Avvenire, 6 luglio 2019
Il calciatore italiano in Mongolia
Facile come bere un bicchier d’acqua. Vale ovunque. Per tutti. O quasi. Non per Antonio Stelitano, roccioso difensore che in questi mesi ha indossato la casacca dell’Anduud City, in Mongolia. «Ulan Bator è probabilmente la capitale più fredda del mondo. Le temperature possono raggiungere picchi di meno 40 gradi centigradi. Per sopportare il clima gelido usano ancora le stufe a carbone. C’è uno smog tremendo. Mentre per scaldarsi in ogni ristorante portano infusi bollenti. O bevande roventi. Io ho chiesto più volte: cold water, please. Ma i camerieri non capiscono l’inglese. Nessuno si disseta con bibite a temperatura ambiente. Ergo, per me godersi qui un bicchiere d’acqua freddo è assai complicato».Molto più di un’avventura calcistica in un Paese così lontano e diverso culturalmente: «Non è un’esperienza per tutti. Ma anche prima di firmare il contratto non mi ero posto il problema di (fin) dove stessi andando. Volevo confrontarmi con la serie A. Certo, ora vivo in un mondo differente rispetto all’Europa. Il fuso orario non aiuta. Io ho fatto di tutto in vita mia per questo sport. Queste privazioni sono il prezzo da pagare per ottenere quelle soddisfazioni che mi sono tolto. Anche perché i veri sacrifici sono altri. Come lavorare in nero o scaricare il cemento. Non di certo giocare a pallone».Antonio grazie alla sua professione ha girato il mondo. Prima in Italia ha esordito nella vecchia C2, segnando così la sua prima rete tra i professionisti con la maglia dell’Igea Virtus. Poi Argentina e Romania. La firma col Parma quando nei ducali militava un certo Antonio Cassano. Successivamente Repubblica Domenicana e Spagna. Ancora Romania. Nuovamente il Paese iberico, prima del trasferimento in Lituania. Con il presente in Mongolia.«Il calcio è un lavoro. Devi andare dove ricevi la miglior offerta. Oggigiorno in Asia pagano bene in tutte le nazioni, non solo in Cina. Qui possono essere tesserati solo quattro calciatori stranieri, di cui uno del vecchio continente. Se vieni scelto, puntano tutto su di te. Volevo provare qualcosa di nuovo e cercare di vincere un altro scudetto. Certo, capisco benissimo Hamsik che sostiene che la comunicazione non sia semplice. Ma quando il direttore generale della squadra Christian Wolf mi ha chiamato su segnalazione di mister Marco Ragini – allenatore che già ha vissuto e completato il suo percorso in Mongolia – non ho avuto dubbi. Nella passata stagione l’Anduud City è arrivato terzo. Quest’anno la squadra è stata costruita per vincere».D’altronde quando ami il pallone e diventa il tuo mestiere (quasi) niente può spaventare. «Sono fiero della mia carriera. Ho iniziato dal nulla e so cosa voglia dire fare gavetta. Quando a 21 anni firmai con il Real Arroyo Seco non ero mai andato all’estero. Neanche in vacanza. Si può dire scherzosamente che sia passato in pochi mesi dal parlare in campo il dialetto siciliano allo spagnolo dell’Argentina. Quella prima esperienza mi ha formato. Mica esistevano tutti i social di oggi o WhatsApp. Capii chese ce l’avevo fatta allora, ce l’avrei potuta fare ovunque».Con i numeri che confermano le dichiarazioni di Stelitano: «In Repubblica Domenicana arrivai pensando di essere in vacanza. E ripartii con l’affetto della tifoseria, quella dell’Fc Moca, malata di pallone, più la conquista del campionato nazionale. Nelle mie varie tappe in Romania, tra Turnu-Severin, Cs Balotesti, Fc Caransebes e Cs Soimii Pâncota mi sono cimentato in una Divisione di ottimo livello, con l’orgoglio di scendere in campo con la fascia da capitano per la compagine dei Falchi. In Spagna era quasi come essere a casa. Mentre in Lituania resta l’amaro in bocca per aver mancato all’ultima giornata la promozione nella massima serie».Un bagaglio notevole, che sicuramente ha arricchito il calciatore siciliano: «Ho imparato diverse lingue, trovato tanti amici sparsi per il mondo e approcciato nuovi modus vivendi.Solo la mia giornata tipo non si è praticamente mai modificata in ogni parte del globo dove sia stato. Le abitudini mi danno forza. Al mattino palestra, di pomeriggio allenamento o viceversa. Partite su partite. L’importante è sempre portare con sé le scarpette. Ovunque c’è un campo, ci sarà sempre da giocare».Stelitano non è l’unico professionista del Belpaese che può essere definito un globetrotter calcistico. Anzi. Di esempi ce ne sono a bizzeffe. Michele Di Piedi, attaccante 38enne, nell’ultima stagione tesserato del Paceco, ha militato, tra gli altri, in Inghilterra e Cipro – e fin qui nulla di così originale –, ma anche in Myamar, Indonesia e Gibilterra. Il portiere Giacomo Ratto si è distinto al Vestri Ísafjördur, in Islanda. Ivano Fucci, ex atleta che ha appeso le scarpe al chiodo e che oggi lavora per Bollywood, è stato il pioniere dei giocatori italiani in India per aver difeso i pali del Pifa Colaba di Mumbay. Luca Vigilante, argentino con passaporto italiano, gioca in un team che disputa la serie B australiana, ma la sua società ha sede in Tasmania. E se questi nomi non sono poi così conosciuti, i tifosi del Milan sicuramente ricorderanno Marco Simone. L’ex attaccante dei rossoneri ha assunto l’incarico di primo allenatore dei thailandesi del Ratchaburi. «Per me sono stati determinanti forza di volontà, fede e carattere» è il monito di Stelitano. Poi dai tutto te stesso e se sei bravo ottieni più contratti e onorari all’altezza. È facile. Mica come bere un bicchier d’acqua in Mongolia.