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 2019  luglio 06 Sabato calendario

In morte di Ugo Gregoretti

Maurizio Porro per il Corriere della Sera
È morto ieri a 88 anni, il regista «provocatore» Ugo Gregoretti (oggi alle 18 i funerali nella Chiesa degli artisti a Roma), che ha sbandierato il suo talento grottesco e il suo impegno civile adattandolo alla Rai, dove fu assunto nel ’53 come impiegato di categoria C, continuando col cinema, nella covata degli anni 60 di Loy, Pasolini, Cavani; infine col teatro di prosa (Il bugiardo di Goldoni con Proietti e Petrolini) e lirico, diventando direttore dello Stabile di Torino dal 1985 al 1989 e mettendo in scena un’edizione fuori schema di Uomo e galantuomo di Eduardo.
Osservatore feroce, dissacrante e sempre disilluso di un Paese in cambiamento, di cui guardava l’omologazione al peggio, spesso in linea diretta con le mutazioni del mondo operaio e politico (il documentario del 75 Vietnam scene dal dopoguerra), fece da pedagogo giornalista lezioni aperte sull’Italia attraverso i molti lavori tv La Sicilia del Gattopardo (premiato debutto), Controfagotto, il salgariano Le tigri di Mompracem, un omaggio a Zavattini, una serie sul romanzo popolare italiano.
Fu regista di alcuni feroci film di nicchia, il documentarismo impegnato di Antifascisti a Roma e Comunisti quotidiani, oltre al fanta realismo di Omicron con Salvatori, all’inchiesta sul cambiamento dei giovani dei Nuovi angeli, e Le belle famiglie, satira farsesca a episodi sugli intrighi sentimentali con un finale di classe con Totò, Sandra Milo, Rochefort e Celi. Diresse il Pollo ruspante episodio con Tognazzi di Ro.Go.Pa.G. (sul controvalore della pubblicità, accanto alla Ricotta di Pasolini), infine a tu per tu col mondo di Dickens nello sceneggiato Il circolo Pickwick.
Gregoretti fu amante di ogni contaminazione e oltraggio, di rabbiosa satira, girando documentari sindacali, a volte biografici (Apollon, Maggio musicale, un reportage su Berlinguer) e mise in scena, culmine della preveggente contaminazione, un’edizione rivisitata col dialetto napoletano del Purgatorio. Appassionato studioso delle proprie esperienze (la sua autobiografia si intitola Finale aperto, ristampata come La storia sono io), ha ricevuto premi e onorificenze, il Nastro d’argento alla carriera: fu socio onorario del Rotary Club di Benevento pur avendo dal 70 aderito al Partito Comunista rimanendo poi nell’area. Nella sua lunga carriera non si è fatto mancare nulla, con alcune tappe nell’opera (Italiana in Algeri nel ’79 a Torino, e poi Donizetti, Verdi, Cimarosa), dirigendo il Festival di Benevento e dal ’95 l’Accademia Silvio D’Amico di Roma.
Attraverso la tv il suo volto, con incorporato un ghigno satirico (famosa la rubrica giornalistica mixer Controfagotto e Sottotraccia, inchiesta sull’Italia contemporanea del ’92), divenne noto e così fece anche a tempo perso l’attore, partecipando a film di Sordi (Amore mio aiutami), Scola (La terrazza), Festa Campanile e Luchetti. Certo la sua appartenenza fu alla tv come strumento di conoscenza e provocazione, facendo l’autore di una Domenica in con la Parietti e Cotugno ma anche allestendo l’elisabettiano Middleton, a dimostrazione di un interesse globale di cinema e teatro sempre visto attraverso una personale lente deformante: diceva di aspirare a essere un sociologo strutturalista ma popolare e in qualche modo c’è riuscito.


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Silvia Fumarola per la Repubblica
Ugo Gregoretti era un uomo colto, gentile, dotato di eleganza naturale e di un’ironia in cui mescolava giudizio e affetto. Un intellettuale che ha rivoluzionato il linguaggio televisivo e che per colpa del piccolo schermo, diceva lui («per molti ero un miserabile rospo che usciva dal pantano maleodorante della disprezzatissima tv»), non era stato accolto dal cinema. È morto nella sua casa a Roma, a 88 anni, e ci mancherà il suo sguardo mai banale sulle cose del mondo. Teatro (ha curato oltre cinquanta spettacoli), opera, documentari, film (I nuovi angeli, Ro.Go.Pa.G., Omicron), Gregoretti era arrivato in Rai nel 1953 come spiegava lui stesso «grazie a una potente raccomandazione», giovane di ottima famiglia incerto se fare richiesta di iscrizione al Partito comunista italiano perché possedeva duecento cravatte. Ma la cosa di cui si vantava era «di aver spinto Ettore Scola a avvicinarsi al Pci», amici per tutta la vita «dai tempi di Vittorio Veltroni, quando eravamo ragazzi pieni di speranze, al sit-in davanti alla sede del Mibac per salvare Cinecittà». Anticipa i tempi, spettina gli sceneggiati alla Majano e le inchieste: nel Circolo Pickwick di Dickens con un giovanissimo Gigi Proietti, Gregoretti entrava in scena come un cronista a spiegare cosa stava succedendo, col Controfagotto , che ha fatto scuola, racconta l’Italia a modo suo, sfottendo. «Sfottere è amare» spiegava «anche se può sembrare strano, è un segno d’affetto». Per Pickwick ha uno scontro con Ettore Bernabei, allora direttore generale della Rai, deluso dagli indici di gradimento «Mi mostrò un elenco» ricordava «in cui al penultimo posto c’era Pickwick e all’ultimo il film di Dreyer. Presi il foglio e lo capovolsi così al primo posto c’era Dreyer e poi Pickwick . Mi dissero che per cinque anni non avrei più messo piede in Rai, e così fu». In Rai era entrato a 23 anni, «Veltroni mi incaricò di fare servizi per una rubrica intitolata Semaforo: la domenica del calcio, le spiagge, e altre cosette. Mi tenevano lontano dalla politica. Quando Enzo Biagi divenne direttore del telegiornale mi affidò un pezzo sulle raccomandazioni. Una bomba. Fui uno di quelli che contribuirono alla sua cacciata». Nel ’54 entra in Rai una pattuglia di intellettuali, Eco, Vattimo, Fabiani, Guglielmi, Angela, è la tv “dei corsari” di cui Gregoretti fa parte. La televisione segna la sua vita, in tutti i sensi. Esilarante il racconto dell’arrivo dell’apparecchio in casa. «A Roma abitavo da mio nonno, vecchio signore colto che recitava l’Eneide in latino. Un bel giorno mio padre gli regalò il televisore a 24 pollici e lui fu spodestato da Mike Bongiorno. Le donne di casa non fingevano più di seguirlo, guardavano la tv, a cui il nonno dava le spalle. La sera in cui Nicoletta Orsomando annunciò: “Ora va in onda Semaforo di Ugo Gregoretti”, lui, che si chiamava come me, si girò di scatto verso mia nonna: “Maria, qualcuno non crederà per caso che sia io l’autore?”».
Con lo spettacolo Il mio 900 aveva messo in scena in teatro la sua vita, a Miriam Mesturino era affidato il ruolo dell’adorata moglie Fausta, una vita insieme. Con il documentario La Sicilia del Gattopardo vince nel 1960 il Premio Italia, ne andava fiero, perché aveva battuto la Bbc. Da sempre amico di Andrea Camilleri, si erano prestati a girare il documentario Ugo & Andrea ideato dalle figlie d’arte Andreina e Orsetta, in cui — in auto, spinta a mano per il finto viaggio visto che nessuno dei due ha la patente — raccontavano le loro vite straordinarie. E insieme, qualche anno fa, il gentiluomo rivoluzionario e lo scrittore siciliano, da allegri bastian contrari, avevano interpretato a teatro la fiaba di Pinocchio finalmente dalla parte del Gatto e la Volpe, stanchi della cattiva fama. Irresistibili, impellicciati, a ritmo di rap. Liberi, come hanno vissuto. Oggi l’ultimo saluto: dalle 10 sarà aperta la camera ardente alla Casa del cinema, dove alle 12 si terrà la commemorazione, i funerali si terranno alle 18 nella Chiesa degli Artisti a piazza del Popolo.


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Stefano Balassone per la Repubblica
Ugo Gregoretti ha segnato la vita di molti adolescenti che come noi, nel 1961, erano ancora presi nel liceo. Una sera comparve Controfagotto. E lì, accantonato il greco ed il latino, scoprimmo la potenza senza limiti dell’ironia. Di Gregoretti non sapevamo nulla, salvo che si presentava in cravattino e microfono alla mano, a rivelarci l’esistenza di mestieri dei quali nessuno a scuola ci spiegava. Molti casi si sono cacciati in fondo alla memoria, fanno parte di noi, ma senza farsi ricordare distintamente. Uno però fra tanti ci è rimasto bene impresso, forse perché provocò qualche grana. Quello del politico specializzato nel raccogliere istanze e trasformarle in raccomandazioni. Il politico intervistato era ben contento di manifestarsi nella potenza degli infiniti scaffali dove raccoglieva e classificava a migliaia le cose chieste, quelle ottenute e, va da sé, i voti riscossi in cambio. Meccanismi parademocratici complessi e a noi ignoti, ma così cominciammo ad assaggiarli.
Quello che ci era chiaro, e se ne accennava a scuola, è che, seguendo il farfallino di settimana in settimana, stavamo imparando a stanare le retoriche e le maschere semplicemente facendole parlare, non correndogli avanti a dirgli “come osi?” col ditino alzato, ma sottraendogli, grazie a segni minimi, come la inusuale inappuntabilità e attenzione dell’interlocutore (cioè di Ugo), il consueto contesto in cui il boss era abituato a parlare, agire e pensare. Così lui non capiva quel che in effetti ci diceva e noi invece sì, grazie a Gregoretti, l’organizzatore dell’agguato, che, impostata la trappola la lasciava agire limitandosi a sventolare una piccola esca di tanto in tanto.
Era in sostanza, quella di Gregoretti, una contro-tv, la tv di Bertoldo che si prende gioco dei signori nel mentre che ne pare il servitore. E sembra incredibile che potesse accadere nella stessa Rai che da altre parti imponeva i mutandoni alle ballerine. Sprazzi di capacità egemonica, durata poco, di classi dirigenti che ancora pensavano di doversi confrontare con le idee, ma senza darlo troppo a vedere.
Aiutava naturalmente che intorno alla tv d’allora, ancora di per sé miracolosa, ci fosse un silenzio attento, che non esistesse il telecomando, del resto c’era poco da scegliere, e anziché a zappare, fossimo tutti protesi alle sfumature. Per questo era incisiva senza urlare. E resta irripetibile.