion. «Mio papà guidava la ruspa, mio cugino è campione mondiale di moto… A 9 anni rubai il motorino all’amico del nonno che era venuto a trovarlo. A 18 anni ero già sul camion agricolo e scaricavo cassette di patate e cipolle da 22 chili l’una e neanche un santo e un muletto a cui votarsi. Ho guidato anche il camion dei rifiuti, percorrevo le stradine di Imola e tornavo a casa la sera con l’olezzo di immondizia nel naso». Esperienza anche quella, «in fondo sono nata per guidare».
SENSO DI LIBERTÀ
Imbocchiamo l’autostrada. Destinazione Gatteo sul Rubicone, dobbiamo mollare il primo carico. «Bisogna far presto», dice. «Si entra due alla volta e se arrivi ai cancelli del magazzino settimo oppure ottavo non scarichi fino alle 9.30 e non riparti prima delle 10.30». La strada è libera e fila via come un olio. La visuale è straordinaria, l’altezza inebria, «lo senti il rumore del motore?». Comincio a sentirlo e a capire il senso di libertà. Possedere la strada... una prospettiva insolita per una vita normale. A Gatteo non siamo più sole. Mostri simili al nostro si sono messi in fila davanti al magazzino che non ha ancora aperto, uno prova a passarci davanti, «ehi bello, non fare il furbo che tocca a me» gli grida Stefania. «Cosa hai detto?» ci sbriciola con lo sguardo un omaccione alto e grosso tre volte noi. «Dai che hai capito…». «Il segreto è farsi rispettare e io sono una che mette soggezione. Mi chiamano il carabiniere...». L’attesa è lunga. Oggi si chiacchiera, ma a volte ci sono solo silenzio e zanzare e non resta che leggere i giornali e guardare internet. Domanda ingenua: «Hai mai paura di essere rapinata? O che qualcuno ti aggredisca?». In fondo è ancora notte, qua fuori. «Ma no… E poi c’è quella». Quella è una mazza da baseball color del miele nascosta sotto il sedile del passeggero. «Un tempo portavo il coltello ma è considerato un’arma, allora ho ripiegato sulla mazza». E l’hai mai usata? «No, anche perché le strade sono molto pattugliate». Oggi scarichiamo banda stagnata: da vocabolario, un sottile foglio di acciaio rivestito sui lati da stagno. In gergo comune, solo la latta delle scatolette di tonno. E mi va di lusso. Perché se è giorno di vasca, si sta sul camion e si manovra un telecomando – su e giù come i canali della tv – che alza e svota un vascone pieno di merce. Non si scende, non si sale, non si fatica, ci si annoia a morte e si aspetta la carta bollata. Ma se c’è la centina è tutta un’altra storia. Piacere puro, fa intuire Stefania. E prova a spiegare in dieci minuti di chiacchiere e cadenza romagnola che con la centina (una grossa copertura per autocarri) ti diverti perché c’è sempre da fare, ci sono ganci, stecchi, piantoni, si carica e si scarica. Sicura che ci riusciamo? «È un gioco da ragazzi, pensa che un tempo lavoravo dentro bancali con sacchi da 12 quintali l’uno».Saluto di rito ai magazzinieri di Gatteo, sono molto gentili, e non è questione di galanteria o formalismi, qui siamo tutti uguali anche se di donne se ne vedono poche. «Come stai Stefania?». Lei risponde con un cenno. «Sono un tipo selvatico» mi spiega. Va bene così. Quel po’ di burocrazia che c’è da smaltire e comincia il grosso del lavoro. Stefania si muove rapida e decisa. Apre la centina, toglie stecchi e piantoni, slega i cricchetti con le fasce, finalmente arriva il muletto e scarica. Si richiude la centina, si rimettono i piantoni e gli stecchi e si corre alla pesa, poi bolla e via. A casa sua Stefania è praticamente un’eroina, l’ortolano e poi il tabaccaio la vedono ogni giorno e le dicono sempre la stessa cosa, «ma come fa un donnino come te a guidare un camion così?». Anche la finanza una volta l’ha fermata fuori dall’interporto, «ahhhhh peròòòò, una donna alla guida». Una donna, appunto. E nemmeno un incidente in 30 anni di servizio.
MARITO E DUE FIGLI
Stefania ha un marito camionista, conosciuto tra un carico e l’altro. Ed è una splendida mamma. Lo dico adesso senza troppe manfrine, perché l’essere mamma non ha influito per niente sulla sua vita professionale: «A 24 anni avevo già il mio primo figlio, mia mamma che non è mai stata d’accordo su questo mestiere, perché non è da donna e perché le mie amiche lavoravano in ufficio o facevano le infermiere, mi portava ogni due ore il bimbo da allattare... Manuel aveva 29 giorni e io ero già sul camion». Con la seconda figlia Sonia – «una fighettina adorabile di 14 anni che non farà mai la camionista»- è andata meglio, due anni di stop ma alla fine il marito camionista (il loro è un sodalizio favoloso di amore e motori) mi ha detto «sali sul tir perché sei intrattabile». Una cosa che fa male da mamma? «Non poter esserci i primi giorni di scuola… E sentirmi dire da mia figlia: non puoi fare un lavoro normale? Ma cerco di essere a casa tutte le sere, e il telefonino è la nostra salvezza». Nove e tre quarti, abbiamo battuto ogni record. Lo Scania rugge che è un piacere ma il traffico arranca in mezzo alle auto, un occhio al cruscotto, il limite è 80 noi sfioriamo i 90. Ho sempre temuto i camion in autostrada, oggi temo le auto che sfrecciano tra le ruote del tir come pedine impazzite. «Qualche tempo fa ho rischiato il botto», dice Stefania: «Si è staccata la marmitta, ho messo le quattro frecce, ho accostato sulla corsia di emergenza e mentre le macchine mi correvano accanto sono andata sotto il camion per agganciare la marmitta». La guardo stralunata e mi immagino io al suo posto. Paralizzata, di marmo, in preda al panico. Ci fermiamo in autogrill. Due passi per sgranchire le gambe e bere il caffè che avrei vomitato all’alba. I camionisti si annusano e si capiscono al volo. Un tipo strambo indossa zoccoli con la pelle di mucca. Un altro scende da un camion con su scritto “rombo di tuono”. I più arroganti sono quelli dell’est Europa, «mi guardano con supponenza perché sono donna e guido il camion». I più gentili i siciliani, sempre galanti, sempre garbati, ti offrono il caffè e guai se tiri fuori un euro. Ma donne ne incontri? «Qualche camionista tedesca. Italiane pochissime. E a dire il vero sono meglio gli uomini delle donne». Si risale, imbocchiamo la strada Adriatica diretti al porto di Ravenna alla mitica Yara, un sito di 23 ettari nella zona industriale, cemento, merce accatastata, stradine dove si suda e si sgobba, un angolino di Italia brulicante e produttiva. Scherzo un po’,«mi aspettavo più casino sul tuo camion». «Sono un tipo ordinato... Sai qual è il complimento che mi piace di più? quando mi dicono che faccio un lavoro da maschio ma ho conservato la mia femminilità».
CARICO E SCARICO
La trafila burocratica è più lunga di quel che si pensi. Seguo con gli occhi Stefania come un bambino arranca dietro alla maestra. Prima in portineria, dove consegna il badget poi nel gabbiotto che registra l’entrata. Stefania ha un patentino suo con Adr che è l’autorizzazione per il trasporto di merce pericolosa. Sudore freddo, «oddio, cosa trasportiamo????». «L’urea, ma tranquilla, è un composto chimico dei concimi». Arriva l’ok per le operazioni e lentamente un muletto meraviglioso e fortissimo carica 22 sacconi con 12 quintali di concime l’uno sul camion. Chiusura, paletti, piantoni, stecchi. Si riparte. L’autostrada è affollata dalle prime partenze. Aria calda e pesante. Il cb (la radio dei camionisti) è acceso e gracchia all’improvviso. C’è voglia di cazzeggio: «Hai visto la biondina sul camion?». La biondina è Stefania che sorride ma gira subito. «Fanno gli scemi, qualche battutina ogni tanto, ma li rimetto subito a posto». E se trovi qualcuno con cui scambiare due parole cerchi una frequenza libera e chiacchieri in tranquillità. Come disse un amico un giorno, il social dei camionisti solo di una vita fa. Il grosso del lavoro è fatto. Imbocchiamo la Romea poi si esce a Cotignola di Ravenna, un tratto di autostrada fino all’interporto di Parma. Che ora si è fatta? L’una, forse le 14. Sono dieci ore che siamo in giro. Oddio, c’è una fila mostruosa. «Una volta ho aspettato due ore. Dipende dai treni, devono caricare la merce per la Svezia». Noi dobbiamo scaricare concime e caricare di nuovo lo stagno. Dì la verità, quanto guadagni? L’impresa è tua…. «Dodicimila euro al mese, la metà se ne va in tasse, poi 1800 euro di gasolio, l’autostrada, i bollettini Inps ogni tre mesi, il bollo. E un giovane che inizia il mestiere spende almeno 6mila euro per la patente C e D... Ma tra due anni vado in pensione». Quindi smetterai? «Neanche per sogno, se sto troppo a terra impazzisco». Come la gente di mare, che se non prende le onde si spegne. E viene la nostalgia canaglia anche qui. Vedi i camion da lontano e vorresti essere là sopra, come quella volta sulle strade del Trentino, «il viaggio più bello», l’area frizzante e la vinaccia da portare in giro per fare una grappa buona. Là sopra, con la strada sporca che taglia in due la notte, le lucine rosse sulla vetrata, l’acchiappasogni e quel senso strano di libertà e solitudine. Dai, che in fondo siamo qui in attesa. E la casa ancora lontana. P.s. Sono più di duemila le camioniste in Italia e dicono che per tutte sia lo stesso: il rombo del motore, la magia della strada…