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 2019  luglio 07 Domenica calendario

Le calciatrici sottopagate

L’effetto Mondiale è ancora forte. Le azzurre della Nazionale femminile guidate dal ct Milena Bertolini hanno conquistato la simpatia degli italiani tenendo il pubblico davanti alla tv durante la galoppata iridata, conclusa ai quarti contro l’Olanda oggi pomeriggio protagonista della finale contro gli Stati Uniti. In settimana Sara Gama e compagne sono state ricevute al Quirinale dal presidente Mattarella a ulteriore dimostrazione della loro popolarità. Le vittorie in Francia sono state seguite da un coro quasi unanime: la necessità che anche le calciatrici, così come i colleghi maschi, possano beneficiare delle garanzie del professionismo. I vertici del nostro sport si sono impegnati a raggiungere questo obiettivo.
Ma la partita non si gioca solo sul piano del riconoscimento di maggiori tutele giuridiche. Entrano in gioco anche le effettive dinamiche economiche. E queste sono misurabili in base a quello che sta succedendo in questi primi giorni successivi alle imprese mondiali. Gli addetti ai lavori raccontano che i budget stanziati dai club più importanti non aumenteranno rispetto alla scorsa stagione. Questo significa che nemmeno le protagonista del Mondiale francese riceveranno aumenti nel trattamento economico che nella maggior parte dei casi è fissato al tetto di 30mila euro lordi, quindi circa 22-23mila netti. L’ancoraggio a quel massimale viene tenuto fermo nonostante non sia più vincolante dal punto di vista regolamentare dalla scorsa estate, da quando la Figc ha modificato l’articolo 94-ter delle Noif prevedendo la possibilità di accordi economici pluriennali tra i dilettanti. In presenza di intese con durata superiore all’anno è possibile derogare al massimo di 30mila euro. Nonostante questa facoltà, sono pochissimi i casi di calciatrici italiane con “ingaggio” superiore a quella cifra. Si contano sulle dita di una mano. E lo sforamento è utilizzato per arrivare al massimo a 35mila euro, non di più. Di fatto viene considerato ancora un riferimento il limite precedente.
I club spiegano questo mancato aumento dei budget con una ragione economica: l’attività calcistica femminile non produce utili visto che i diritti tv valgono poco, non ci sono entrare commerciali consistenti e non è possibile effettuare plusvalenze sulla cessione delle giocatrici. A prescindere dal fatto che le ultime settimane iniziano a mostrare segnali di interesse da parte degli sponsor (Sara Gama è protagonista nello spot tv di uno shampoo), l’ultimo motivo rappresenta l’emblema di un circolo vizioso. Le calciatrici non producono plusvalenze perché non sono professioniste e quindi non possono essere cedute come succede ai colleghi maschi, oppure ai ragazzi dei settori giovanili che, infatti, hanno budget molto elevati. L’assenza di professionismo - quindi di un vincolo forte sulla proprietà del cartellino - inoltre lascia i club privi di tutela nel caso di offerte dall’estero. Con l’introduzione del professionismo potrebbe svilupparsi un calciomercato
anche per le giocatrici. «Il professionismo è necessario per dare un riconoscimento a queste ragazze che si allenano tutti i giorni. Per loro il calcio è un lavoro a tutti gli effetti», spiega il presidente dell’Aic (Assocalciatori italiani) Damiano Tommasi. La sensazione degli addetti ai lavori è che i club stiano aspettando di vedere che cosa produrranno le ipotesi di sgravi fiscali per il professionismo sportivo. Anche l’introduzione di questo regime per le calciatrici può contribuire all’attesa di una svolta invocata da tutti. Alcuni osservatori, però, fanno notare che paradossalmente il professionismo potrebbe diventare un freno per i club perché farebbe aumentare gli obblighi contributivi senza necessariamente comportare aumenti del guadagno netto per le calciatrici. Un ragionamento supportato dalla considerazione iniziale sui budget congelati dai club di Serie A. E allargando il discorso è facile fare riferimento alla Serie C che è un campionato professionistico nel quale però la metà degli giocatori viene pagato al minimo dello stipendio previsto dal contratto collettivo: circa 1.500 euro netti al mese. Un compenso che fa a pugni con il concetto di sport professionistico, un’attività che per sua natura può essere svolto solo per un pe- riodo molto limitato della vita di una persona e comporta notevoli sacrifici nella fase degli studi dell’adolescenza. Questi giorni post-mondiali hanno portato altre notizie non proprio esaltanti per il calcio femminile italiano. Il Chievo Verona Valpo non si è iscritto alla Serie A in seguito alla separazione dal Chievo. Anche l’Atalanta Mozzanica rischia di doversi arrendere alle difficoltà economiche. È l’altra faccia della medaglia dell’ingresso dei grandi club nella massima divisione femminile. Hanno alzato il livello del movimento, ma hanno anche creato una forte selezione che non tutti sono in grado di reggere. Una ragione in più che dovrebbe spingere le società più forti ad alzare il budget. Il professionismo contrattuale passa dalle nuove regole della Figc. Ma il professionismo di fatto diventerà realtà solo di fronte a maggiori sforzi economici da parte chi se li può permettere.