Il Sole 24 Ore, 8 luglio 2019
Indagini penali, in media 404 giorni
Tredici mesi, 404 giorni per la precisione. È questo il tempo medio di durata delle indagini preliminari condotte dalle procure presso i tribunali (sezioni ordinarie e Dda), rilevato dalle statistiche più recenti del ministero della Giustizia, riferite al 2017 e che si concentrano sui reati con autore noto.
Tempi che sembrano in linea con i termini dettati dal Codice di procedura penale, che fissa la durata ordinaria in sei mesi, prorogabile (con più proroghe, ognuna al massimo di sei mesi) fino a 18 dal giudice su richiesta del Pm; per reati molto gravi (come l’associazione mafiosa) il termine iniziale è di un anno, prorogabile fino a due.
I tempi eccessivi
Analizzando i dati nel dettaglio, emergono tuttavia le anomalie. Infatti, se circa la metà (il 53%) delle indagini 2017 si è chiusa entro il termine ordinario di sei mesi e il 26% entro i due anni, il 20% ha invece sforato i due anni. Tempi lunghi che il Codice sanziona con l’impossibilità di usare gli atti di indagine compiuti dopo la scadenza dei termini. Senza contare che c’è una fetta di procedimenti (il 4,6% nel 2017) che arrivano a prescriversi nella fase delle indagini preliminari.
I tempi variano poi in modo sensibile da una procura all’altra. Nel 2017 è stata Brescia quella in cui le indagini preliminari sono durate di più, con una media di 829 giorni. «Nel 2017 l’organico era la metà dell’attuale – spiega il Procuratore aggiunto Carlo Nocerino – ma grazie all’arrivo nel 2018 di 8 nuovi sostituti, oggi la situazione è molto diversa: nel primo semestre 2019, a fronte di 9.866 nuovi fascicoli siamo riusciti a chiuderne 12.779». Carenze di organico ma anche ampliamento del bacino di competenza a Nocera Inferiore, dove la durata media 2017 è stata di 651 giorni. «Il Dlgs 155/2012 ha aumenato la popolazione di riferimento del 31% ma l’organico rimase lo stesso – dice il Procuratore Antonio Centore -. Oggi siamo riusciti a tornare a una situazione normale grazie allo spostamento di risorse da altre procure».
Alla Procura di Cosenza, invece, la durata media delle indagini nel 2017 si è fermata a 128 giorni. Un dato che è il risultato, spiega il Procuratore Mario Spagnuolo, «di un grande lavoro sull’organizzazione, anche del personale amministrativo, per evitare colli di bottiglia e tempi morti. Siamo stati poi favoriti – aggiunge – dal basso turnover dei magistrati che ha evitato gli stalli spesso causati dai passaggi di consegne».
I punti chiave della riforma
È in questo quadro che dovrebbe inserirsi la riforma del processo penale su cui il Governo sta lavorando da tempo e che, stando alle dichiarazioni del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, dovrebbe approdare nei prossimi giorni al Consiglio dei ministri, insieme con i progetti di riforma del processo civile e del Consiglio superiore della magistratura. Un intervento che arriverebbe mentre il mondo della giustizia è scosso dallo scandalo che ha investito lo stesso Csm e le Procure.
Il progetto – su cui stanno cercando l’accordo Bonafede e Giulia Bongiorno, ministro per la Pa, e che dovrebbe essere contenuto in un disegno di legge delega – punterebbe tra l’altro a irrigidire i termini delle indagini, con sanzioni per chi non li rispetta. Più che incidere sulla durata complessiva, l’intervento dovrebbe mirare soprattutto a rendere più rigidi scadenze e meccanismi. Si pensa infatti a un termine iniziale di un anno, prorogabile una sola volta per sei mesi (salvo casi particolari), con l’obbligo di depositare gli atti entro tre mesi.
Chiesta dagli avvocati, la riforma delle indagini preliminari è invece vista con sospetto dai Pm, per i quali il contingentamento dei tempi rischia di compromettere l’accuratezza delle indagini. A essere messe a rischio, secondo i magistrati, sarebbero proprio le inchieste più complesse e che coinvolgono più imputati, come quelle per mafia. «Non c’è bisogno di cambiare le regole – dice Nocerino – poiché il Codice già prevede il controllo del Gip. Nelle proroghe non ci sono automatismi, tant’è che spesso vengono bocciate». I Pm respingono anche l’accusa di ritardare le iscrizioni delle notizie di reato. Una scelta, secondo gli avvocati, fatta per rimandare il decorso dei termini per le indagini. Per i Pm, invece, non tutte le notizie di reato vanno iscritte ma occorre raccogliere gli elementi per iscrivere in modo motivato.