Il Sole 24 Ore, 7 luglio 2019
Uomo macaroni, ansia virile addio!
Nella commedia The Male-Coquette del 1757, scritta e interpretata da David Garrick, il più grande attore teatrale inglese di quel secolo che fu anche drammaturgo e impresario, compare un personaggio affettato cui si fa riferimento come al «Marchese di Macaroni» (in italiano). È la prima occorrenza di cui abbiamo traccia di un termine che avrebbe avuto ampia ma ambigua fortuna nei successivi vent’anni, identificando una figura maschile con aspetti, sia fisici sia sociali, molto vistosi e singolari.
L’uomo macaroni (anche alcune donne ricevettero questo epiteto, ma erano una minoranza) era caratterizzato da vestiti all’ultima moda e da un atteggiamento cosmopolita, con pesante influsso italiano ma soprattutto francese. Durante la guerra dei sette anni tra Francia e Inghilterra (1756-1763), quando i traffici fra i due paesi erano bloccati, ricorreva alla borsa nera per procurarsi gli articoli voluti; alla fine della guerra, tirò un sospiro di sollievo e le visite a Parigi ricominciarono in grande stile. Il nome stesso di cui era fregiato richiamava la sua esterofilia: la pasta tipicamente italiana e forse il linguaggio maccheronico in cui Teofilo Folengo aveva scritto il suo Baldus. Era anche, però, un nome ironico e caricaturale: particolarità, questa, cruciale nella breve e intensa avventura dei macaroni. La maggior parte delle testimonianze che ce ne sono rimaste, infatti, consiste nelle svariate forme in cui venivano presi in giro.
Ce n’era ben donde. Oltre che per abiti attillati dai colori sgargianti, scarpe con il tacco, spadini e altri accessori di lusso, si facevano notare per la loro incongrua capigliatura: un alto toupet che imitava le stratosferiche acconciature delle signore e cui era associata una lunga coda di cavallo raccolta in una borsetta. Il tutto abbondantemente cosparso di cipria e pomate. E c’erano i cosmetici con cui si sbiancavano o s’imbellettavano il volto, i deodoranti per l’alito, le bevande preferite come il latte d’asina, la gestualità ostentata, l’eloquio artificioso: ogni dettaglio della loro apparenza sembrava fatto apposta per sollecitare la satira.
Peter McNeil è professore di storia del design alla University of Technology di Sidney e ha avuto la prima cattedra di studi sulla moda a Stoccolma; è membro dell’Accademia australiana e di quella finlandese; in questo campo, è difficile pensare a un’autorità di maggiore distinzione. Il suo Pretty Gentlemen è la prima trattazione monografica dei macaroni: un libro minuziosamente documentato e splendidamente illustrato che riporta in vita un episodio ignoto ai più ma, secondo lui, degno d’attenzione e di riflessione. Per almeno due motivi.
In primo luogo, i macaroni sottolinearono in modo estremo ma resero così evidente la teatralità dei rapporti sociali. Non a caso la loro prima menzione appartiene a un testo recitato su un palcoscenico, e sul palcoscenico continuarono a essere scimmiottati e irrisi, in spettacoli che li vedevano spesso fra il pubblico e di cui godevano e si divertivano come gli altri. Tutti, in società, recitiamo una parte. Quando, sul finire del Settecento, si affermò un nuovo stile maschile, semplice e disadorno, spontaneo e «naturale», si trattava pur sempre di una parte: anche il ritorno alla natura è un fatto culturale, un ruolo che si assume in un dramma (o in una farsa). Due secoli dopo, nell’Essere e il nulla, Jean-Paul Sartre avrebbe a sua volta irriso (e stigmatizzato) la «falsa coscienza» di un cameriere che, a suo dire, giocava a fare il cameriere; ma non è proprio una falsità del genere a rivelare nel modo più chiaro l’affettazione di ognuno, ivi incluso il filosofo seduto al caffè che si guarda intorno con aria ispirata? Non hanno dunque i macaroni, con i loro tacchi e le loro mossette, la loro cipria e le loro spropositate parrucche, qualcosa da insegnare a chi crede di essere, immediatamente e puramente, «sé stesso»?
In secondo luogo, i macaroni sconvolsero «naturali» distinzioni fra i sessi. Prima e dopo la fase che li vide protagonisti della commedia sociale, erano le donne a preoccuparsi, spesso esageratamente, dei loro vestiti e delle loro chiome, e di conseguenza a risultare oggetto di ironia. I macaroni ci ricordarono che agghindarsi fino all’assurdo non è prerogativa femminile. Konrad Lorenz lamenta il destino del fagiano argo (maschio), le cui penne sono cresciute a tal dismisura da impedirgli di volare e renderlo facile bottino per i predatori, e suggerisce lugubri analogie fra la sua condizione e quella umana contemporanea. Ma l’argo decostruisce il concetto stesso di selezione «naturale» e mostra con innegabile evidenza come l’unica selezione che conti sia quella che favorisce l’accoppiamento. I ridicoli macaroni, regolarmente tacciati dall’ansia virile del tempo di impotenza, segnalano la stessa verità, comune non solo a damerini come loro ma anche a culturisti e «uomini Marlboro», a sussiegosi intellettuali e sbrindellati sovversivi.