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 2019  luglio 06 Sabato calendario

Il diario di Simenon nel Mediterraneo

Porquerolles,
23 maggio 1934
Il Mediterraneo è... Il Mediterraneo è... Il Mediterraneo...
Resto così, con la penna a mezz’aria, in seria difficoltà, come quando da bambino, in piedi davanti alla lavagna, spostavo il peso da una gamba all’altra e intanto cercavo con la coda dell’occhio un compagno compassionevole.
Il Mediterraneo è...
Eppure una definizione vorrei riuscire a darla; o perlomeno vorrei delimitare sin d’ora il campo delle mie osservazioni, con la stessa facilità con cui ho tracciato sulla carta nautica una linea spezzata che va da Marsiglia a Messina fino al Pireo, da Smirne a Beirut fino a Porto Said, da Malta alla Sardegna fino a Tunisi, Tangeri, Barcellona.
Il Mediterraneo è...
Ad esempio, in un quadro di Raoul Dufy, il Mediterraneo è una distesa d’acqua di un azzurro color liscivia, con tante piccole onde, un pullulare confuso di vele bianche e, a volte, la scia grigia di un piroscafo.
Per la maggior parte delle persone, il mare è questo: bagnanti in costume sulla spiaggia, giocatori nei casinò, pescatori nei porti, uomini in berretto bianco sugli yacht, e in lontananza, sulla linea dell’orizzonte, una nave che passa.
Per costoro il Mediterraneo è un mare vastissimo, dai contorni imprecisi, dove compare qualche vago punto di riferimento: Tolone e la sua flotta, Nizza e la sua giostra, Napoli e il suo vulcano, il Pireo con il Partenone; forse, da qualche parte, la Corsica e, sul lato opposto, gli arabi, i cammelli e la sabbia.
È come un corso
Ma il Mediterraneo non è niente di tutto questo.
Il Mediterraneo è...
Tanto per cominciare, è piccolissimo. Non a caso viene definito bacino, ma faremmo meglio a chiamarlo córso.
Ed è un córso, ve lo garantisco, che assomiglia più di quanto possiate immaginare alla strada principale di una città di provincia. Quando ci si incrocia, ci si saluta. Diciamo buongiorno a Pierre e a Emma, ad Akrim bey o a Pepito.
Un altro esempio: voi forse pensate che ci siano migliaia di imbarcazioni. 
E invece a Porquerolles, dove mi trovo oggi, qualsiasi ragazzino sarebbe in grado di dirvi, nel veder passare le vele quadre di una goletta: 
«È una nave italiana che va a prendere un carico di ferraglia a Tolone».
E, osservandola più da vicino, preciserà:
«Dev’essere il Toscana, di Livorno».
Questo non perché sia un mago, ma perché le golette italiane non sono tanto numerose e, quando vengono in Francia, lo fanno per portare il marmo e ripartire con la ferraglia.
La ferraglia viene caricata a Tolone, dove si trova il cantiere di demolizione delle grandi navi.
Vedrete che è proprio come incontrarsi sul corso principale di una piccola città. Due anni fa ho attraversato questo stesso mare a bordo dell’Angkor, un vecchio piroscafo che stava tirando le cuoia. Al bar troneggiava una meravigliosa lanterna giapponese su cui avevo messo gli occhi.
Trasportatori di arance
Da ieri è mia! Ho infatti ritrovato il mio vecchio Angkor nel cantiere di demolizione, già mezzo svuotato delle sue viscere, e ho comprato la lanterna. Ho comprato anche la scrivania del comandante e la porta del quadrato ufficiali. Volendo, avrei potuto aggiudicarmi pure la ciminiera!
Se avvistate una grande goletta in ottimo stato che, con il suo possente motore d’appoggio, sta facendo rotta per Marsiglia o Nizza, non potete avere dubbi, se si è tra febbraio e luglio. Buttate là con aria da intenditore: «Arance!».
Sarà di sicuro una barca di Palma di Maiorca o di Valencia che trasporta tre o quattrocento tonnellate d’arance.
E quando vedrete...
Un uomo nato sulle sponde del Mediterraneo, che sia originario di Cassis o del Pireo, di Algeri o di Porto Said, non dice: «Guarda che bello yacht sta passando». Dice: «Quello è Zographos a bordo del Ryon, a Cannes è finita la stagione »; oppure: «Ecco l’ex kedivè che va a Istanbul»; o ancora: «È arrivato il duca di Connaught».
Questo perché le imbarcazioni non sono poi così tante. E nemmeno i porti. Quando, qualche settimana fa, ho deciso di prendere in affitto una barca a vela per una crociera di sei mesi, in un sol giorno ho fatto la conoscenza di tutte le barche ormeggiate fra Marsiglia e Mentone.
Tutte le barche, del resto, senza eccezioni, possono essere affittate o acquistate, compresa quella di Zographos.
Andare per mare è anche un modo per avvicinare le celebrità internazionali. Ve l’ho detto: è come passeggiare lungo il corso. C’è il sedici metri del giovane divo del cinema e il dieci metri del grande tenore, il modesto panfilo di un direttore di giornale e i due racer del magnate di una casa farmaceutica, lo yacht del banchiere americano e il ketch di un aristocratico inglese, il due alberi di un ministro egiziano e quello di un finanziere greco.
«Fate le Baleari».
«No, quest’anno giriamo le isole greche».
Sono dietro l’angolo! Una volta attraversato il corridoio che separa l’Italia dalla Sicilia, svoltate a sinistra e ci siete!
«Chissà, magari incontrate mio cognato, che sta tornando da Smirne».
Sicuramente! Nel Mediterraneo ci si incontra sempre, che sia nella famosa taverna di Atene dove si mangiano i gamberetti arrosto, nel quartiere delle prostitute di Porto Said o negli ombrosi suk di Tunisi. 
Le barche, nell’incrociarsi, si fanno dei gran gesti di saluto.
«Buongiorno!» dice il primo, dando fiato alla sirena.
«Goodbye!» risponde l’altro.
E il commissario di bordo spiega ai passeggeri:
«È un inglese che va in Australia!».
Il che significa che non è un vero uomo del Mediterraneo. Si limita a passare, senza neanche fermarsi!
Le persone che contano davvero sono quelle che vanno avanti e indietro, come i tram. Basta un’occhiata per capire chi c’è a bordo.
A luglio, per esempio, nei fumoir, ci si imbatte in tutti i grossi commercianti di Pera, che non si prendono neanche più la briga di guardare Atene o Napoli quando la nave ci passa davanti. Giocano a poker, puntata minima una piastra. Vanno a Vichy.
«Abramovic non c’è».
«No, partirà la settimana prossima, con il Théophile Gautier».
«È vero che suo fratello, il mercante di tappeti di Parigi, è fallito».
«Sì, bancarotta fraudolenta!».
Al Pireo salgono a bordo altre persone, altri mercanti, anche loro ebrei, cognati o cugini dei precedenti.
«Vichy».
«No, quest’anno vogliamo provare Aix-les-Bains».
Nel frattempo, sulle navi che fanno scalo a Porto Said si imbarcano gli egiziani, attratti da Deauville e Paris-Plage. Parlano di cotone, di grano e di liberalismo.
Pettegolezzi e affari
Sulla terrazza del fumoir gli ufficiali delle truppe d’Oriente giocano a belote, mentre le mogli tengono d’occhio i bambini. 
Anche loro si conoscono tutti.
«È sempre quel grassone di Coso, a controllare la piazza di Beirut».
«Avete saputo che la moglie l’ha piantato».
C’è anche la diva dei night-club che, reduce dalla sua tournée ad Atene, Istanbul, Beirut e Porto Said, si è imbarcata in terza classe. È un’ungherese, naturalmente. Non solo ha preso un biglietto di terza, ma ha pagato soltanto fino a Smirne.
Il che non le impedirà di arrivare a Marsiglia. Dopo tre giorni di viaggio, non è più in terza, ma in seconda. A Napoli eccola sistemata, chissà come mai, in una cabina di prima.
«Avete conosciuto Lola».
«Quella che gestiva un cabaret a Malta».
«Ha sposato un armeno, e insieme hanno aperto un locale a Tunisi. Adesso si fa passare per francese ».
«Ma se era russa!».
«No, albanese!».
Il sorvegliante della quarta classe, il cafedji, parla quindici o venti lingue e dialetti, e conosce tutti.
«Sono andati bene, gli esami» chiede a una studentessa ebrea di Tel Aviv.
Infatti, ci sono dei ragazzi che dalla Palestina vanno a studiare in Francia e viaggiano sul ponte, con gli emigranti, mangiando fagioli e ceci nella gavetta.
«E a te, non ti hanno voluto, in Grecia».
«Hanno detto che il mio passaporto non era in regola».
Qual è la loro nazionalità?
Sì, perché esistono persone che vengono fatte rimbalzare da una frontiera all’altra come palline da ping-pong. Non si sa di preciso quale sia la loro nazionalità. Eppure non sono loro a essere cambiati, ma i loro paesi! Ci sono greci che sono diventati turchi senza saperlo, e turchi che sono diventati greci.
Viaggiano con pacchi ingombranti, materassi, pentolame, un canarino in gabbia e nidiate di marmocchi.
Il Mediterraneo è...
È tutto quel che ho detto finora e tante altre cose.
Sono le uova in conserva che dalla Turchia vanno in Spagna e i granchi che dall’Italia vanno in Russia.
Sono i mercanti ebrei, armeni e greci che hanno bottega un po’ ovunque, a Barcellona, a Tangeri, a Messina, a Corinto, ad Alessandria.
Sono tutte le imbarcazioni malandate che pullulano al largo delle coste greche, con i loro equipaggi sordidi ed eroici.
Sono le torpediniere che l’Italia vende a tutti i suoi vicini dell’Est e che vengono consegnate in serie, come salsicce.
Sono le isolette dalle pareti scoscese su cui cresce una vegetazione inaridita dal sole ma che diffonde nell’aria un profumo d’incenso.
Sono i turisti sballottati da un monumento all’altro, a cui tutti vendono souvenir, birra tiepida e cartoline.
È la gente che muore di fame alle pendici del Partenone e gli imbecilli che si suicidano a Montecarlo.
Ma il Mediterraneo è soprattutto...
Spesso, di notte, esco a pescare. L’acqua è così limpida che la luna rischiara perfino le alghe che si trovano a dieci metri di profondità.
Ecco! Uno spettacolo che i primi tempi, tanti anni fa, mi dava alla testa, come quando si beve un alcolico troppo forte o come quando si corre all’impazzata da una giostra all’altra nel brulicare di un luna park.
Perché il Mediterraneo non è soltanto l’acqua trasparente e pulita delle spiagge.
È anche ...
È anche migliaia, milioni di pesci stravaganti, rossi e verdi, gialli e blu, picchiettati, a righe, zebrati, iridati, sempre in agguato, pesci che strisciano sui fondali come serpenti, che schizzano via come frecce, oppure se ne stanno immobili come buoi all’ingrasso, ma il cui solo scopo, la cui sola ragione di vita è divorare gli altri pesci.
Una volta, in una nassa, ho trovato un’aragosta che si era mangiata un polpo, ma che aveva pure perso una zampa. Un’altra volta, nella pancia di un grongo, ho trovato una mezza dozzina di pesci il cui volume totale era pari al suo.
I gabbiani segnalano il passaggio di un banco di sardine, e le sardine annunciano i banchi di tonni che seguono la flottiglia dei pescatori.
Il Mediterraneo è anche questo...
Ed è pure...
La mia goletta è arrivata ieri dall’isola d’Elba. È un solido veliero italiano che finora ha trasportato soltanto marmo di Carrara. Il mio capitano è biondo e non ha neanche trent’anni. I quattro marinai dell’equipaggio hanno ridipinto la barca dalla punta dell’albero maestro fino alla chiglia per presentarla al «Signore».
Partiamo domani. Non ci sono neppure le cabine, per cui dobbiamo usare delle amache, che abbiamo sistemato nella stiva o fra le sartie.
Tra ventiquattr’ore, o tra quindici giorni, saremo a Genova: dipende dal vento.
Sì, perché il Mediterraneo è anche il vento!
Quante cose rischiamo di dimenticare quando tentiamo di dare una definizione! Vento dell’Est, mistral o scirocco, significano porti devastati, raccolti distrutti, intere popolazioni floride o ridotte in rovina!
Dai giornali apprendo che a Parigi ci si preoccupa dei congressi di partito, di unità o mancanza di unità, oltre che di un delitto commesso dal figlio di non so più quale procuratore. 
Qui, invece, ci preoccupiamo di sapere quale vento soffierà domani, e i miei uomini, sotto un sole che già picchia duro, fanno rotolare dei grossi barili d’acqua dolce che l’argano consegna a bordo cigolando.
Sulla piazza di Porquerolles la gente gioca a bocce, e il grande evento di cui tutti parlano è che da ieri in paese è arrivata la birra alla spina. Improvvisamente si vedono pance gonfie dappertutto.
Ecco, il Mediterraneo è anche questo!
Questo e tante altre cose che cercherò di raccontarvi, un po’ alla volta, così come verranno, a seconda dei venti e delle correnti, e della direzione che la mia barca prenderà.
Una rivista «per intellettuali» di recente mi ha inviato un questionario:
«La cultura latina è in declino. Che fare per salvarla».
Non saprei proprio, ma qui, sotto questo sole, a bordo di questa barca che i miei uomini non smettono di lucidare, mentre uno di loro tiene la fiocina puntata contro un grosso polpo che ondeggia sotto il pelo dell’acqua, la domanda non mi turba poi tanto, e fatico a immaginare i giocatori di bocce isolani che si spremono le meningi per rispondere.
(da “Il Mediterraneo in barca”, George Simenon, Adelphi pp 160)