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 2019  luglio 06 Sabato calendario

Sondaggi, gli italiani sono per i porti chiusi

La vicenda Sea Watch, com’era lecito attendersi, ha avuto un’elevata risonanza nell’opinione pubblica e non avrebbe potuto essere altrimenti, tenuto conto dei toni violenti che l’hanno accompagnata: circa due italiani su tre (63%) l’hanno seguita con attenzione e il 29% ne ha almeno sentito parlare, solo l’8% la ignora. Sono dati simili a quelli registrati nello scorso settembre in occasione del caso della nave Diciotti, quando l’88% risultava a conoscenza della vicenda.
Oggi come allora gli italiani si confermano nettamente a favore della linea della fermezza che impedisca gli sbarchi sul territorio italiano dei migranti soccorsi in mare dalle navi delle organizzazioni umanitarie: il 59% si dichiara molto (34%) o abbastanza (25%) d’accordo, mentre il 29% è contrario. Dieci mesi fa i favorevoli erano pari al 61%. Oggi l’accordo è plebiscitario tra i leghisti (99%) e risulta largamente prevalente tra i pentastellati (77%) e gli elettori dell’opposizione di centrodestra (59%). Va notato che tra gli elettori di centrosinistra, pur prevalendo la netta contrarietà alla chiusura dei porti, uno su cinque (19%) si dichiara a favore. Inoltre, il consenso è particolarmente elevato tra le persone di oltre 35 anni, tra i lavoratori autonomi e gli operai. E i credenti che partecipano alla messa con frequenza elevata, esprimono un livello di accordo in linea con il dato complessivo, mostrando di stare più dalla parte di Salvini che di papa Francesco. 
Il consenso alla linea salviniana non appare tanto dettato dalla preoccupazione che il nostro Paese non sia più in grado di accogliere altri migranti (solo il 28% è di questo parere), quanto piuttosto dall’esigenza di coinvolgere gli altri Paesi europei nella gestione dei flussi (71%). Il braccio di ferro, quindi, è considerato l’unico modo possibile per costringere le altre nazioni europee a fare la propria parte, nella convinzione – largamente diffusa – che l’Ue ci abbia lasciato soli.
Nel merito della vicenda Sea Watch le opinioni degli italiani sono molto diversificate, anche se le responsabilità principali vengono addossate più alla ong (30%) che al governo italiano (18%); inoltre il 20% ritiene che sia l’ong sia il Governo abbiano cercato lo scontro e l’11%, salomonicamente, ritiene che si sia trattato di una sorta di gioco delle parti nel quale la prima è stata mossa dall’urgenza di prestare soccorso ai migranti e il secondo da quella di far rispettare la legge. Ma il 21% non è in grado di prendere una posizione al riguardo. 
Lo scontro di questi giorni è stato fortemente personalizzato: non sono mancati pesanti insulti nei confronti della capitana della Sea Watch, Carola Rackete, non solo nell’anonimato del mondo virtuale dei social e non solo da parte di facinorosi, basti pensare ad alcune frasi pronunciate sulla banchina di Lampedusa nel momento dello sbarco da molti dei presenti o a quelle pronunciate a più riprese dal ministro e vicepremier Salvini, cui ha fatto seguito l’annuncio di querela per diffamazione da parte dei legali della capitana. Ebbene, in questo derby tra capitani la maggioranza degli italiani (53%) sta con «il capitano» Salvini, mentre il 23% si schiera con la capitana Rackete, e uno su quattro (24%) non si pronuncia.
Infine, la vicenda si ripercuote sulla reputazione delle ong che, da quando nel 2017 furono definite da Luigi Di Maio «taxi del mare», hanno perso l’immagine positiva e quella sorta di aura di bontà di cui godevano: oggi il 56% degli italiani le considera organizzazioni che agiscono per scopi economici, mentre solo il 22% ritiene che siano mosse da intenti umanitari. A ciò si aggiunge il crollo di fiducia nei confronti delle organizzazioni non profit, che passa dall’80% del 2010 al 39% odierno. Il discredito colpisce duramente un intero settore che non comprende solo le ong impegnate nei soccorsi in mare e nell’accoglienza dei migranti, ma rappresenta oltre 340mila realtà che operano nei settori più disparati, dai servizi alla persona (infanzia, anziani, disabili, ecc.) alla cultura, dallo sport alla cooperazione internazionale. Dunque, non stupisce che con la fiducia stiano diminuendo anche le donazioni destinate al non profit. È solo uno dei tanti effetti collaterali del greve stile comunicativo della stagione politica attuale.