Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  luglio 08 Lunedì calendario

Le estati di Enrico Berlinguer

Poi quella volta, alle Saline, decise di fare il mostro. Mentre i ragazzi chiacchieravano, qualcuno faceva il bagno e gli altri prendevano il sole, lui si alzò di scatto e si tuffò nella pozza dietro la spiaggia. Quando riemerse, era tutto bianco e infangato come un fantasma. «Sono lo spettro della laguna, sono lo spettro della laguna», gridò: il piccolo Marco si divertì moltissimo. Quattro risate e dopo, vai con la solita partitella pomeridiana: due squadre miste bambini e adulti, portiere volante, i vestiti arrotolati sulla sabbia per segnare i pali. Del resto il calcio, raccontano i figli, con il mare e la politica era una delle sue passioni. Pochi mesi prima aveva visto un pallone vagante e non aveva resistito, si era messo a giocare nel parcheggio della Farnesina. Stava battendo un corner, Marco era pronto al colpo di testa, ma proprio in quel momento, per puro caso, stava passando la macchina Aldo Moro. «Quello lì che tira il calcio d’angolo con i pantaloni rimboccati non è Enrico Berlinguer?», chiese il ministro degli Esteri al suo autista. «Sì onorevole, è lui», la risposta. «Ah, va bene, allora tutto a posto». Severo, riservato, un po’ rigido, l’immagine consueta del segretario del Pci è questa qua. Una moglie, Letizia, quattro figli, Bianca, Maria, Marco e Laura, poca voglia di chiasso e mondanità. Però in Sardegna si trasformava. Sempre allegro. Sempre in barca, sul guscio di legno a vela latina di suo cugino, nelle acque di cristallo di fronte a Stintino, con la piatta o con il maestrale forte, spesso con I figli a bordo «E sempre con il timone in mano – è il ricordo di Bianca – Papà usciva più volentieri quando gli altri rimanevano nel porto, perché nel mare cercava la libertà e nel vento la sfida». Prove di coraggio ma anche un ritorno alle origini, una sorta di omaggio famigliare. «Quel gozzo – spiega Laura, la figlia più piccola – si chiamava Oloturia, come l’orribile cetriolo di mare. Era la barca di mio nonno Mario, passata poi a mio zio e usata da mio padre».I due cugini Berlinguer non si perdevano nessuna regata. Enrico, se c’era vento, con la cerata. Paolo invece con uno strano completino a righe. «Un vero signore in barca indossa il pigiama», così infatti aveva sentenziato una volta il nonno, Enrico senior, intendendo dire che bisogna maneggiare l’imbarcazione con naturalezza, come se fosse il letto di casa. Nonno Enrico, tempra ottocentesca di repubblicano, poteva permettersi simili direttive perché a molte delle spiagge del nord della Sardegna, a cominciare dalla Coscia di donna, il nome glielo aveva dato lui. Il segretario comunque, testimoniano ancora i figli, era piuttosto spericolato. Una volta, durante una traversata dalla costa laziale, era finito in una burrasca nelle Bocche di Bonifacio e aveva imbarcato acqua. Era riuscito ad arrivare a Stintino per miracolo, solo dopo aver rinforzato a colpi di martello le murate con dei legni. Un’altra volta aveva portato sul gozzo un dirigente locale del Pci. Fuori tirava il maestrale. «Senti Enrico – sbotto’ il notabile una volta sceso sul molo – sulla conduzione del partito non ti posso dire nulla, ma su quella della barca... no, non ci metto mai più piede».Sarà per questo che la moglie Letizia cercava di impedirgli di portare a bordo i figli. «Non ti azzardare, gli diceva mia madre – e’ il racconto di Bianca Berlinguer – ma lui insisteva. Due o tre volte papà ha rischiato di brutto. Una in particolare. Cielo nero di tempesta, noi a casa ad aspettare lui e Paolo. Chiamammo lo zio Aldo, il padre di Paolo, chiedendogli se non era il caso di avvertire la capitaneria. Dai, ce la faranno da soli, rispose lo zio. Tornarono a tarda sera con le vele strappate».Ma erano vacanze felici. «Papà è stato un padre anche fisico – si è confidata una volta Bianca con il Venerdì di Repubblica – soprattutto quando non c’era mia madre. Avevo due anni quando nacque Maria e lui ci portò in Sardegna per quindici giorni. Io gli stavo appiccicata come una tellina, così almeno dicono le mie zie, e lui era molto sollecito. Mi lavava, mi cambiava, mi preparava da mangiare, e la stessa cosa si è poi ripetuta anni dopo con Laura. Era attentissimo al rispetto di certe regole: cambio di costume dopo il bagno e mai mangiare prima di una nuotata. Il rapporto di Berlinguer con Stintino era profondo, ancestrale. Un piccolo borgo a pochi chilometri da Sassari, quattro casette intorno al porto, una strada scomoda e non asfaltata per arrivarci. «In un certo senso – spiega il genero Luca Telese, marito di Laura – era la spiaggia di famiglia e, ancora negli anni Settanta, su quella sabbia si conoscevano tutti. I Berlinguer, i Segni, i Siglienti, i Cossiga. In molti erano pure parenti. Enrico non aveva un’abitazione di proprietà, ne prendeva in affitto una da un pescatore del luogo: era bianca, spartana e molto vicina al mare». Il sorpasso alla Dc, lo strappo con il Cremlino, le polemiche con Bettino Craxi, i progetti di compromesso storico: in mezzo al mare davanti all’isola Piana, o sulla sabbia candida della Pelosa, almeno per qualche giorno Berlinguer pensava ad altro.Poi sono arrivate estati più difficili. L’abiura da Mosca aveva portato una serie di tensioni e di sospetti. Uno strano incidente d’auto nel 1973 in Bulgaria dal quale Berlinguer rimase miracolosamente illeso. La situazione peggiorò ancora quando Berlinguer finì nel mirino delle Brigate Rosse. E dopo il 16 marzo 1978, il giorno dell’agguato di via Fani e del rapimento di Moro, fu costretto a una vita sotto chiave. Non sempre rispettò le regole: una volta scappò con Bianca, allora sedicenne, in motorino. Blindati a Roma e anche in vacanza. Il Natale successivo niente salto a Sassari da nonna Niki, tutti chiusi alle Frattocchie, ai Castelli Romani, a mangiare il panettone nelle austere sale della scuola del partito, dove potevano agevolmente essere controllati dalla sicurezza del Pci. E per l’estate i servizi segreti proponevano la Jugoslavia. Rinunciare a Stintino? In famiglia scoppiò una rivolta. Alla fine fu raggiunto un compromesso, l’Elba. Mentre motovedette giravano attorno all’isola, i Berlinguer e gli uomini della scorta passavano il tempo giocando a tombola. Una sera, si legge nel libro di Menichelli, Berlinguer disse «ambo» e reclamò la vincita. I figli, in coro, lo sommersero di «buuuhhh».Poi le cose si erano normalizzate ed erano tornati a Stintino. Anche l’ultima estate. «Furono vacanze bellissime – è il ricordo di Bianca – perché a fine agosto le altre famiglie erano partite e per la prima volta restammo soli tra noi. Rammento lunghi pomeriggi in barca con mamma e papà». L’anno seguente, il sette giugno 1984, l’ictus a Padova, durante un comizio. Quattro giorni dopo, la morte.