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 2019  luglio 06 Sabato calendario

Intervista a Marco Malvaldi

Lei userebbe due pentole, una per l’acqua dei fusilli e l’altra per i maccheroni? Ecco, chi dice che la poesia e la fisica sono cose diverse ragiona così». Alla ricomposizione fra le due culture Marco Malvaldi, chimico, narratore, inventore dei vecchini del Bar Lume, ha dedicato se non la vita di certo qualche libro. Uno di questi, L’infinito fra parentesi, diventa uno spettacolo, prima volta per l’autore, prodotto da Mittelfest, dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia e dal Teatro della Toscana-Teatro nazionale. Debutto il 12 luglio al Ristori di Cividale per Mittelfest. 
Il suo Infinito nasce come saggio. Ma adesso due personaggi, Paolo e Francesca, fanno da cornice ai ragionamenti. Come funziona? 
«Paolo è un fisico e sua sorella Francesca una filologa, insegnano nella stessa università e discutono sulle elezioni del rettore per cui lui si è candidato. Lei cerca di dargli qualche consiglio. Ma lui non vuole ascoltarla, e allora parte una specie di thriller intellettuale». 
Fratello e sorella nella scena e pure nella vita, visto che i protagonisti sono Maddalena e Giovanni Crippa, per la prima volta insieme a teatro.
« In origine io e mia moglie Samantha Bruzzone avevamo pensato a una coppia di coniugi. Ma quando il regista Piero Maccarinelli, il primo a voler portare l’Infinito in scena, mi ha detto che si sarebbe fatto con Maddalena e Giovanni, ho capito che gli si aggiungeva un significato simbolico. La cultura è una, non ha senso dividerla in scientifica e umanistica: perché è figlia dello stesso cervello».
Le famose pentole di cui diceva. 
«Già. Un cervello solo, e gli strumenti, sempre quelli, che abbiamo costruito per capire la realtà. E per comunicarla agli altri: perché se anche avessimo compreso tutto, però non fossimo in grado di trasmettere nulla, ci ridurremmo a puri fabbricanti di oggetti. Ma alla fine usiamo tutti simboli astratti: la parola "capra" in che modo somiglia a una capra vera?».
E’ scrittore e chimico, anfibio per biografia. Com’è andata? 
«Quello che so fare è scrivere storie, ma quello che mi piacerebbe è la scienza, per la quale non ho lo stesso talento. Mi sono iscritto alla facoltà di Chimica perché era l’unica materia di cui alla fine del liceo non sapevo nulla. Avevo avuto ottimi insegnanti in tutto tranne che in quella, ero curioso di capirla, mica poteva essere solo questione di ossidoriduzioni. Ma la cosa buffa è che questa materia tecnica mi ha formato come persona prima che come scienziato. Paradossalmente, mi ha trasformato così come, nella testa di molti, dovrebbe fare la letteratura. E invece ho capito tanti aspetti della fisica e della chimica solo dopo essermeli spiegati attraverso la letteratura. Il nostro cervello funziona così: siamo programmati per ricordarci le cose che ci emozionano».
Lo si capisce dal libro, pieno di riferimenti a Szymborska, Montale, Borges. E a Dante: non è un caso che quei due si chiamino Paolo e Francesca. 
«Se qualcuno avesse detto a Dante che, nel futuro, molti avrebbero letto le poesie schifando la fisica avrebbe storto il cospicuo naso. Lì dentro c’è tutto: astronomia, matematica, il gioco degli scacchi, oltre a un gran numero di parolacce».
E come mai proprio in Italia la frattura è diventata così profonda? 
«Per colpa di due eventi politici in disaccordo su tutto tranne che su quello. Prima il fascismo, perché Gentile sosteneva che le materie scientifiche erano informative e non formative come le umanistiche. E poi il 68, con la potenza delle idee. Due visioni politiche che hanno tenuto in assoluto spregio la realtà. Il fascismo molto di più, per carità. Ma anche gli altri non ci sono andati leggeri». 
Risultato? 
«Siccome la nostra scuola è ancora figlia di Gentile, capita che si studi l’incomprensibile Hegel e si trascuri Nicola Cusano. Per non parlare della musica, sintesi perfetta di matematica e arte, razionalità ed emozione. Così maltrattata che, oggi, in Italia, aver frequentato il Conservatorio fa curriculum in senso negativo». 
Anche lei ci andò. 
«Sì, sono un basso, mi piaceva il repertorio barocco. Poi mi hanno spiegato che occorreva il talento. Ora non canto più neanche sotto la doccia, ma continuo a considerare la musica il dessert dell’anima»
Dopo Vento in scatola che è in classifica, scritto con l’ergastolano tunisino Glay Ghammouri, che cosa prepara? 
«Il Bar Lume sempre. E un piccolo saggio scientifico sul tema della causalità. Una sfida formidabile, che comporta il saper dividere il mondo in cause ed effetti».