Corriere della Sera, 6 luglio 2019
Scoperto il rapitore di Mirko Panattoni
Poco o niente era stato scoperto su quel Maggiolino nocciola. I rapitori l’avevano ripulito in fretta e furia, prima di rifugiarsi non si è mai saputo dove. Ma un’impronta era sfuggita e adesso, a 46 anni di distanza, porta la prima, vera svolta nel caso di Mirko Panattoni, il bambino che inaugurò una stagione di rapimenti e riscatti, talmente intensa da imporre un inasprimento delle pene per il reato di sequestro di persona.
In un’informativa, depositata in questi giorni dalla polizia alla Direzione distrettuale antimafia di Brescia, è racchiuso il nome di chi potrebbe avere guidato l’auto su cui il piccolo di 7 anni fu caricato fuori da scuola. Era il 21 maggio 1973, in Città Alta, davanti a testimoni e a due passi dalla storica gelateria dove Enrico Panattoni, il padre di Mirko, aveva già brevettato il mitico gusto stracciatella. Un clamoroso scossone della Squadra mobile a un fascicolo ingiallito negli archivi del tribunale, ma che, per una beffa della legge, rischia di non muovere una foglia.
È tutto prescritto, dice il codice di allora, a cui i giudici sono tenuti a fare riferimento. Fosse applicabile quello attuale, in teoria, ci sarebbe margine fino al 2033, perché il massimo della pena per il sequestro di persona a scopo di estorsione oggi è di 30 anni, e il tempo in cui i fatti si prescrivono il doppio: 60. Accade così per alcuni reati considerati particolarmente gravi, vale anche per l’omicidio stradale.
Sul caso Panattoni, il sipario si era già abbassato negli Anni Novanta, dunque, ma la Procura ci ha provato comunque con un fascicolo formalmente aperto dal pm Paolo Savio ad aprile e per il quale, ora, non c’è alternativa all’archiviazione. Un tentativo probabilmente per escludere che non ci fossero vie d’uscita nascoste in qualche piega della legge e imposto dal lavoro puntiglioso svolto in questura a Bergamo a partire da gennaio, quando Panattoni riceve una telefonata che gli fa suonare un campanello d’allarme.
In prescrizione
Il bimbo di sette anni fu preso fuori da scuola nel 1973 Ora il reato è prescritto
È il fisso del ristorante sopra la gelateria, a squillare. I luoghi sono gli stessi dei tempi del sequestro, finito con 300 milioni di lire chiusi in una valigia e la liberazione del bimbo al diciassettesimo giorno di prigionia, in tempo per gli esami di seconda elementare. Dall’altra parte della cornetta, un uomo sostiene di conoscere la verità sui responsabili. Cita un nascondiglio nelle Marche e riporta un dettaglio che Panattoni non è sicuro di avere mai rivelato: dall’interno del covo si sentiva il rumore degli elicotteri.
Quel particolare, dopo decine di contatti cestinati negli anni, lo convince a rivolgersi alla polizia. Dagli accertamenti risulterà un mitomane. Degli elicotteri, in realtà, qualche giornale aveva scritto. Ma nel rimettere la testa sulle carte, gli investigatori s’imbattono nell’impronta. Era stata isolata nella Volkswagen, rubata la notte precedente e poi abbandonata in una zona semi centrale della città. Ciò che agli occhi degli inquirenti, di oggi come di allora, la rende interessante è che è stata lasciata in un punto dell’abitacolo compatibile con la guida. Finora, però, non si era mai arrivati a darle un volto. È quello invecchiato di un pregiudicato di origini campane, che oggi ha 69 anni e vive in Brianza. Anche nel 1973 erano state eseguite comparazioni, ma all’epoca era incensurato. Con un arresto e due condanne definitive per estorsione e assegni a vuoto, le sue generalità sono poi entrate nei database delle forze dell’ordine. E questa volta si è accesa la lucina verde. Per dire che fu lui l’autista della spedizione, però, non è abbastanza e con la prescrizione già certa il 69enne non è nemmeno stato indagato. Il fascicolo era e resta a carico di ignoti.
Colpiscono, tuttavia, gli elementi messi in fila dalla polizia in pochi mesi di approfondimenti sul suo conto. A parte l’impronta, il nome del campano risulta collegato a un’abitazione da cui, nei giorni del sequestro, era partita una telefonata ai Panattoni «attenzionata» dagli investigatori. Un’abitazione, peraltro, molto vicina al luogo dove fu ritrovato il Maggiolino. La tecnologia consentiva poco, non si conoscono i motivi per cui quella chiamata avesse attirato l’attenzione. Sta di fatto che la padrona di quella casa ha poi venduto un immobile a Milano al figlio del presunto autista. Forse una semplice coincidenza, ma i pochi riscontri non hanno di certo restituito l’idea di un ambiente rassicurante. Al marito della donna in questione, a metà degli Anni ‘90, fu sequestrato un arsenale.
Panattoni, che porta avanti l’attività di famiglia, un piccolo impero della ristorazione a Bergamo, ogni giorno ripercorre la strada dove 46 anni fa fu prelevato dagli uomini con la «cuffia». Nemmeno conosceva la parola passamontagna. Non ha mai ricordato volentieri, quel periodo. Difficile voltare pagina senza verità né giustizia.