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 2019  luglio 07 Domenica calendario

E il cinema si mise in bikini

«È la Florida d’Italia” esclamò Ernest Hemingway quando la vide nel 1954. Nello stesso anno Leonardo Sinsgalli – in visita al cantiere del sorprendente quartiere a chiocciola ideato dall’architetto Marcello D’Olivo per Lignano Pineta – la descrive sulle pagine di “Civiltà delle macchine” come «una città tra le piccole dune di sabbia d’oro». Vi soggiornerà a lungo nella bella villa progettata per lui dall’amico D’Olivo, così come Alberto Sordi approfitterà dell’omaggio, a fini pubblicitari, di un terreno da parte del costruttore per far realizzare un’elegante villa a due piani, dove mandava d’estate le sorelle. Memorie letterarie, architettoniche e cinematografiche si intrecciano e ritornano a Lignano Sabbiadoro. Infatti, in collaborazione con la Fondazione Gruppo Credito Valtellinese, la città festeggia nella scenografica Terrazza Mare il 60° anniversario dell’istituzione del Comune con una mostra che a sua volta lega il cinema di soggetto balneare con la grafica e il costume di un’Italia del dopoguerra che cambiava sotto gli occhi. 
Una selezione di un centinaio di manifesti di grande formato, locandine e fotobuste – provenienti dalla collezione di Enrico Minisini – racconta, fino al 17 luglio, un capitolo minore del cinema italiano, quello a soggetto balneare, ma popolare e di grande successo ai tempi. La mostra non è però una rassegna di film: è una sequenza di grafica cinematografica, che ci costringe a fare i conti con una vera e propria scuola italiana di alto livello e con maestri poco noti ma riconosciuti dagli esperti: Anselmo Ballester, Enrico De Seta, Sandro Symeoni, Alfredo Capitani, Nano (Silvano Campeggi), Angelo Cesselon, Kremos (Niso Ramponi), Giorgio Olivetti, per citarne alcuni. I loro manifesti e le loro locandine, tutti disegnati, ma spesso anche quelli di autori rimasti anonimi, si imprimono nella memoria e sono un’esplosione dei colori dell’estate al mare: il giallo del sole e della sabbia, l’azzurro del mare e del cielo, le chiazze di colore degli ombrelloni e dei costumi. Gli autori dei manifesti conoscevano bene l’arte di sintetizzare in un’immagine di grande formato, che campeggiava sui muri delle città e all’ingresso dei cinema, un film, una trama, un’atmosfera, la sensualità di una diva. Prima della pervasiva pubblicità odierna erano quei messaggi visivi e testuali a orientare in prima battuta il gusto e le scelte del pubblico. Messaggi disegnati e colorati (e i film all’inizio erano ancora in bianco e nero!), stampati non più in litografia, ma con tecniche fotomeccaniche. Eppure non sfigurano accanto ai manifesti pubblicitari del Novecento di Marcello Dudovich, Leonetto Cappiello, Leopoldo Metlicovitz, Federico Seneca, fino a Armando Testa e non sfigurano accanto ai grafici celebri dell’editoria coeva, che si impegnavano a “vestire” al meglio il libro e a ideare copertine efficaci (un nome per tutti: l’italo-ungherese Ferenc Pintér e le copertine per gli Oscar Mondadori). 
È arrivato il tempo di far uscire gli artisti sopra citati dall’ambito ristretto in cui sono ancora confinati e di farli conoscere a un pubblico più ampio. Un’occasione che si ripresenterà con la seconda tappa della mostra a Fano (24 luglio – 29 settembre). È grazie al collezionista Enrico Minisini che si può entrare nel territorio inesplorato del cinema di carta balneare. Sulla base di suggestioni e intuizioni sue ha ricostruito una storia frammentata e non chiara che ora dà alla comprensione di tutti e apre scenari culturali nuovi.
Viste nel loro insieme, grafiche e film trasmettono una sensazione di euforia, scandiscono il passaggio dalle difficoltà del dopoguerra agli anni del “miracolo economico” e all’affermarsi in settori più larghi della società di nuovi consumi, tra cui quello delle vacanze. Si tratta certo di pellicole popolari e di consumo ma senz’altro le migliori immagini e alcuni film raccontano l’Italia degli anni 50 e 60 come, e forse meglio, di un saggio di sociologia o di storia del costume. Senza dimenticare il controcanto di alcuni film come «La spiaggia» (1953) di Alberto Lattuada e «Il sorpasso» (1962) di Dino Risi. Dall’inizio degli anni 70 viene progressivamente meno l’uso del manifesto disegnato e si afferma quello fotografico (spesso un banale fotogramma impaginato). Nell’Italia che cambia velocemente un’epoca era finita e quelle atmosfere e quei film non avevano più senso, il filone balneare evolve perciò verso i film scollacciati e poi nei cinepanettoni. 
Una mostra e un catalogo, dunque, che parlano di grafica, di cinema, di costume, anche sfiorando inevitabilmente un “effetto nostalgia”. E allora ci sia concesso citare un passaggio di una delle ultime interviste di uno che di queste cose se ne intendeva, Federico Fellini: i manifesti si fanno amare perché «sono come le canzonette: ti riportano a certi momenti della tua vita, impedendoti di perderli. Ti riportano cioè non tanto e non soltanto ai film, quanto alle loro stagioni, al clima e al sapore di quelle stagioni».