Sette, 5 luglio 2019
Storia della mia grassezza
Giorni fa, la ragazza che mi taglia i capelli ha detto: «Costanza, senti, ma tu che sei così... (risolino) grossa (altro risolino), come posso fare per trovare un regalo della vostra taglia per mia madre, che non le sta mai bene niente?» . Ho abbozzato, come faccio quasi sempre. Sono le umiliazioni quotidiane che subiamo noi grassi, come la tipa della profumeria che dice che senza trucco sei «ruspante», la ragazza del bar che davanti a dieci altri clienti chiede se sei sicura di voler prendere il croissant, «perché lo sai, è mooolto calorico», o il fattorino del corriere espresso che per non portare il pacco al piano chiosa che fare le scale ti fa bene. Abbozzi e dici «Hai ragione» o «Capisco», come quella volta su un aereo low cost che mancava la prolunga e sono rimasta a terra. Abbozzi, e vai a piangere a casa. E non lo dici a nessuno, perché rischi che rispondano «Ma non puoi dimagrire, così non t’insultano più?». Solo che non è quello il punto.
Da 80 a 47 chili e ritorno: odiare il proprio corpo
Ho odiato il mio corpo per tutta la vita, anche quando ero magrissima. Mia madre era bulimica, e inevitabilmente lo sono diventata anch’io. Per tutti c’è un momento in cui sono iniziati i problemi con il peso. Io ricordo le dita ossute di mia madre quando mi dava uno schiaffo e mi chiamava «ingorda», e come dagli otto anni fossi sempre a dieta. All’ora della ricreazione elemosinavo biscotti, e mentre le altre ragazzine tenevano il resto dei soldi della spesa per comprare di nascosto i primi trucchi, io ci compravo le brioscine. «Ingorda». Allora, nessuno sapeva che effetto devastante certe parole possono avere sui bambini. Mamma paragonava il suo polso al mio e andava fiera che fosse grande la metà, mentre la mia migliore amica mi diceva, «Non sei bella, però sei simpatica». A sedici anni pesavo 80 chili, a diciannove 47, e così via. Ho provato ogni genere di farmaco, ho vomitato per decenni. E intanto sognavo che un giorno, quando fossi diventata magra, tutto sarebbe andato a posto, e la mia vita sarebbe iniziata. Solo che non è mai successo.
Poi, alcuni anni fa, dopo una relazione psicologicamente violenta, sono ingrassata moltissimo. Decine di chili in poco tempo, fino a toccare i 130. Così obesa che non c’erano scarpe o reggiseni che mi stessero, che non riuscivo più ad infilarmi le calze, che temevo di rompere le sedie, o di schiacciare il mio gatto. E ogni volta che uscivo c’era qualcuno che mi guardava con disprezzo, che voleva dirmi a tutti i costi che avevo un problema, dirmi cosa dovessi fare, come dovessi essere. Come se noi grassi non ci sentissimo già di merda tutti i giorni, come se non lo sapessimo che non è salutare. Come se non sognassimo ogni giorno una via d’uscita. Così mi sono chiusa in casa per tre anni, e dalla farmacia al supermercato usavo il delivery per tutto. E se proprio dovevo uscire lo facevo col buio, e aprivo la porta di casa piano piano, per accertarmi che non ci fosse nessuno. E intanto mangiavo, perché mangiare era l’unica cosa che mi desse conforto. E poiché il conforto dura poco e dopo mi facevo schifo, rimangiavo, ed era un circolo vizioso.
Nel frattempo, sui social mi fingevo normale. Non che nascondessi com’ero, ma certo non lo pubblicizzavo. Nessuno sapeva che se parlavo al telefono dovevo mettermi seduta, o avrei perso il fiato. Due anni fa, di fronte a un ultimatum di mio padre e mio fratello, mi sono messa a dieta. E ho perso quaranta chili senza aiuti, e poi ancora qualcuno - salvo riprenderne un po’ negli ultimi tre mesi per lo stress di un progetto di lavoro. Non importa, li perderò di nuovo. Ma la strada è ancora lunga, la menopausa incombe e io non so davvero se ne uscirò mai, anche se sto molto meglio. C’è un peso che non si può perdere, anche quando l’hai perso tutto. Binging, fat shaming, body shaming. Parole con cui i grassi convivono ogni giorno. Una condanna estetica, ma soprattutto morale.
La tv, dove per moltissimo tempo la ragazza grassa è esistita solo per esser presa in giro, non aiuta. E se non sono gli sceneggiatori è il pubblico. Quando Gabourey Sidibe ha fatto sesso sul terrazzo nella serie Empire, a migliaia, inferociti, si sono riversati online per denigrarla. A me una volta scrissero che nei campi di concentramento nessuno è morto obeso. Ho segnalato l’individuo a Twitter: non hanno ravvisato alcuna violazione. E quando ho scritto un libro sulla diversità, e un femminile doveva recensirlo, mi hanno chiesto «Ma non hai una foto da magra?». Nel programma Vite al limite all’inizio c’è un disclaimer: «Attenzione, potrebbe disturbare un pubblico sensibile». Come fossimo horror. Giorni fa, gli avvocati del poliziotto di New York che aveva ucciso un afroamericano hanno provato una nuova linea di difesa. Era obeso, hanno detto, sarebbe morto comunque. Quando ho letto Fame, il memoir di Roxane Gay, di come fosse diventata obesa per rendersi disgustosa agli uomini dopo lo stupro subito, ho capito che, al netto di esperienze diverse, avevo fatto lo stesso, e per la prima volta in tanti anni ho pianto per me. Ma è stato quando ho riletto Lindy West che è scattato qualcosa.
Anni fa, dopo che un noto collega aveva preso di mira le persone obese, West aveva scritto un saggio personale. Ciao, sono grassa, il titolo. E iniziava così: «Questo è il mio corpo. Ho voluto cambiarlo per tutta la vita. So che la gente lo trova rivoltante. Curiosamente, tutto questo fat shaming non mi ha fatta dimagrire. E quindi vaffan**lo. Questo è il MIO corpo. Non me ne vergogno in alcun modo. Non devo giustificarlo. Anzi, sapete che c’è? Mi piace tutto del mio corpo». Ho detto, «Wow, chi è questa donna? Si ama davvero o è solo un atteggio?». Ed è stato quello il momento. Il momento in cui ho capito che non siamo noi, grassi, brutti, diversi, a dover cambiare o nasconderci per non essere bullizzati e irrisi, siete voi che non dovete bullizzare e irridere. Ho ingoiato insulti per tre anni, non ce la faccio più. Ho deciso d’imparare a piacermi. E lo so, vi sembrerà paradossale che abbia deciso di farlo proprio adesso, quasi offensivo che una ragazza grassa decida di accettarsi. Ma ho deciso di farlo lo stesso.
Per questo l’altro giorno, dopo alcuni minuti, sono tornata dalla parrucchiera. E ho detto che non me ne sarei più servita, che certi atteggiamenti sono oltraggiosi e inaccettabili. Un altro stylist ha osservato che quanto mi era stato detto non era un’offesa, ma la verità: l’ho fulminato con lo sguardo prima che potesse finire. Sono una donna grassa e merito rispetto. Merito di essere accettata. Adesso.