La Stampa, 7 luglio 2019
Un caffè vale cinque chili di grano
Il maltempo della primavera, l’ondata di caldo anomalo di queste settimane combinata alla riduzione della superficie coltivata stanno generando una situazione di difficoltà per gli agricoltori che producono il grano mentre le associazioni che rappresentano i coltivatori di frutta hanno chiesto al governo un tavolo di crisi, soprattutto per il sud. Che cosa sta succedendo? «Gli agricoltori devono vendere ben 5 chili di grano per potersi pagare un caffè o una bottiglietta di acqua al bar. La situazione del grano italiano, stretto tra speculazioni di filiera ed importazioni selvagge, è la punta dell’iceberg delle difficoltà che deve affrontare l’agricoltura italiana», denuncia Ettore Prandini, presidente di Coldiretti. Un chilo di grano viene pagato all’origine 21 centesimi ma, secondo Coldiretti, per il consumatore finale il prezzo aumenta fino a 15 volte. Per la frutta estiva va leggermente meglio - 30/35 centesimi al chilogrammo per le albicocche, quasi il doppio per le susine - ma il settore sta vivendo una «crisi pesantissima che ha comportato un crollo dei prezzi pagati agli agricoltori, che non riescono a coprire nemmeno i costi di produzione», attacca Albano Bergami, presidente della federazione nazionale frutta di Confagricoltura. Poi aggiunge: «Per dare l’idea delle enormi difficoltà del settore posso farle un esempio: uno smartphone top vale quanto il consumo annuale di frutta di 18 italiani, cioè 3.000 chilogrammi». In questa situazione Agrocepi (la federazione nazionale agroalimentare) ha chiesto al ministro delle politiche agricole, Gian Marco Centinaio, la convocazione di un tavolo di crisi: «E’ necessario coinvolgere l’Unione europea per definire misure urgenti per sostenere il comparto e sul fronte interno servirebbe allargare al settore ortofrutta gli interventi straordinario per il comparto agrumicolo. E poi sarebbe utile snellire e semplificare le misure dei fondi mutualistici per la stabilizzazione dei prezzi».
Si vedrà. Quel che è certo, però, è il rischio concreto che altre coltivazioni debbano affrontare una situazione di emergenza. Davide Vernocchi, coordinatore ortofrutta Alleanza Cooperative Agroalimentari, la vede così: «Per il pomodoro è stata purtroppo interrotta per via delle condizioni climatiche tutta la fase della programmazione, ossia dei trapianti delle piantine che sono partiti di conseguenza con ritardo. Siamo molto preoccupati che quando ad agosto partirà la raccolta ci sarà un accavallarsi di tutti i trapianti effettuati».
Al di là dell’emergenza, però, resta da risolvere, almeno secondo le organizzazioni agricole, un problema di carattere strutturale: per ogni euro di spesa in prodotti agroalimentari freschi come frutta e verdura solo 22 centesimi arrivano al produttore agricolo. Ma il margine scende a 2 centesimi nel caso di quelli trasformati dai salumi fino ai formaggi. Il resto? Viene diviso tra l’industria di trasformazione e la distribuzione commerciale. Per Prandini «c’è sicuramente un margine da recuperare per garantire un giusto compenso agli agricoltori, senza pesare sui cittadini». E la strada seguire è la realizzazione «di rapporti di filiera virtuosi con accordi e impegni pluriennali e il riconoscimento di un prezzo di acquisto "equo", basato sugli effettivi costi sostenuti».