La Stampa, 7 luglio 2019
Ecco che fine ha fatto Samuele Bersani
Dopo il 52° compleanno di Max Gazzé, celebrato con torta sul palco al termine di un energico concerto con il neo-Premio Tenco Daniele Silvestri, il neo-divo (per così dire) Carl Brave e la new entry Rkomi, la kermesse di Collisioni s’è tirata su anche con un artista di culto, avaro di apparizioni quanto di album. Nel 2020 saranno 7 anni che Samuele Bersani non esce con un disco, e non è cosa da poco vederlo comparire su un palco per una lunga, franca e piacevole chiacchierata condita di amarcord e rivelazioni (minimali). Il digiuno avrà termine verso metà gennaio, quando uscirà dopo una gestazione che egli stesso confessa difficoltosa, un pugno di nuove canzoni che già accendono la curiosità. Perché Samuele dice e non dice e quasi vien voglia che il tempo passi in fretta e il nuovo corso possa vedere la luce quando confessa: «Ho scritto prima la musica, ci ho messo il massimo di attenzione. Lavoro molto sui suoni, ho un solo orecchio buono perché nel sinistro ho perso tempo fa l’85 %, ma le note stonate le sento subito. Ho fatto qualcosa di diverso rispetto alla mia storia. Era tempo. L’altro giorno sono entrato in un negozio a Bologna e quello dietro il banco mi ha detto: "Non spari più?"». Invece si scopre che «spara» eccome: «La prima canzone dura sei minuti, già non è da radio. Ne ho ancora 4 aperte e non so che racconto ci sarà ma sono sorpreso, è tutto inaspettato: dopo tanto tempo, sei disabituato al confronto».
Anche con se stesso, pare di capire: «C’è il disorientamento che provo ogni volta che parto da zero. Queste canzoni nuove si possono cantare. Oggi fare un album è un po’ più insensato dell’ultima volta. In sei anni un bimbo cresce e sarebbe già alle elementari, il mio lavoro è così cambiato: parti dal fatto che finirai su Spotify o ci sarà Alexa che ti consiglia. Agli scrittori va meglio. Però ho aspettato che arrivasse il mio momento più naturale, adesso ho voglia di stare in mezzo alla gente e infatti già a marzo sarò in tour».
Bersani mostra molti apparenti controsensi, con un loro fascino perché finiscono per aprirci uno spiraglio nella creatività di uno dei nostri artisti più originali e affascinanti, le cui cose hanno il raro dono di sorprendere, in un mondo sempre più prevedibile e come cristallizzato. Una persona appartata ma curiosa del mondo: «C’è chi è nato per osservare, e chi per essere osservato. Per strada guardo la gente, indovino le storie. A volte fingo di telefonare per sentire che dicono».
Racconta del padre flautista, e della curiosità per la musica già a due anni e mezzo: «Volevo fare il menestrello». Poi il padre artistico, Lucio Dalla: «Avevo già cantato al Festival della Conchiglia d’Oro, la canzone Al buio per fortuna non è mai uscita, diceva: "Come sei bella al buio/perché non ti vedo"». Invece Il mostro conquistò com’è noto Dalla: «L’ha ascoltata in auto. Si è girato a guardarmi. Si è commosso». Andò in tour con lui come venditore delle magliette dello sponsor, e Lucio lo fece cantare per 90 sere. Favole dei 21 anni. Adesso ne ha 49, Samuele, è con Gazzé e Silvestri il capofila della generazione post-cantautorale. Si capisce che la musica di ora non lo travolge, e come potrebbe: «Mi manca che non si scrivono più canzoni, è tutto uno sbrodolare di parole e alla quarta c’è o "droga" o "figa". Ne faccio una questione di racconto. La realtà, lo dico da fruitore, è altro: non intossicate il cervello».