Tuttolibri, 6 luglio 2019
Un viaggio tre le sostanze psichedeliche
È il sussurro di Emily Dickinson che ci introduce a queste pagine: «Dovrebbe sempre star socchiusa l’anima», ammonisce la poetessa, e vale la pena aprire uno spiraglio della porta che sorveglia la nostra coscienza, per immergersi nel saggio di Michael Pollan Come cambiare la tua mente. Un viaggio, nel vero senso della parola, alla scoperta delle sostanze psichedeliche - in particolare la psilocibina ma anche l’LSD - e del loro effetto sul nostro cervello, intrapreso da un giornalista «materialista, attratto dalla spiegazione scientifica delle cose e poco portato verso l’aspetto mistico», come lui stesso si definisce, che si scopre suo malgrado intrigato dai misteri dell’anima. E infatti il libro, più che una divulgazione scientifica, è una narrazione personale, quasi iniziatica: «Un po’ come se ti avessero mostrato – in una stanza familiare, la stanza della tua mente – una porta a cui non avevi mai fatto caso; e se t’avessero detto che dall’altra parte c’era tutto un altro modo di essere».
Scoperte negli Anni 50 da Albert Hofman, le sostanze psichedeliche hanno avuto agli esordi un breve periodo di gloria nel campo della psicoterapia, considerate miracolose per trattare l’alcolismo, l’ansia e la depressione. La controcultura dei figli dei fiori negli Anni 60 le abbraccia per il loro fascino e la loro capacità di ricreare esperienze mistiche, ma a questo punto il lato oscuro degli psichedelici – bad trips, crolli psicotici, suicidi – ha il sopravvento e l’entusiasmo lascia il passo al panico. A fine decennio vengono messe al bando. Fino a oggi, quando, dice Pollan «sono nel pieno di un rinascimento», usate sotto controllo medico nella psicoterapia e con i malati terminali.
L’effetto degli psichedelici sulla mente umana, spiega Pollan in modo accessibile anche a chi non abbia formazione scientifica, è noto da millenni, anche perché la psilocibina, contenuta in alcuni funghi, era usata nei riti sacri fin dai tempi degli antichi Maya: si tratta in pratica di una «temporanea dissoluzione dell’ego», un indebolimento del nostro autocontrollo cosciente, quello che lo scrittore Aldous Huxley descrive come «valvola di riduzione» della mente. Il nostro ego è un guardiano severo che ammette solo una strettissima banda di realtà; d’altronde «l’essere umano non può tollerare troppa realtà» diceva già Thomas Stearns Eliot e l’ego si impegna a selezionare quella che ci serve per sopravvivere. Ci impedisce di divagare, «è un editor feroce che taglia qualsiasi cosa possa distrarci dal lavoro in corso, regolando l’accesso a ricordi ed emozioni».
Il nostro ego sviluppa scorciatoie mentali per inquadrare le esperienze quotidiane e risolvere i problemi. Quando assumiamo psilocibina, improvvisamente queste scorciatoie crollano e guardiamo il mondo da una prospettiva totalmente diversa, più ampia e confusa, simile a quella dei bambini piccoli, con immediatezza e senso di meraviglia infantili. «Mentre l’ego dorme - dice Pollan - la mente gioca, proponendo schemi di pensiero inattesi». Per spiegarci come pensa la mente libera dall’ego, Pollan ricorre al linguaggio dei programmatori di Intelligenza Artificiale: le risposte ai problemi possono essere ad «alta» o «bassa temperatura». Le prime - quelle dell’adulto - sono le più probabili, hanno funzionato in passato e quasi sempre ci azzeccano. Le seconde - proprie del bambino piccolo o dell’adulto sotto effetto di psichedelici - sono «magiche» e ad alto rischio di errore; ma sporadicamente sono di straordinaria bellezza e originalità.
A seconda della quantità di ego in gioco - più ego significa più ordine, più controllo - Pollan descrive uno «spettro di stati cognitivi» sull’asse ordine-disordine: a un estremo, quello del disordine (gli scienziati preferiscono chiamarla «entropia»), gli stati psichedelici, la coscienza dei bambini piccoli, il pensiero magico e divergente ma anche la follia e le psicosi. All’altro estremo, quello dell’ordine il pensiero rigido, le dipendenze, il disturbo ossessivo-compulsivo, la depressione. In questo senso «chi soffre di disturbi caratterizzati da schemi di pensiero eccessivamente rigidi può trarre beneficio dalla capacità degli psichedelici di interrompere comportamenti stereotipati». Al contrario le sostanze diventano pericolosissime per chi abbia uno stato iniziale di psicosi. In sintesi, meglio per le menti vecchie e rigide che per quelle giovani e malleabili. D’altronde «non è il giovane - diceva Carl Gustav Jung - ma la persona di mezza età ad aver bisogno di un’esperienza del numinoso» che la aiuti a scendere a patti con la fase calante della sua vita.
La parte più affascinante del libro di Pollan riguarda proprio l’idea di somministrare sostanze psichedeliche ai pazienti terminali, idea proposta per la prima volta da Huxley, «nella speranza che renda la morte un processo più spirituale, e meno esclusivamente fisiologico» (sul letto di morte, il 22 novembre 1963, lo stesso Huxley si fece fare dalla moglie un’iniezione di Lsd). «Spirituale - dice Pollan - è un buon aggettivo per descrivere alcuni dei potenti fenomeni mentali che affiorano quando la voce dell’ego è attenuata», paragonabili a suo parere a una profonda meditazione o a un’esperienza mistica: «Se nella coscienza, ti spingi abbastanza in profondità, o abbastanza lontano, ti imbatti nel sacro. Non è qualcosa che generiamo noi: sta lì in attesa di essere scoperto. E accade costantemente, ai non credenti come ai credenti». Comunque funzioni, conclude Pollan, «il grande dono del viaggio psichedelico per i morenti mi sembra questo: farci sentire una particella di una qualche entità più vasta. Poco importa, poi, se la chiamiamo Natura o Dio, l’importante è che nel crogiolo di quella fusione la morte perde, in parte, la capacità di tormentarci».