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 2019  luglio 06 Sabato calendario

Il lessico dei sovranisti

«Oggi sono i democratici liberali, i veri nemici della libertà. Essendo io un sostenitore della libertà devo essere illiberale», ha detto Viktor Orbán in un’intervista ed è parso voler fornire materia ulteriore al dibattito sulla “correttezza”, di recente animato da Gustavo Zagrebelsky e Michele Serra suRepubblica. Il contenuto ideologico delle parole del premier ungherese si esaurisce nella mera dichiarazione di illiberalismo, che peraltro è del tutto irrilevante visto che non aggiunge nulla all’evidenza delle politiche di Orbán.
L’uso strumentale della nozione di “libertà” e derivati (“liberalismo”, “liberismo”, “libertario”) è inoltre tipico della destra e ben lo sappiamo nell’Italia che alla libertà ha dedicato case e poli. È la forma logica dell’espressione a rendere invece significativa la dichiarazione.
Il dibattito politico trasgredisce comunemente diversi tipi di correttezza. Gli insulti sessisti alla comandante della Sea Watch 3 sono stati per esempio scorretti dal punto di vista “politico” e morale e anche dal punto di vista della lingua. Orbán ha invece ostentato la volontà di essere scorretto proprio sul piano logico. Dire che chi sostiene la libertà deve essere illiberale è come dire che chi tiene alla giustizia deve essere criminale (e chi tiene allo sport deve essere sedentario, chi tiene all’ambiente deve inquinare, chi tiene alla cultura deve essere ignorante, eccetera). Ragionamenti clowneschi, da far ridere i bambini.
Si tratta di patenti violazioni della legge fondamentale della logica (se “a” è vero, allora “non a” deve essere falso), ma è altrettanto chiaro che questa scorrettezza fa ancora meno scandalo di un ormai ordinario vaffanculo. «La logica porta dappertutto, basta uscirne», diceva l’umorista Alphonse Allais: la violazione della logica formale è in realtà il presupposto di qualsiasi discorso persuasivo, che per sua natura risponde non a una logica, ma a una retorica. A proposito di retorica, la politica italiana si è spopolata improvvisamente di quelle metafore zoologiche che l’hanno resa un pittoresco bestiario dai tempi di Amintore Fanfani (e dei “cavalli di razza”) a quelli di Pier Luigi Bersani (e del “tacchino sul tetto” con la “mucca in corridoio”). Oggi rimane la “Bestia” salviniana, che vive però a livello del suolo, o anche sotto. Il linguaggio non prende più il volo e le figure del discorso politico sono nude asserzioni, tutte seguite da un almeno ideale punto esclamativo. Fra queste spiccano casomai i paradossi come quello orbaniano. Spiccano perché fin dal suo etimo il “paradosso” si dovrebbe opporre alla “dóxa”, cioè all’opinione comune. Salvini non si richiama ossessivamente al “buon senso”? Come possono allora le destre europee sovraniste usare come armi efficaci sia il buon senso sia il paradosso?
La trasgressione che diventa regola; il coro delle voci che cantano di cantare fuori dal coro; la sicurezza che si persegue tramite l’aumento delle armi in circolazione e l’istigazione a usarle; il salvataggio di vite umane che diventa reato; il vittimismo come discorso del potere (secondo l’annoso magistero berlusconiano): sono tutte articolazioni omologhe all’illiberalismo dei sostenitori della libertà. Anche Orbán presenta la sua assurdità come necessitata: come “non a” _deve_ essere falso (se è vero “a”), così chi ama la libertà _deve_ essere illiberale. Una volta in più impariamo che ad apparire vera oggi è la conclusione che consegue non dalla logica ma da uno svelamento. L’apparenza inganna, dice il discorso di destra; la retorica abbindola, la logica vincola e strangola, il paradosso è il vero buon senso. Se la Terra può essere presa come piatta è perché è stata detta sferica da troppo tempo. E del resto da bambini quanto è stato difficile imparare che fosse sferica?
Il paradosso che anziché smentirlo si allea con il buon senso è il paradosso che rovescia conquiste faticose, acquisizioni dispendiose della specie e riconsegna i suoi individui, uno per uno, a luoghi comuni già superati, credenze seppellite, background ancestrali: paura dell’uomo nero; segregazione del diverso; regnante reclusione casalinga della donna; responsabilità di poteri occulti per ogni malanno; difesa armata di spazi recintati; giustizia sommaria ed esemplare su soggetti individuati per stereotipo; indebitamento per riassesto dei bilanci; meritocrazia dei senza curriculum; innocenza degli inerti.
Oltre al conformismo del vaffanculo, indicato giustamente da Serra, c’è il conformismo del paradosso. L’elenco delle sue manifestazioni si allunga, in attesa che qualcuno lo interrompa.