Corriere della Sera, 6 luglio 2019
La casa di Noero con stanze larghe 54 cm
Osservandolo da lontano, in quella via stretta ai margini del centro di Torino, l’edificio ottocentesco si erge come una torre larga pochi metri. Avvicinandosi invece appare come uno strano parallelepipedo, troppo alto in rapporto alla base. Ma è solo oltrepassandolo che si svela la sua forma reale, rastremata fino a raggiungere dal lato opposto una larghezza di poco più di 50 centimetri, la quale, di profilo, lo fa sembrare solo facciata senza niente dietro. Come fosse il simulacro di un palazzo. Si tratta invece di una casa vera – abitazione (privatissima) del gallerista Franco Noero e della moglie Barbara – che tutti i torinesi conoscono con il soprannome, per via di quella singolare forma trapezoidale, di «fetta di polenta».
L’ingresso è un portoncino, e appena entrati già si percepisce che cosa sia in concreto quel volume esiguo, basso e asimmetrico. Franco e Barbara Noero, per accoglierci, devono scivolare da una parte: lo spazio è minimo e la porta aperta lo occupa tutto, compresso tra la scala e un locale che parte stretto e poi si allarga. «Acquistammo all’asta questa casa nel 2005, praticamente a scatola chiusa. La realizzò Alessandro Antonelli, l’architetto della Mole, per estendere in altezza un suo microscopico lotto di terreno. Ebbe vari usi pubblici, poi fu divisa in appartamentini di 32 metri quadrati, uno per piano; in seguito diventò casa di un solo proprietario che chiamò Renzo Mongiardino per gli interni», rievoca Franco Noero di questo luogo, che dal 2008 per cinque anni è stato la sua galleria. «Io non ci ero mai entrato, ma era da sempre la mia ossessione. E appena seppi dell’asta, non ebbi dubbi. E ce la aggiudicammo».
La stanza di ingresso racconta questi trascorsi: un’opera d’arte alla parete («A breve sparirà: è stata venduta», precisa), una scultura di Franco Raggi, un porta reliquie messicano, un tavolo di design «puro» di Ag Fronzoni accanto a uno del ‘700 su gambe a zampa rifinite da metà in giù («Nasceva per essere vestito», spiega Noero). A terra una gabbia di pappagallini: «Siamo in attesa di quella definitiva, la sta realizzando Andrea Branzi», spiega. Come dire: arte, design, architettura, sì, ma a patto che siano speciali. O unici, verrebbe da dire proseguendo nella visita (e nella storia): «La cucina è identica a come la creò Mongiardino», raccontano i padroni di casa di questo locale ipogeo, volta bassa imbiancata, pavimento in cotto sbreccato ma restaurato alla perfezione, e piastrelle bianche e blu, «Molte erano rovinate, ma abbiamo ritrovato la ceramista che le realizzò, e le ha rifatte identiche». Cucina a gas, tavolo e sedie di allora, elettrodomestici versione piccola: «Preghiamo che non si rompano: per trasportare il frigorifero abbiamo tagliato una parte della scala, che fu lasciata apposta in mattoni, facili da demolire e rimettere in caso di bisogno...». Giù ancora di un livello, il bagno turco (funzionante): «Era intatto», dicono, come perfetto è il rivestimento in mosaico rosso e oro della doccia e nel locale che lo precede, oggi piccola palestra. Con tanto di vecchio telefono.
ìSi riprende la scala («Balaustra e gradini sono più piccoli dello standard, ma proporzionati perché non si noti») che collega ogni piano e separa il locale più ampio da uno minuscolo, messo nel punto più stretto del trapezio: «A seconda del piano, contiene i nostri guardaroba, dei piccoli bagni, madia, dispensa, locali tecnici». Stretti fino a 54 centimetri. Salendo i 7 piani, sul lato «grande» si incontrano il soggiorno, la camera della figlia Felicita e quella degli ospiti, la loro stanza da letto (unica a doppio livello, con tanto di living e bagno). L’arte qui è meno presente, per tornare prepotentemente negli ultimi due piani: «Rimasti uguali a quando la casa era galleria. Ospitavamo qui anche gli artisti che creavano site-specific». Uno di loro è stato Martino Gamper, che ancora ricorda della vasca in mosaico tutto d’oro inerpicata nel punto più stretto, come si legge nel volumetto «A house of three corners», appena editato da Noero per celebrare il ventennale della galleria. Elegante racconto tra passato e vissuto personale, illustrato da foto della «vita artistica» della casa. E il futuro? «A volte vagheggiamo di trasformarla in un piccolo grand hotel – sorridono —, con tanto di spa». Continuando a darle nuove vite. Possibilmente eccentriche.