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 2019  luglio 08 Lunedì calendario

Le mafie diversificano al Nord

«Se serve maggiore sicurezza per i nostri operai in cantiere, ci devono pagare di più». Ferdinando Varlese, patròn della Tecnodem (attiva fino a un mese fa nella demolizione del Ponte Morandi grazie a un subappalto), ha un’idea chiara su come si fanno gli affari. E la spiega al telefono, ignaro di essere intercettato dagli inquirenti dell’Antimafia, per i quali non è solo parente, ma anche colluso con il clan camorristico D’Amico. Quelle parole, insieme al resto delle trame per favorire la cosca, sono state alla base dell’interdittiva antimafia emessa nei confronti della sua ditta, a stretto giro esclusa dai lavori di Genova, e del suo arresto poche settimane dopo. 
Prima della sentenza
Il blitz rappresenta uno dei casi più gravi registrati negli ultimi anni, eloquente di come le interdittive siano ormai imprescindibili strumenti intermedi e più celeri d’un processo per prevenire le infiltrazioni nei grandi lavori avviati dallo Stato. A maggior ragione se le procedure sono parecchio snelle per le esigenze di urgenza se i lavori sono assegnati in subappalto, ormai consentito per una quota fino al 40%, alzata dal recente decreto sblocca-cantieri nonostante le critiche di sindacati, associazioni ambientaliste e Autorità Anticorruzione. 
«Una soluzione adottata in nome del fare e non del fare bene» ha ammonito il presidente Raffaele Cantone, ricordando che «per i clan diminuiscono visibilità e consenso, ma il valore degli affari resta altissimo». Era stato proprio un intervento in extremis di Cantone a far sì che i controlli antimafia, procedure come quelle che hanno escluso la Tecnodem e permesso di ripulire la partita Morandi, rientrassero nel decreto Genova per mano parlamentare. Nel testo iniziale varato dal governo erano state ignorate in nome della deregulation. 
L’azione dei prefetti
L’interdittiva antimafia viene emessa dalla prefettura quando sono provati da indizi omogenei i contatti d’una impresa con la criminalità organizzata. E inibisce temporaneamente o definitivamente, a seconda dei casi, la facoltà di ottenere commesse pubbliche. I dati che La Stampa è in grado di divulgare, aggiornati alla fine di maggio, certificano un incremento-monstre delle misure nell’ultimo quinquennio, con un’escalation del 370% rispetto al 2014. E al di là del trend inquietante ma non sorprendente di Calabria, Campania e Sicilia, si scopre che l’Emilia Romagna è la regione del Nord con più imprese definite «contigue» alle cosche; e che Torino, fra i capoluoghi settentrionali, ha registrato il record di aziende sanzionate, superando Milano. 
Le interdittive sono annotate dall’Anac in un database per le amministrazioni. Riguardano perciò solo operatori che hanno già interagito con il settore pubblico. La ripartizione tiene conto della sede legale, restituendo con immediatezza la geografia del potenziale riciclaggio. Non è un caso, allora, se una delle più recenti e importanti retate anti-’ndrangheta si è materializzata a fine giugno proprio in Emilia, con sedici arresti compreso quello del presidente del consiglio comunale di Piacenza Giuseppe Caruso (Fratelli d’Italia) per i collegamenti con il potente clan Grande-Aracri. Nello stesso territorio, si scopre dal dossier dell’Anac, sono state emesse dal 2014 a oggi 180 interdittive a carico di altrettante società, legate alla mafia e variamente titolari di appalti pubblici. 
Dall’Emilia a Malpensa
È un valore superiore alla Lombardia (159), dove la pervasività delle cosche è affiorata un decennio prima, e dove puntuale si è concretizzata la seconda operazione clou d’inizio estate. Al centro dell’inchiesta, nata dalla denuncia di un imprenditore che registrava i tentativi di estorsione, ci sono le dinamiche delle «locali», le strutture di base della ’ndrangheta, a Legnano (Milano) e Lonate Pozzolo (Varese). Ma anche i collegamenti con la politica e soprattutto le mire sulle lucrose attività intorno all’aeroporto di Malpensa. 
I clan, secondo gli investigatori, puntavano ai parcheggi a ridosso del secondo scalo italiano per numero di passeggeri (oltre 10 milioni nei primi cinque mesi dell’anno, in crescita del 10%) e a nuovi centri commerciali nei comuni vicini. Il giudice ha disposto il sequestro di due maxi-parking e di una società che sempre di posteggi e navette si occupava, a riprova della diversificazione degli affari mafiosi. 
"Impegnati su più fronti"
I carabinieri hanno documentato riunioni di boss durante le quali, oltre alla lista dei politici da oliare, si snocciolava la «pianificazione imprenditoriale» del gruppo, i cui proventi erano investiti perlopiù nell’acquisto di ristoranti e terreni. Ed è il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho a certificare la parcellizzazione economica dei clan, la loro capacità di diversificazione. E quindi la necessità per lo Stato di «prevenire» (per esempio con le interdittive) oltre che «sanzionare» con le inchieste penali fisiologicamente più lunghe. «Ovunque ci siano opportunità – ha spiegato a margine del blitz su Malpensa – le mafie si muovono. E poiché riescono a strutturarsi in modo sempre più sofisticato e sommerso, così da mimetizzarsi nel circuito imprenditoriale, è chiaro che bisogna rafforzare il filtro a monte». 
Il confronto Sud/Nord
Tanto per avere un raffronto: in Calabria nell’intervallo 2014-2019 sono scattate 606 misure a carico di ditte impastate alla criminalità organizzata, in Sicilia 584, in Campania 251. E l’andamento nazionale passa dai 122 interventi del 2014 ai 573 del 2018, mentre la proiezione sull’anno in corso fa pensare che si sfonderà la soglia dei 600 (il totale dal 2014 è di 2243). Capitolo nodale è sulle grandi città del Nord. Record a Torino (53 interdittive dal 2014), ma, anche qui, l’Emilia fa sgranare gli occhi: sommando i numeri di Bologna e Reggio, che messe insieme hanno poco più della metà degli abitanti di Torino, si arriva a 84. 
L’allerta sui rifiuti
Un salto ulteriore è rappresentato dal commissariamento delle imprese destinatarie del cartellino giallo o rosso. «Lo strumento – si legge nell’ultima relazione dell’Autorità Anticorruzione – ha registrato un progressivo consolidamento, rivelandosi di grande efficacia e impatto, soprattutto in alcuni settori dei contratti pubblici come quello dei rifiuti». 
Solo l’anno scorso sono stati emessi dodici provvedimenti di questo tipo. Uno dei casi limite a Catania, dov’è stata prima colpita da interdittiva e in seguito commissariata la Ecocar spa, società che aveva in carico la gestione della nettezza urbana per l’intero Comune, il decimo più popoloso d’Italia. 
Correzioni di rotta
Il blitz dei prefetti è spesso avversato da chi lo subisce per l’assenza di contraddittorio. Non richiede una condanna, neanche di primo grado. Bastano indizi che provano le collusioni. E può accadere che nei mesi o negli anni successivi Tar e Consiglio di Stato la cancellino. O lo faccia la stessa prefettura, in presenza di riassetti societari significativi. 
È accaduto con i cantieri della ricostruzione post-terremoto 2016. L’impresa siciliana Eni srl, impegnata tra l’altro nella messa in sicurezza della basilica di San Nicola a Tolentino, è stata esclusa dalla white list e poi riammessa in una settimana. Nel gennaio 2017 una squadra di calcio, il Foligno che militava in serie D, subì un’interdittiva per le vicissitudini del suo presidente, uscendo dai calendari per tutta la stagione sportiva. 
"Serve il doppio binario"
Dall’Expo 2015 di Milano alle Universiadi in corso a Napoli, l’Anac rivendica il successo del filtro preventivo. In entrambi i casi i ritardi politici rischiavano di far saltare tutto. A Napoli la task force della Finanza ha controllato 144 appalti per 205 milioni di euro, esaminando (in media in due giorni) 323 pratiche. Per Cantone «è una vicenda emblematica perché sfata il luogo comune, tanto in voga, secondo cui controlli e rispetto delle regole provocano ritardi: è vero il contrario».
Ma è davvero efficace ed equo uno strumento non basato su sentenze irrevocabili? Spiega Michele Di Lecce, lunga carriera da magistrato inquirente tra Napoli, Milano e Genova, oggi delegato ai controlli antimafia dal commissario alla ricostruzione del ponte Morandi: «I criteri sono molto rigorosi, ma è meglio procedere su un doppio binario, in parallelo a un procedimento penale approfondito. Vanno chiariti, inoltre, i criteri di pre-inserimento nelle white-list delle prefetture più periferiche. Spesso le aziende chiedono di entrare nel novero delle società pulite e ottengono via libera dopo controlli brevi per carenza di risorse. Ci vogliono più uomini e mezzi per svolgere accertamenti reali e attendibili».