Corriere della Sera, 7 luglio 2019
Gli scenari aperti da Libra
Un fatto è certo: quando un abitante di un qualsiasi angolo del mondo deve pagare per qualcosa – una noce di cocco, un computer, un taglio di capelli – usa prevalentemente strumenti arcaici. Pezzi di carta come banconote o assegni, tutt’al più pezzi di plastica come carte di credito o bancomat. È come vibrare una clava sulla testa di un malcapitato per aggiustargli un capello fuori posto. Nel 2019? In tempi di trasmissione istantanea e gratuita di testi, foto, video? Incredibile. La tecnologia offrirebbe da almeno vent’anni metodi molto più efficienti per pagare anche solo un caffè o un viaggio in metropolitana. Ma siamo rimasti alla clava. Dunque è perfino sorprendente che solo oggi compaiano su vasta scala proposte come quella di Facebook, che promette ai suoi 2,3 miliardi di clienti e a tutti gli altri abitanti del pianeta una moneta magica, la Libra, con cui pagare tutto, dovunque e nel modo più semplice possibile. Anche se non si ha un conto bancario, anche se si vive nella giungla del Borneo. Basta avere uno smartphone, ma chi non ce l’ha?
Facebook e le grandi aziende consorziate (fra le altre, Vodafone, Visa, MasterCard, Uber) hanno svelato al mondo il loro progetto il 18 giugno scorso, dicendo che sarà operativo dall’anno prossimo. L’annuncio ha avuto l’effetto di una bomba di profondità, da allora ondate su ondate di analisi e commenti si susseguono, tutti si agitano, banche e regolatori finanziari in primis.
Prima era stato il turno dei Bitcoin e delle altre cosiddette criptovalute loro epigone a occupare la scena mediatica. Ma quella era tutta un’altra storia. All’origine vi era la visione utopistica di un mondo liberato da oppressive autorità centrali. Al centro di quella visione politica fu posta una cosa molto concreta, la tecnologia Blockchain, un gigantesco libro mastro planetario che avrebbe asseverato qualunque transazione fra due abitanti della Terra senza bisogno di notai e certificatori centrali, solo con la forza della crittografia che avrebbe reso le scritture contabili indelebili per sempre. I Bitcoin erano strumentali a questo disegno: erano il premio destinato ai possessori dei giganteschi computer necessari a far funzionare Blockchain, un denaro creato dal nulla dalla misteriosa divinità algoritmica all’origine di tutto, in quantità predeterminata una volta per tutte.
È finita che la visione originaria si è persa, mentre i Bitcoin e le altre criptovalute create a imitazione dei Bitcoin sono diventate beni rifugio, pietruzze colorate che la gente tesaurizza perché «non si sa mai». La questione «come faccio a pagare in modo moderno, efficiente e a buon mercato» non si è posta per niente.
Libra viene ora definita criptovaluta dai suoi promotori, i quali affermano che poggia su una Blockchain, ma il sospetto è che si vogliano solo usare termini di moda, dal suono esotico. Per quel che si capisce, la Libra è la versione evoluta di una carta prepagata. Se voglio usare Libre per fare i miei pagamenti, devo versare denaro vero ai promotori, i quali da un lato lo investiranno in riserve (appropriandosi dei frutti), dall’altro creeranno sul mio smartphone un borsellino virtuale con l’equivalente in Libre (infruttifere) di quello che ho versato in, diciamo, euro. Se miliardi e miliardi di persone simultaneamente lo fanno, milioni di venditori saranno disposti a farsi pagare in Libre. Al limite, il denaro vero, quello creato nelle diverse valute dalle banche centrali e commerciali sarà tutto assorbito da Facebook e dai suoi consorziati e sostituito da Libre. Ma la Libra resta un buono, un voucher rappresentativo di una somma prepagata, non è essa stessa denaro.
Un concetto fondamentale che va sempre tenuto presente è che il denaro dev’essere creato in quantità costantemente proporzionale all’andamento corrente dell’economia, quindi ai pagamenti desiderati per scambi di beni e servizi. Altrimenti si ha inflazione o, all’opposto, deflazione, entrambi fenomeni distruttivi. Pertanto la funzione di creare il denaro, almeno quello «di base», non può che essere pubblica, perché serve l’interesse generale. Incursioni, vere o presunte, del privato in questa funzione aprono scenari inquietanti. Meravigliosi, secondo alcuni. Da incubo, secondo altri.
Io credo che gli avanzamenti della tecnologia non vadano mai rigettati solo perché turbano l’ordine costituito. Soprattutto quando, come nel campo dei pagamenti, siamo di fronte a un’arretratezza dei comportamenti tradizionali francamente incomprensibile. Lo spirito critico deve restare tuttavia vigile. Enormi questioni sono in gioco, a cominciare dalla privatezza dei nostri comportamenti di spesa. La resistenza delle arcaiche banconote si spiega anche con la loro totale anonimità, di cui si avvalgono non solo i delinquenti ma anche tante persone per bene che semplicemente non vogliono mettere in piazza i fatti loro. Se poi è Facebook che centralizza i dati su tutte le spese di tutto il mondo, è giusto preoccuparsi e studiare regole e contromisure.