La Stampa, 6 luglio 2019
La scarpa svela chi siamo
Le scarpe sono un manifesto, parlano di noi e del mondo in cui viviamo. Più di un semplice bene di consumo, sono state usate per perpetrare strutture sociali e valori culturali, diventando feticcio, status symbol, a volte strumento di liberazione.
Come nel recentissimo caso delle giapponesi che si ribellano in massa (#KuTooa, hashtag ufficiale indispensabile per rivoluzioni social) all’obbligo di portare i tacchi alti sul posto di lavoro.
Per ora il movimento ha incassato il no del Parlamento, che reputa «necessario e appropriato» che le donne indossino scarpe alte in ufficio. E pensare, tra l’altro, che i tacchi nascono per gli uomini.
Ce lo spiega Elizabeth Semmelhack, 56 anni, autorità massima in materia, direttore del museo della scarpa di Toronto, Canada, e autrice di un libro appena uscito in Italia, dal titolo Scarpe, storia, stili, modelli, identità (edizioni Odoya). «La mia prima curiosità, quando sono arrivata al Bata Shoe Museum, è stata proprio capire da dove venivano i tacchi. Le mie ricerche ne hanno rintracciato la creazione nel X secolo in Persia, ma sospetto che risalgano a molto tempo prima. La mia tesi è che siano stati inventati per essere usati dagli uomini per salire a cavallo. Una volta che i tacchi sono stati considerati prerogativa delle donne, nel XVIII secolo, sono stati sempre più associati alle idee occidentali sulla desiderabilità e la femminilità e in qualche modo correlati al concetto di irrazionalità. Combinazione utilizzata per frustrare le richieste di uguaglianza delle donne».
Identità sociale
Oltre a ripercorrere una storia delle calzature, Semmelhack indaga come mai le scarpe oggi giocano un ruolo tanto fondamentale nella costruzione dell’identità sociale. Fenomeno che è un prodotto diretto dell’industrializzazione, con tantissime varietà accessibili a più consumatori.
L’attenzione alle scarpe (star di social come Pinterest e Instagram) va di pari passo anche all’estinguersi di altri indumenti che un tempo avevano svolto una analoga funzione di marker sociale. Vedi il cappello, che fino a metà del Novecento evidenziava differenze di genere, ricchezza, età. Oggetti portatori di valori tra l’altro in continua evoluzione. Così gli stivali, fino al XIX secolo segno di dominio e virilità e indossati quasi solo dagli uomini, oggi vengono portati dalle donne e hanno assunto nuovi significati.
Storie affascinanti
«Le calzature sembrano avere un compito molto semplice: tenere al sicuro i piedi e facilitare il movimento. Invece ci sono tantissimi modelli che mettono in discussione proprio questa idea di base, penso a quelle fatte di materiali preziosi o realizzate con un’architettura scomoda.
Vengono indossate per esprimere idee che sono correlate a costrutti sociali. Per esempio, una scarpa di seta dice che chi la indossa non è un lavoratore», aggiunge Semmelhack, che racconta di essersi avvicinata a questo campo di studi perché era assolutamente sottostimato, con tante informazioni e storie in attesa di essere scoperte e analizzate. E di essere approdata così al ruolo di curatore al Bata Museum - la forma si ispira a una scatola di scarpe aperta - creato nel 1995 e la cui raccolta proviene da una donazione della collezione privata di Sonja Bata, moglie del presidente dell’omonima azienda di calzature.
«Per capire quanto le scarpe dicono di noi e quanto abbiano un valore culturale, pensiamo ad esempio a come si riesca a indovinare a prima vista le tendenze politiche, le pratiche dietetiche e le simpatie ambientaliste di chi indossa un paio di Birkenstock». Insomma, determinati tipi o marche di calzature sono arrivate a inglobare idee sociali e stili di vita.
Grande revival
Un altro esempio è quello della sneakers culture, che vive oggi un momento di grande revival anche per merito della nuova classe di potenti, i genietti dell’hi-tech residenti nella Silicon Valley. E proprio alle scarpe da ginnastica (per capire la portata della cosa, secondo un report di Grand View Research il mercato globale delle calzature sportive nel 2025 supererà i 95 miliardi di dollari) Semmelhack aveva dedicato anni fa un altro libro, diventato poi mostra itinerante, Out of the Box: The Rise of Sneaker Culture (2015) in cui si interrogava, tra l’altro, sul rapporto tra sneakers e mascolinità. Attraverso le scarpe possiamo raccontare la storia di chi siamo o meglio, di chi vorremmo essere, ottima scusa per comprarne ancora un altro paio.