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 2019  luglio 08 Lunedì calendario

Il Memoriale di Angela da Foligno

Angela da Foligno non è conosciuta dal pubblico vasto e minimo: in apparenza non ha devoti e fedeli; ma è la più grande santa italiana, come scriveva Giovanni Pozzi. Alle sue spalle stavano Francesco, Chiara, Bonaventura da Bagnoregio. Il volume V della Letteratura francescana. La mistica, che la presenta (Fondazione Lorenzo Valla, Mondadori), è curato con grandissimo scrupolo ed esperienza, da Francesco Santi e da Daniele Solvi, che ha studiato anche Margherita da Cortona.
Il testo fondamentale di Angela è il Memoriale, di cui si era già occupato Enrico Menestò. Non dobbiamo dimenticare un capolavoro, che influenza tutto il tardo Medioevo: Sulla natura dell’universo di Giovanni Scoto, pubblicato nella stessa collana, a cura di Peter Dronke. Le fondamenta del Memoriale sono una ferrea certezza, che si trasforma in una dolcezza ugualmente intensa. «Tu sei me ed io sono te». Angela ascolta queste parole di Dio, dopo aver scoperto di essere non-amore. Il libro che conosciamo, a cui un frate ha collaborato, è scritto in uno stupendo italo-umbro, che non evita l’esagerazione e quella esasperazione che distingue i grandi scrittori religiosi. I temi sono la conoscenza del peccato: il rimorso: la castità, la confessione, la penitenza, il riconoscimento della misericordia divina, la vergogna — da cui nasce l’illuminazione, che è amore e visione. Angela insiste sino all’estremo con la consacrazione a Cristo: va oltre i Vangeli, oltre san Francesco, e trova quel dono unico che è la Povertà, ripetendo ogni frase, ogni riga del Pater noster.
Qualcosa manca. Angela riteneva che questo non poteva ancora avvenire: un futuro estremo, che lambisce le soglie del Paradiso. Resta una grandissima gioia. I dèmoni incombono qua e là, ma vengono cacciati: divorati, distrutti dal fuoco celeste e dal fuoco umano. La gente critica Angela, e la giudica una indemoniata. Accettava di essere uccisa, imitando la crocifissione di Cristo, ma non tollerava di essere dipinta, come Cristo era stato dipinto migliaia di volte. Angela dice «dicevo quel Pater noster con la bocca; con tale lentezza e consapevolezza di me e vergogna, che, tuttavia, ne ricevetti grande desiderio e dolcezza» — quella dolcezza che in Angela si scioglie e, come dice mirabilmente, si spande.
Angela sogna, e immagina i propri sogni. Si tortura, ma solo per avere visioni. Il Vangelo le fa dimenticare completamente se stessa. Dio è supremamente lento, ineffabile e irraggiungibile. Dio è supremamente nascosto, come diceva Dionigi: coperto dalla propria forza immensa; e Angela non ha altra conoscenza intellettuale della Bibbia. Angela accetta volentieri la follia e la folla, anche se la sua ricerca si attua nella solitudine. «Per grande parte del giorno — dice — rimasi in piedi nella cella dove avevo pregato, sola e raccolta. E il mio cuore era in quel piacere. E dopo questo giacqui e persi la parola». Deve concentrarsi in Cristo, nel più completo silenzio; ogni intervento esterno diventa un intralcio della sua contemplazione, «in quel momento di straordinaria consolazione». «Signore, quello che faccio non lo faccio se non per trovare te.. .. Se mi dessi tutto il mondo, non lo vorrei; non voglio altro che te». Angela lascia Foligno. Va ad Assisi, e distribuisce tutto quanto possiede ai poveri. Non esiste nulla più immenso della povertà. Contemplare Dio è meno importante che coltivare i poveri.
Angela non si conosce: è nascosta come Dio, e cerca di denigrarsi. «Qualsiasi cosa io dica, mi sembra di bestemmiare». Qualche volta Angela grida, urla, strepita: è la disperazione dei grandi mistici. Le parole divine, anche le più semplici, le sfuggono. La sua parola, come quella del frate suo vicino, le sembra arida. Molto resta oscuro: oscurissimo anche a lei stessa.
La frase incessante di Angela ripete all’Amore di non lasciarla: «Amore non conosciuto, perché?. .. perché mi lasci?... Ed io gridavo che volevo morire. Ed era per me un grande dolore non morire e sopravvivere al mondo». «Signore, abbi pietà di me, e non permettere che rimanga ancora in questo mondo ». E lo Spirito aggiungeva: «Figlia mia a me dolce più di quanto io lo sono per te». Angela crede nell’ostia: il senso supremo. E Cristo insiste: «Io ti nascondo molto dell’amore che ho per te».
Angela scopre una dolcezza pacifica, una dolcezza tanto grande che non riesce ad esprimerla. «Signore, abbi pietà di me, e non permettere che rimanga ancora in questo mondo». Angela vede Cristo, vede l’ostia, chiede a Dio un segno corporeo, anche piccolo e minimo. Cristo insiste: «Una sola cosa voglio... ossia che tu abbia fame e desiderio di me». Angela cerca l’ostia: qualcosa di insieme fisico e spirituale, l’ostia, legata al pienissimo amore.
La ricerca della conoscenza è soltanto quella che Dio porta: non quella che la mente raggiunge. Ogni attenzione è posta a quei movimenti divini: «In molti altri modi ancora l’anima conosce quando Dio viene dentro di lei». Un modo consiste in un’unzione (unctio), che all’improvviso rinnova l’anima, rende docile e concorde con l’anima ogni membro del corpo. E in questa grande e del tutto ineffabile unzione l’anima comprende certissimamente e chiaramente che Dio è in lei. L’altro modo è l’ abbraccio (amplexactio). Ma ogni tanto Angela cede: perde la memoria: «ciò che penso in un giorno, il giorno dopo, a stento lo ricordo».
Più ovvio è dire — seguendo la filosofia e la teologia — che Dio (e Cristo) è infinito: l’aldilà del mondo e la potenza divina è inesauribile. Le immagini affascinano Angela più delle parole: in primo luogo le immagini dell’immenso repertorio francescano. Mentre si trova nelle tenebre, Angela vuole tornare verso lo Spirito, ma a volte non è possibile. Non può andare né avanti né indietro, senza compiere un solo passo. Alla fine, tutto diventa fermo: Angela diventa «una cosa ferma, stabile, così indicibile, che di essa nient’altro posso dire se non che era tutto il bene ». La luce la attraversa.
Sulla terra la ossessiona la povertà, in cui Francesco aveva creduto, la povertà che vive presso Dio. Anche Dio è povero: anzi poverissimo, la cosa più povera che sia mai esistita.
Dice: «Vedevo Dio povero di se stesso, e tanto povero che non mi sembrava possibile aiutarlo». Dove è scomparsa quella mite potenza di Dio, che aveva esaltato nella Genesi?
Quella potenza a cui Cristo aveva sacrificato? Quel Dio che soffre non solo per noi, ma per se stesso? Angela non riesce a raccontare la sofferenza di Dio. Teme di cadere nell’ozio: teme — e lo ripete, di diventare arida: sicca. Ma ecco il rovesciamento. Esistono «grazie eccezionali »: «l’amore buono», anzi buonissimo, che «agisce con cuore ottimo».
L’ostia ha un significato eccezionale: l’ostia della conoscenza, che cede integralmente con tale soavità «che se non fosse che dovevo inghiottirla alla svelta, l’avrei tenuta in bocca per molto tempo».
Il punto capitale della teologia agostiniana e francescana è se il rapporto con Dio è ora di misura ora senza misura: la Trinità è indicibile, e rivela un «profondissimo abisso», una profondissima tenebra — di cui aveva discorso Dionigi. Dio è dentro e fuori: obbedendo alla misura, o senza misura: in ogni cosa, come diceva Bernard de Clairvaux, «amor triumphat de Deo». Anche se Dio si allontana, resta l’Amore, che scomparve il 29 settembre 1309 insieme alla fragile, robusta creatura che era stata Angela da Foligno. Aveva visto Dio, perché la sua visione diretta di Dio può avvenire sulla terra ogni volta che entriamo nel suo immenso nulla.