La Stampa, 8 luglio 2019
L’India in rivolta per la siccità
A rischiare la vita sono sempre i più poveri. Che si prendono gastrite o diarrea, costretti a bere acqua inquinata per non morire disidratati. Perché, quando non piove da 200 giorni, quando i salvifici acquazzoni monsonici non arrivano e i pozzi si svuotano, mentre laghi e paludi si prosciugano, se non hai i soldi per pagare l’autocisterna come fai?
Chi ha un lavoro, il motorino dove portare tutta la famiglia e vive in un mini-appartamento, insomma, la classe media per gli standard indiani, è costretto a lavarsi meno, con una scodella, un sorso alla volta, invece di farsi la doccia. Se ha addirittura la lavatrice, riduce l’uso a due volte al mese. Deve tirare lo sciacquone una volta al giorno. Ma ha da bere. Non è questione di vita o di morte. Per i più poveri in periferia è un’altra storia.
Quest’estate di siccità indiana sta mostrando al mondo che le guerre dell’acqua non si combatteranno con robot-droni, o tra eserciti, ma in rivolte civili di metropoli tropicali come Chennai, profondo sud indiano, capitale dei disastri climatici in questi ultimi anni, area metropolitana un tempo nota come Madras, dove abitano 9 milioni di cittadini nel pieno di una disastrosa siccità.
Nel paesino di Bangarampettai, a 30 km da qui, 150 poveri hanno sequestrato un’autocisterna, frantumando il parabrezza e sgonfiando le gomme prima di riconsegnarla vuoto alla polizia. Una scena che sembra rubata dalla serie Netflix «Leila», ambientata nel futuro molto plausibile di un’India distopica. In questi mesi così aridi, non è la prima volta che gli abitanti delle periferie assediano i camion dell’acqua perché sanno che le riserve vengono sacrificate a favore dei più ricchi con le loro aziende, gli uffici con l’aria condizionata e gli hotel di lusso forniti di piscine e fontane. L’Eden idrico a due passi, ma inespugnabile.
Il giorno prima del consueto assalto alla cisterna, gli abitanti dei villaggi alle estremità di Chennai hanno scritto una lettera al municipio: «Le autocisterne private sono venute già 8 volte a scavare pozzi nel nostro villaggio, estraendo indiscriminatamente migliaia di litri della nostra acqua. Ogni giorno! L’acqua dei nostri terreni per i vostri lussi».
Questa è l’emergenza. Centinaia di villaggi evacuati dallo stato del Maharashtra fino al Tamil Nadu. Scuole chiuse, ditte che chiedono ai dipendenti di lavorare da casa e alberghi che razionano l’acqua ai clienti. Ospedali in crisi, campi rinsecchiti, temperature record oltre i 50 gradi. Per centinaia di migliaia di famiglie usare il l bagno diventa un lusso impossibile. Molte donne attendono la notte per defecare all’aperto. «L’acqua costa», spiega una signora, «non posso sprecarne 10 litri al giorno per lo sciacquone!». «Se la situazione non migliora, non ci resta che emigrare», si sfoga un impiegato. India 2019. Altro che distopia Netflix. Ci siamo già.
Eccola, Chennai, la Detroit indiana, famosa per la produzione automobilistica, la lavorazione della pelle e una delle nuove capitali dell’IT: in ginocchio dopo l’alluvione con mille morti nel 2016, il ciclone livoroso nel 2017 e, ora, due anni di monsoni assenteisti. Chennai capitale dei disastri naturali. E di errori umani nati da crudeltà e ignoranza.
La vulnerabilità della metropoli ad alluvioni e siccità ha radici tripartite. Pessima pianificazione, corruzione e superstizione. Nella corsa cieca al Dio Sviluppo, affiancato dal Dio Profitto adorato dagli speculatori edilizi di tutto il mondo, s’è asfaltato senza criteri, nella solita urbanizzazione che ha soffocato un terzo dei bacini d’acqua ed eliminato un quarto della terra agricola. Dal 1980 al 2010 l’area edificata è passata da 47 a 402 km quadrati. I laghetti e le paludi si sono ridotti da 186 a 71 km quadrati.
Ovviamente c’è subito chi lucra su questi disastri, causati più che da Surya, Dio del Sole, da mancanza di pianificazione. «Solo l’8 per cento dell’acqua piovana viene conservata», ha ricordato il premier Narendra Modi. Infatti all’inizio si fa affidamento ai pozzi, che si estinguono. Poi bisogna comprare dalle cisterne comunali a 700 rupie a carico. Troppe le richieste e subentrano i privati, una Mafia dell’acqua che decuplica i prezzi, 7 mila rupie per acqua scavata chissà dove.
Tanti finiscono in ospedale per aver bevuto quella fanghiglia grattata via dal fondo di dighe esaurite o laghi rinsecchiti, poltiglia che anche le vacche rifiutano di bere. «Nell’ultimo mese e mezzo i pazienti con diarrea, gastrite e malattie simili sono raddoppiati», dice Sandeep Deshmukh, medico all’ospedale civile Beed. Malattie causate dall’acqua sporca. In India si stima che il 70 per cento dell’acqua sia inquinata, 200 mila morti l’anno per patologie correlate.
E tutti a chiedersi: quando arriveranno i monsoni? Il Chief Minister raccoglie i suoi leader in preghiera, per fare offerte agli dei in diretta tv, bruciando burro chiarificato nel fuoco sacro. Ma le inchieste rivelano che i ministri ricevono, gratis, 3 autocisterne comunali al giorno per innaffiare i loro giardini.
Nella regione del Chettinad, i contadini celebrano cerimonie antichissime per invocare Mariamman, Madre Pioggia, dea Tamil pre-vedica. S’infilano spadoni nelle guance, camminano sui carboni ardenti, fanno chilometri portando sulle spalle enormi candelabri. Niente. Il cielo tace.
Più degli Dei, ci pensa un Divo. Leonardo Di Caprio. Che c’entra? C’entra perché la super-star di Hollywood, che da anni si batte contro il riscaldamento globale, ha postato su Instagram una semplice frase: «Solo la pioggia può salvare Chennai da questa situazione». Poche ore dopo, miracolo! miracolo!, è piovuto. Non abbastanza. Ma abbastanza per sdrammatizzare una situazione dove c’è poco da ridere.
«Ok, quest’anno è toccato a Chennai," ha detto Samrat Basak, esperto d’aqua per il World Resources Institute, "ma Bangalore, Hyderabad e Delhi affrontano scarsità idriche simili». Si parla di quattro metropoli che in totale hanno 60 milioni di abitanti. Il think tank governativo NITI prevede che 21 città finiranno l’acqua dei pozzi entro l’anno prossimo.
L’India che rincorre la Cina, che vuole un arsenale militare per proteggere i suoi oceani con i sottomarini russi e che manda dozzine di satelliti nello spazio, se vuole davvero correre la sua gara, dovrà prima fare un po’ di ordine in casa, rielaborando le strutture delle sue megalopoli che rischiano di trasformarsi in una distopia che in questi mesi, in India, sembra già iniziata.