Il Messaggero, 6 luglio 2019
Storia di Antigone
La recente vicenda della Capitana della Sea Watch, arrestata (e subito liberata) per aver violato le leggi dello Stato, ha ispirato a molti la figura di Antigone. Quale che sia l’opinione che si è fatto il lettore, questa è una buona occasione per onorare la figura dell’eroina di Sofocle, e una tragedia che neanche Shakespeare è riuscito a superare in complessità di struttura e potenza emotiva.
La storia è nota: Creonte, tiranno di Tebe, vieta la sepoltura di Polinice, che ha portato le armi contro la Patria, ed è morto combattendo contro il fratello Eteocle. Antigone, ritenendo la decisione contraria alla pietas verso il defunto e sfidando la pena di morte prevista per il trasgressore, tumula il cadavere e viene scoperta. Davanti a Creonte ammette, come si dice, l’addebito, e afferma sicura che neanche un tiranno può «varcare i sacri limiti delle leggi non scritte ed immutabili».Creonte la condanna ad esser sepolta viva, a solenne monito per eventuali emulatori. Suo figlio Emone, innamorato della fanciulla, implora invano la grazia. Davanti al rifiuto del padre raggiunge Antigone, che nel frattempo si è impiccata, e si trafigge accanto a lei, proprio mentre Creonte, pentito, arriva giusto in tempo per vederlo morire. Tra un suicidio e l’altro, Sofocle si domanda se-indipendentemente dalle leggi scritte o non scritte – in questo mondo esista una Giustizia.
IL MOTIVOWill Durant scrisse che Sofocle fu il Giobbe della Grecia, come Eschilo fu il suo Isaia ed Euripide il suo Ecclesiaste. E disse il vero, perché uno dei motivi dominanti delle sue tragedie risiede nell’eterna domanda del rapporto tra il comportamento umano e quello divino, quando tutto lascia supporre l’assenza di un intervento retributivo che premi il buono e punisca il cattivo. Il castigo, che in Eschilo era – teologicamente – la conseguenza di una colpa e il ristabilimento di un equilibrio, in Sofocle è un evento inaccessibile alla nostra comprensione, e riflette l’incolmabilità della distanza tra gli uomini e gli dei. Sofocle non arriva allo scetticismo negativo di Euripide: era un ricco uomo di mondo, impegnato in politica e valente generale, (nel secolo d’oro di Atene il pacifismo significava viltà e tradimento) e non ignorava l’importanza della religione come vincolo sociale. Così, non perde occasione per proclamare che tutto avviene per volontà di Zeus, e, proprio come Giobbe, alla fine si inchina riverente alla sua imperscrutabile volontà. Nondimeno il dubbio rimane. Probabilmente, come Kant, anche Sofocle cercava di convincere se stesso che i limiti della ragion pura devono essere colmati dalla ragion pratica, e che la legge morale scolpita dentro di noi dev’essere ritenuta criterio sufficiente per il nostro agire.
Ed è questo i messaggio di Antigone. Il suo appello alle norme non scritte, immutabili ed eterne, svincolate dalle leggi positive e soprattutto da quelle di un tiranno, è l’estremo tentativo di coniugare Fede, Giustizia e Ragione, traendo dal nostro cuore quei comandamenti che vi sono stati scolpiti dal Nume.
DIGNITÀMa attenzione: la dignità etica della ribellione alla legge ingiusta sarebbe avvilita se la protagonista si sottraesse alle sue conseguenze legali: i cavilli procedurali, le contorsioni difensive, le giustificazioni pedanti non sono previste nel codice morale della martire. Antigone non cerca scuse, afferma orgogliosamente la sua trasgressione volontaria, e ne accetta le conseguenze. Come Socrate, sfida il suo giudice sul terreno dell’etica, ma ne riconosce, sia pur beffardamente, la legittimazione autoritaria. È questa magnanimità sacrificale che ci ispira nei suoi confronti un’incondizionata simpatia, e un’adesione spontanea alle sue determinazioni fatali.
Un’Antigone che pronunciasse un’articolata difesa fondata sull’interpretazione causidica, sull’esistenza di scriminanti o, sulla mancanza di dolo, sarebbe una penosa caricatura del modello morale della protagonista, che acquista significato non tanto nella preordinata violazione della norma quanto nella volontaria sottomissione alla sanzione.
Se la tragedia finisse qui, il messaggio sarebbe chiaro ed univoco: la legge positiva si afferma sulla legge morale nel comando del tiranno, ma ne esce sconfitta nel giudizio dello spettatore, e quindi nell’Atene del V secolo del cittadino. Sennonché è lo stesso Sofocle a insinuare il dubbio se l’intrepida risoluzione di Antigone, pur assecondando il nobile imperativo individuale, non confligga in realtà con l’interesse collettivo.
DISTACCOIl Coro (che rappresenta in parte la Società religiosa, in parte lo stesso Autore) sembra commentare con un certo distacco questa insubordinazione. Anzi, davanti alle affermazioni di Creonte che «se uno Stato ha posto un uomo al suo governo, è un dovere obbedirgli in tutto, nelle piccole e grandi cose, nelle giuste e nelle ingiuste, perché la vita dei popoli trae salute solo dall’obbediente disciplina», il Coro risponde : «Ci pare un giusto ragionare». Anche qui Sofocle, anticipando San Paolo, pare suggerirci che, con tutta la venerazione per gli eroi dell’etica, la disubbidienza civile rischierebbe di frantumare l’unità e la sicurezza dello Stato. E anche se nel finale l’equilibrio viene ricomposto con la punizione del tiranno, i quesiti restano insoluti. Come per Giobbe, non ci resta che un atto di fede.
Di tutte le inquietudini che questa tragedia suscita nelle anime sensibili, quella più lacerante, e consolidatasi nel tempo, è dunque quella se un reato possa essere giustificato dalla prevalenza dell’imperativo morale, e la tentazione di rievocare la figura di Antigone riemerge ogniqualvolta si viola la legge in nome di principi superiori. Sappiamo quanto questo conflitto abbia agitato gli spiriti religiosi davanti alla prospettiva del tirannicidio. Claus Von Stauffenberg, Henning von Tresckow ed altri congiurati del 20 luglio vinsero presto queste perplessità. Altri, al contrario, esitarono fino all’ultimo. Tutti comunque pagarono con la vita, rivendicarono con orgoglio la scelta di uccidere Hitler, e nessuno si nascose dietro alibi puerili.
Ma questi esempi sono rari. Oggi la disobbidienza civile si accompagna spesso ad una petulante rivendicazione di superiorità etica, assistita dalla compiacente adesione di altrettanti veri o presunti maestri di pensiero, che convertono la tremenda solitudine di Antigone in un coro plaudente, e magari in comizi politici. Finchè, come è accaduto di recente per la Capitana della Sea Watch, sparisce anche il tiranno, e invece di chiudere alle spalle dell’eroina le porte del sepolcro, la Legge le apre quelle della liberazione. Con i complimenti dei sindaci che le offrono, con un bicchiere di zibibbo, la cittadinanza onoraria.