Steve, un bravissimo domatore come Ettore Weber è stato sbranato dalle “sue” tigri.
«Un grande dolore. Weber faceva parte della generazione di mio padre Livio, domatori esperti e attenti che hanno dedicato la loro esistenza al circo. Ma noi siamo come i piloti di Formula Uno. Anche per i più bravi ci può essere una manovra fatale. Chi pensa che le tigri dei circhi siano addomesticate, sbaglia. Sono e restano animali feroci».
Lei ha paura quando allena le tigri per i suoi numeri?
«Sempre. Gli animali non vanno umanizzati. I leoni uccidono, le pantere sbranano. Ogni domatore esperto lo sa. Ma esiste un codice che gli animali comprendono. Per questo è possibile utilizzarli nei circhi. Fino a quando sarà possibile».
Molti vi accusano di crudeltà. L’epoca del circo con gli animali esotici sta tramontando?
«Purtroppo sì. A torto. Chi fa spettacoli seriamente le proprie bestie le cura con amore. Sono una risorsa. La verità è che portare in giro gli animali costa moltissimo e i circhi sono quasi sempre in perdita».
Forse è il circo stesso a non piacere più?
«Noi facciamo il tutto esaurito. E lo stupore negli occhi dei bambini, quando vedono il numero delle tigri o il trapezio, è lo stesso di sempre. Ma la moda è passata, bisogna ammetterlo».
Lei però fa parte di una dinastia famosa.
«È il motivo per cui a 19 anni ho deciso di entrare nella gabbia delle tigri. Non sono cresciuto nel circo, viaggiando, come il resto della mia famiglia. I miei genitori erano separati, fino alla fine delle scuole sono stato stanziale, in città, con mia madre. Avrei potuto fare qualunque altro mestiere, il commercialista, l’avvocato».
Invece?
«Il senso della dinastia ha prevalso. Il mito di mio nonno Darix. Sa quanti film parlano di lui? Se noi figli non portiamo avanti la tradizione del circo, il circo morirà».
Chi le ha insegnato a fare il domatore?
«Mio padre. Adesso sono istruttore anch’io. In questo momento al “Florilegio” abbiamo quattro tipi di felini: pantere, puma, leoni e ghepardi».
È stato mai attaccato?
«Sì, è accaduto. Una volta sono entrato nella gabbia dei leopardi per separarne due che stavano litigando. Ma una delle femmine deve aver creduto che volessi attaccare i suoi compagni, cosi mi ha aggredito da dietro. Per fortuna avevo vestiti pesanti e non è riuscita a ferirmi in modo serio».
Quindi lei aveva mandato a quei felini che pure conosceva un messaggio sbagliato?
«Credo di sì. Infatti è poi bastato che mi muovessi con lentezza, e la guardassi diritta negli occhi, perché si ritirasse».
È possibile che le tigri abbiano attaccato Ettore Weber interpretando come pericoloso un suo gesto o un suo movimento?
«Pare che fossero bestie giovani in fase di ammaestramento. Qualcuna deve essersi impaurita e ha attaccato. Le altre l’hanno seguita».
Una tragedia. Non le viene voglia di smettere?
«No, il circo è una malattia, un destino, quando inizi a fare questa vita non smetti più».
E i suoi figli?
«Fanno parte della dinastia. Mio figlio di 9 anni è già diventato trapezista. L’ho aiutato a vincere le sue paure. Adesso è bravissimo».
Non muore di angoscia quando lo vede sospeso in aria?
«Certo. Ma so anche che può farcela».
Adesso dove siete con il circo?
«In Algeria. E poi in Libano, in Sud America, in Russia. Andiamo dove i nostri spettacoli sono ancora amati e gli animalisti non ci attaccano. È vero: non sono più gli anni Cinquanta del secolo scorso, quando eravamo noi la magia, l’illusione, arrivava la carovana con il nome “Togni” e dappertutto era festa. Quell’epoca è finita. Oggi il circo è uno spettacolo nuovo che unisce alta tecnologia e tradizione».
I clown che spruzzano lacrime, gli acrobati, i leoni, i pop corn, insieme alla realtà in 3D?
«Tutto quello che può stupire».
Ma in Italia tornerete?
«Per essere subito accusati di crudeltà verso gli animali? Non ne vale la pena. Mio padre provò in Parlamento a fare una battaglia per salvare i circhi, ma nulla è cambiato. Il mondo è grande e “Florilegio” cammina. Ogni giorno alleno le mie tigri, ogni giorno istruisco nuovi domatori. Forse facciamo parte del passato, ma finché riempiamo i tendoni va bene così. Questa vita non la cambierei per nessun’altra».