Corriere della Sera, 7 luglio 2019
Il film sulle liceali sovrappeso
La commedia cinematografica all’italiana da sempre sa affrontare anche temi drammatici risolvendoli con l’ironia. Così il pubblico in sala ride, e insieme riflette. È la chiave scelta dal regista Francesco Ghiaccio per il suo film, Dolcissime, che uscirà il 1° agosto e verrà presentato in anteprima al Festival internazionale di Giffoni (SA) il 23 luglio.
È la storia (siamo a Torino) di tre liceali sovrappeso che tutti i giorni devono fare i conti col sarcasmo dei compagni (le chiamano «le chiattone»), gli insulti sulla Rete (i body haters, gli odiatori dei corpi «diversi»: «Siete delle balene; Ma un po’ di dieta mai? Fate schifo»), le difficoltà in famiglia perché non sempre una madre è pronta ad accettare i chili di troppo della figlia.
Ma le tre amiche decidono di affermare col sorriso la loro «normalità», di sfidare gli schemi estetici imposti dalla moda e dalla contemporaneità iscrivendosi a una gara di nuoto sincronizzato con il loro trio: appunto le Dolcissime. Il messaggio è chiaro: siamo uguali a tutti voi, anche se pesiamo di più, ciò che conta è «chi» siamo, non «come».
La sceneggiatura del regista Ghiaccio e di Marco D’Amore (scritta in collaborazione con Renata Ciaravino e Gabriele Scotti) ci racconta le storie di Mariagrazia (Giulia Barbuto Costa Da Cruz), Chiara (Margherita De Francisco) e Letizia (Giulia Fiorellino). Vivono in un mondo di magri (soprattutto di magre) che emargina la loro fisicità. Nemmeno con le madri va bene, una cucina continuamente perché è il suo mestiere ma certo non aiuta la figlia, una non c’è proprio, un’altra (Valeria Solarino) è troppo bella per amare una ragazza così, non voluta e mai accettata.
Il film (produzione Vision Distribution, Indiana Production e La Piccola Società) ci apre il loro mondo fatto di tristezze e depressioni, di scorpacciate di dolci e di pizze, di antagonismo-amicizia con una compagna bellissima, Alice (Alice Manfredi), di isolamento nel microcosmo a tre, di amori mai vissuti. La chiave della commedia offre una soluzione, le Dolcissime lasciano la marginalità e si ritrovano coperte di applausi.
Ma nella vita reale spesso l’obesità, soprattutto in adolescenza, può rappresentare un problema, e purtroppo persino un dramma. Spiega lo psicoanalista Massimo Ammaniti: «Per secoli la grassezza femminile ha rappresentato salute, benessere, capacità di generare figli sani. Basta vedere tante sculture dell’antico Mediterraneo con figure caratterizzate da grandi gambe, pance, natiche. E, in tempi ben più recenti, un’opera di Courbet ci spiega l’ideale femminile appena alla metà dell’800. Invece dal secondo ‘900 la situazione si è ribaltata. Il corpo desiderabile è quello magro, flessuoso, spesso filiforme che corrisponde a un’esigenza narcisistica. La magrezza è vista come una vittoria del corpo sull’avidità, sul bisogno di mangiare».
Ma come non drammatizzare quella condizione, come «normalizzarla»? Spiega Ammaniti: «Un po’ come succede nel film, è molto importante ricorrere all’autoironia, per le adolescenti, e all’ironia, penso ai genitori. Se aiutare una figlia a dimagrire si trasforma in un’ossessione familiare, fatalmente si ottiene l’effetto opposto. Infatti ci sono due tipi psicologici di persone in sovrappeso. Chi non riesce a uscire da una condizione passiva, rinunciataria, vittimistica. E chi fa della propria grassezza una caratteristica positiva, una specie di qualità. Lì torniamo all’importanza dell’ironia: la famiglia, in questa scelta, è molto importante...».
Così come è essenziale fanno capire sia il film che Ammaniti, non rimanere schiavi degli schemi e dei modelli. Restare se stessi, sapendo sorridere, con leggerezza.