Il Sole 24 Ore, 6 luglio 2019
Svolta al processo Ilva, assolto Fabio Riva
Assolto perché il fatto non sussiste dal reato di bancarotta del gruppo Ilva. Con la sentenza del gup di Milano, Lidia Castellucci, al termine del processo con rito abbreviato, Fabio Riva, a capo dell’omonimo gruppo dell’acciaio che controllava l’ex Ilva di Taranto insieme al padre Emilio e al fratello Nicola, archivia, per ora, una delle vicende giudiziarie più pesanti che lo hanno coinvolto. L’Ilva, infatti, secondo l’accusa di due Procure, ha costituito l’incrocio di più reati. Economici-finanziari, su cui hanno indagato i magistrati di Milano, ed ambientali e di sicurezza del lavoro, di competenza, invece, di quelli di Taranto. La sentenza del gup arriva a valle di un procedimento giudiziario che è partito più di due anni fa.
Due fratelli, due giudizi
Fabio e Nicola Riva hanno cercato di patteggiare a febbraio 2017 ma si sono visti sbarrare la strada. Altro tentativo a ottobre 2017 con una richiesta di patteggiamento a cinque anni per Fabio Riva e a due per Nicola. Nuovo disco rosso da parte dell’allora gup Chiara Valori, che parlò di pena “incongrua” a fronte della bancarotta contestata. E prima del gup Valori, il gip Maria Vicidomini ha respinto sia le istanze dei Riva sulle pene, giudicandole troppo basse, che l’accordo proposto dagli stessi Riva per far rientrare in Italia il miliardo di euro che era all’estero, sequestrato dalla Procura di Milano. Per i Riva, però, la situazione si è progressivamente sbloccata in seguito. È arrivato infatti l’ok di un altro magistrato alla transazione tra Riva, Procure e commissari Ilva (definita a dicembre 2016) con la messa a disposizione di questi ultimi di circa un miliardo e 300 milioni (fra risorse fatte rientrare dall’estero ed altre aggiunte) sia per la bonifica dello stabilimento di Taranto, che per la gestione corrente dell’azienda. Solo per la bonifica, i fondi sono stati vincolati, trasferiti al Fondo unico Giustizia e affidati alla competenza di spesa dei commissari dell’amministrazione straordinaria Ilva. Si tratta di un miliardo circa, di cui 635 milioni tra spesi o assegnati e altri 448 da utilizzare. La bonifica dei commissari riguarda le parti non produttive della fabbrica escluse dal perimetro di cessione ad ArcelorMittal. Inoltre, a proposito dello sblocco progressivo per i componenti della famiglia Riva, a maggio 2017 ha patteggiato due anni e mezzo Adriano Riva, fratello di Emilio, entrambi scomparsi: Emilio ad aprile 2014, Adriano a maggio scorso. Adriano, nel giudizio che lo ha riguardato, ha anche rinunciato ad entrare in possesso delle somme sequestrate dalla Procura di Milano e poi fatte tornare in Italia con la transazione, mentre a febbraio 2018 ha patteggiato tre anni Nicola Riva. Era rimasto Fabio Riva che nel frattempo ha scelto il rito abbreviato e che ieri è stato assolto dal gup dal reato di bancarotta. Un verdetto che ha fatto esprimere soddisfazione ai suoi avvocati, Salvatore Scuto e Gian Paolo Del Sasso. La pubblica accusa, che ha chiesto la condanna a cinque anni, ha già annunciato impugnazione in appello.
Con l’assoluzione di Fabio anche per Nicola Riva si potrebbe configurare una situazione per molti versi analoga a quella che ha coinvolto i figli di Salvatore Ligresti nel processo torinese per aggiotaggio informativo sui bilanci Fondiaria Sai. In particolare nella vicenda processuale di Giulia Ligresti che nel 2013 patteggiò due anni e otto mesi di carcere, dopo essere arrestata il 17 luglio dello stesso anno. Il 17 dicembre 2015, infatti, il fratello di Giulia e Jonella Ligresti, Paolo venne assolto a Milano (sempre in rito abbreviato) dalle medesime accuse rivolte alla sorella. La conseguente richiesta di revisione del processo portò al proscioglimento della figlia dell’ingegnere (nel frattempo scomparso) e alla conseguenze cancellazione della precedente condanna patteggiata con i pm torinesi.
Resta il disastro ambientale
Ma il reato di bancarotta non è stato l’unico contestato a Fabio Riva. L’ex proprietario Ilva è infatti ancora al centro del processo in Corte D’Assise a Taranto denominato “Ambiente Svenduto”. È il filone che riguarda l’inquinamento dell’acciaieria dopo il sequestro dell’area a caldo da parte del gip Patrizia Todisco a luglio 2012. Fabio Riva, per il quale fu spiccato mandato di arresto a novembre 2012 dal gip di Taranto e che è rientrato in Italia a giugno 2015 dopo oltre due anni di latitanza, risponde, in concorso, di associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, all’omissione dolosa di cautele per la sicurezza sul lavoro e all’avvelenamento di sostanze alimentari. Gli viene contestata anche l’accusa di corruzione in atti giudiziari per la storia di una presunta tangente che avrebbe fatto versare ad un consulente della Procura sul dossier Ilva. Il processo di Taranto è ancora lontano dal concludersi. Gli imputati sono 47: 44 persone fisiche (tra i Riva, loro fiduciari, ex manager e rappresentanti della fabbrica ed ex amministratori e funzionari pubblici) e 3 società.
L’incrocio delle vicende giudiziarie con effetti dirompenti ha portato l’Ilva ad essere commissariata dal Governo nel giugno 2013, collocata in amministrazione straordinaria per l’insolvenza accertata dal Tribunale di Milano a gennaio 2015, quindi ceduta, dopo una gara lanciata dai commissari, ad ArcelorMittal a giugno 2017. E sul fronte ArcelorMittal non mancano i problemi. Dopo il vertice dell’altro ieri col ministro Luigi Di Maio, si attende di sapere come si concretizzerà la norma correttiva-interpretativa sull’immunità penale relativa al piano ambientale che lo stesso Di Maio ha annunciato relativamente all’articolo 46 della legge “Crescita”. L’azienda fa di questa garanzia legale un punto dirimente per proseguire i suoi investimenti su Taranto. Il 9 luglio, infine, altro incontro di Di Maio, anche con i sindacati, per discutere sia dell’attuazione dell’accordo di settembre 2018, che ha ufficializzato l’ingresso di ArcelorMittal in Ilva con 10700 assunzioni, che del ricorso, da parte dell’azienda, alla cassa integrazione ordinaria per 13 settimane, per crisi di mercato, per 1400 dipendenti di Taranto.