Il Messaggero, 7 luglio 2019
Biografia di Alice Di Stefano raccontata da lei stessa
«Da ragazzina ho fatto la comparsa in tanti film; ma non era il cinema il mio sogno. Valentina, la figlia di Paolo Taviani, è stata per anni la mia compagna di banco ed è stato naturale, quando si trattava di guadagnare qualche lira, andare sul set. In Rossini! Rossini! Monicelli voleva solo bambine; io ero già maggiorenne e barai un po’: mi si vede scambiare qualche battuta con Jacqueline Bisset. Ho partecipato anche a Il divo di Paolo Sorrentino, Aprile di Nanni Moretti, e poi a tantissime altre produzioni e serie televisive, come I ragazzi del muretto». A parlare non è un’attrice famosa, ma una donna che ha avuto successo in tutt’altro campo, Alice Di Stefano: direttore editoriale di Fazi, si occupa di letteratura. «Ho fatto anche la giornalista sportiva, quando erano pochissime donne a farlo. Ero tifosa della Roma e andavo in curva Sud, fotografavo le persone sugli spalti, facevo dei pezzi di colore».
Poi però è arrivata l’Università.
«Ho studiato lettere, mi sono laureata su Manzoni con Giulio Ferroni; ho frequentato un dottorato a Urbino sulle favole del Settecento, e sono arrivati gli assegni di ricerca».
Pensava alla carriera accademica?
«Sono stata professore a contratto per anni, alla Sapienza e a Roma Due: avevo un corso di narrativa contemporanea, che esprimeva un voto allo Strega, e quindi potevamo invitare gli autori, fare laboratorio di scrittura».
Poi però ha cambiato strada.
«Avevo fatto molte pubblicazioni, stavo arrivando anche al concorso (che allora erano molto rari), poi nel 2007 scrissi uno studio sulle scene di sesso esplicito, da Moravia in poi: il mio tutor, Raffaele Manica, mi presentò Elido Fazi, per cercare di pubblicarlo».
Come andò?
«Mi invitò a pranzo mi parlò di questo libro così a lungo che io pensai: bene, è andata. Invece era soltanto un rifiuto molto garbato: lo aveva letto e lo trovava buono, ma lo riteneva troppo accademico. Fatto sta che così, dal nulla, mi invitò in India per una vacanza e io accettai».
Lo racconta anche in Publisher, il suo romanzo autobiografico.
«Esatto, e l’anno successivo mi chiese: perché non provi a fare editing? Mi coinvolse piano piano, mentre io ancora insegnavo».
Lei poi l’editore lo ha anche sposato.
«Sì, ma le coppie non sono infrequenti in editoria: guardi Sellerio, eo, La nave di Teseo. Adesso siamo proprio a conduzione familiare: il figlio di Elido, Francesco, è amministratore delegato, io direttore editoriale, mio marito presidente. Siamo ancora in fase di transizione, ma i ruoli sono definiti».
Non a caso si chiama casa editrice.
«Le aziende a conduzione familiare ci sono e vanno molto bene, specialmente quelle indipendenti come la nostra. Ma è inevitabile lavorare in famiglia: bisogna essere coinvolti al cento per cento. È una missione».
Alla Fazi ha creato subito una sua collana, Le Meraviglie.
«Sì, nel 2012, dopo quattro anni di lavoro come editor della narrativa italiana, per avere più autonomia. L’umorismo è un genere che va molto bene ma è difficile da promuovere con la stampa, i critici. Francesco Muzzopappa, per esempio, ha studiato letteratura straniera, i suoi modelli sono inglesi, americani, ha un suo pubblico affezionatissimo. In Francia è molto stimato, recensito persino su Le Figaro. Un giorno parlavo con una editor di Gallimard, dei nostri autori pubblicati in Francia; quando l’ho citato si è illuminata: Ah, Muzzopappà»
E poi c’è Desy Icardi.
«Una penna brillantissima: L’annusatrice di libri è andato molto bene: è uscito nella collana Le Strade, quella più letteraria, ma era una commedia».
Di quali autori è più fiera?
«Ovviamente di mia mamma, Cesarina Vighy, L’ultima estate. Continuo sempre a citarlo perché è andato in cinquina allo Strega, ha vinto il premio Campiello opera prima (era un’esordiente di 73 anni!), ha venduto tanto e anche all’estero, in dieci paesi. Un altro Campiello opera prima è stato Matteo Cellini con Cate, io. Poi c’è Anna Giurickovic Dato, il suo La figlia femmina è andato molto bene, credo possa diventare un’autrice importante; Franco Faggiani, con La manutenzione dei sensi, ora in libreria con Il guardiano della collina dei ciliegi; infine, quest’anno, Desy».
Cosa farà come direttore editoriale?
«La Fazi pubblica prevalentemente narrativa straniera, fin dall’inizio: siamo arrivati al 90 per cento. Ora invece, c’è molta attenzione per i giovani, gli esordienti; ed è il momento degli italiani: ecco, vorrei dare più spazio ai nostri autori».
Fazi è celebre per le sue scoperte di autori stranieri vintage.
«Elido ha molto fiuto, è sempre avanti. Anche Elizabeth Strout (che poi è passata a Einaudi), lui l’aveva pubblicata molti anni prima del Pulitzer: l’abbiamo portata a Mantova, a Pordenone, l’abbiamo fatta conoscere in Italia».
È un po’ il destino dei piccoli e medi editori, lanciare gli autori e poi perderli?
«Certo, ma è anche un merito, no? Dal fenomeno Stoner in poi, nel 2012, la Fazi si è concentrata sulle riscoperte di libri. Abbiamo avuto la saga dei Cazalet, di Elizabeth Jane Howard, che in Inghilterra è famosissima, ha venduto milioni di copie e qui non l’aveva pubblicata nessuno»
Le saghe familiari sono un vostro tratto caratteristico.
«Adesso c’è la tedesca Camern Korn; La famiglia Aubrey di Rebecca West è un’altra riscoperta; presto arriverà anche la serie di Jalna, della canadese Maso de la Roche, che ha venduto undici milioni di copie negli anni Venti. Ma ci sono anche gli autori viventi: Paul Beatty e Hilary Mantel, due Man Booker Prize».
Avete un pubblico prevalentemente femminile.
«Sì, ma sono le lettrici, in generale, ad essere più numerose. Gli uomini in genere preferiscono la saggistica o i testi umoristici».
Le altre collane?
«In Darkside abbiamo gialli e noir con Ian Manook e, adesso, anche Franck Thilliez: i polar in Francia vendono tantissimo. Qui in Italia è difficile trovare autori originali, ma abbiamo Giovanni Ricciardi: tra poco esce il nuovo libro dedicato al suo commissario Ponzetti. E poi abbiamo la linea young adult, quella di Twilight di Stephenie Meyer: la collana ha cambiato il nome in Lainya. Laini Taylor, con i capelli rosa, è un vero fenomeno: alla Nuvola le ragazzine hanno fatto la fila per vederla. A luglio lanciamo un’altra saga della scozzese Claire McFall, Ferrymen, una storia d’amore ambientata nell’aldilà e Le terre, la collana di saggistica».
Ormai tanto piccoli non lo siete più.
«La casa editrice ormai si può definire medio-grande, siamo arrivati a quasi 70 titoli all’anno: sono usciti da poco il nuovo libro di Michael Dobbs (quello di House of Cards), Attacco dalla Cina è un thriller internazionale; e Avviso di chiamata di Delia Ephron, oltre al Diario 2000 di Valentino Zeichen. Noi coltiviamo i lettori, così come facciamo con gli autori: è un po’ questo che fa la differenza».