La Stampa, 6 luglio 2019
La dissoluzione della Libia come Stato
Quarantaquattro migranti sono stati uccisi e 130 altri feriti durante un raid lanciato (probabilmente) dall’esercito del maresciallo Haftar, che controlla gran parte del territorio libico e conduce un’offensiva militare dal 4 aprile 2019 contro le forze del governo d’unione nazionale di Fayez al-Sarraj, riconosciuto dall’Onu. Dato che Khalifa Haftar sembra in posizione di forza, ha ricevuto il sostegno degli Stati Uniti ed è stato ricevuto recentemente dal presidente francese Macron. Da una parte, un governo legale («d’unione nazionale») ma debole e che dispone di pochi mezzi per resistere, dall’altra un vecchio compagno di strada di Gheddafi, che ha trascorso qualche anno d’esilio in America, che ha saputo lottare efficacemente contro gli islamisti e che controlla i territori dove si trovano i pozzi petroliferi. Come al solito l’America ha scelto i suoi interessi. Ha appena bloccato una risoluzione proposta dalla Gran Bretagna alle Nazioni Unite, relativa al raid nella notte fra il 2 e il 3 luglio contro il centro di detenzione dei migranti a Tajura, vicino a Tripoli. Un osservatore ricorda nel settimanale Le Nouvel Observateur questa dichiarazione di Franklin Roosevelt sul dittatore del Nicaragua Anastasio Somoza: «È forse un figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana». Trump ha fatto la sua scelta. Sostiene Haftar contro Sarraj. La spirale della violenza si trova lungi dal placarsi. La Libia non ha mai rappresentato uno Stato di diritto e neppure uno strutturato. Durante quattro decenni, il colonnello Gheddafi era riuscito a calmare un insieme di cinque tribù principali che si dividevano il Paese. Oggi la battaglia è permanente: né l’Europa né l’Onu riescono a trovare una soluzione accettabile per il clan dei legalisti e l’altro, più forte ma la cui legittimità non si è imposta.
Il nascondiglio di Daesh
In questo Paese l’esercito battuto dello Stato islamico ha trovato rifugio (soprattutto a Sirte) e conferma la sua volontà di organizzarsi di nuovo per terrorizzare il mondo. L’obiettivo di Daesh è fare della Libia la sua base di partenza per esportare terroristi nei Paesi vicini. La frontiera con la Tunisia è uno dei passaggi più facili. Il doppio attentato suicida, il 27 giugno scorso, nel centro di Tunisi, è stato rivendicato da Daesh.
È in questo contesto che i migranti e i rifugiati si ritrovano presi fra l’incudine e il martello. Si stima la cifra di 660mila migranti residenti in Libia nell’attesa di trovare un mezzo per raggiungere l’Europa. Meno di 2mila persone sono riuscite a passarvi dal gennaio 2019. Nello stesso periodo altri 343 migranti hanno perso la vita tentando di attraversare il Mediterraneo.
L’inferno libico
Ci ricordiamo le immagini diffuse da Cnn in cui si vedono dei migranti venduti all’asta come schiavi nel novembre 2017. Indignazione ed emozione. Ma questo non ha impedito a uomini, che sono fuggiti dal loro Paese, di conoscere un altro inferno in questa Libia intrappolata in una guerra per il potere. Molti rifugiati sono siriani. È difficile rinviarli a casa loro. Bashar al-Assad non li riceverà con i fiori. Si è abituato ad assassinare il suo popolo e a rimanere impunito. L’assenza di una reazione vivace da parte dell’America di Obama nell’agosto 2013, quando il presidente siriano utilizzò le armi chimiche per eliminare il maggior numero di persone, gli ha dato una sorta di licenza di uccidere senza che si debba preoccupare. Da qui un numero sempre più importante di rifugiati siriani alla ricerca di un Paese che possa concedere loro l’asilo. La Libia non può essere questo Paese. Ma aspettando di lasciarlo, sono in pericolo. È giunto il momento che le Nazioni unite intervengano affinché i siriani che sono fuggiti da una dittatura assassina possano ritornare in patria. È esattamente quello che chiedono. Nessuno preferisce l’esilio e i suoi tormenti a una vita tranquilla nel proprio Paese natale. Ma le Nazioni Unite hanno poco potere e gli americani hanno accettato fin dagli inizi di arrivare a patti con Bashar al-Assad qualunque siano i crimini che commette sul suo popolo. I migranti potrebbero ritornare a casa loro, se l’organizzazione internazionale imponesse ai dirigenti di questi Paesi africani una soluzione che assortita di investimenti e aiuti economici per quelli che sono realmente poveri. È comunque fuori discussione aiutare Paesi ricchi come il Gabon o la Nigeria.
L’intervento europeo
Una nuova politica europea in Africa potrebbe essere l’inizio di una soluzione a questa migrazione clandestina che non può forzare le porte dei Paesi europei. Una lotta in ogni modo determinata contro la mafia dei trafficanti potrebbe facilitare questa nuova politica. Si sa che i problemi dei migranti e dei rifugiati sono ampiamente sfruttati dai partiti populisti e di estrema destra. Non si può aspettare che la situazione in Libia sia pacificata per salvare queste centinaia di migliaia di uomini e di donne vittime del caos di un Paese che la morte di Gheddafi ha lasciato nello sgomento e in un grandissimo disordine, un Paese che oggi ha due governi e due parlamenti. Alla fine questo caos sembra beneficiare solo al terrorismo che non ha rinunciato a essere la disgrazia del mondo.
Traduzione a cura di Leonardo Martinelli