il Fatto Quotidiano, 5 luglio 2019
Il trucco delle autonomie
l tema del finanziamento degli enti territoriali, e con esso della compiuta attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, e quello del disegno delle competenze, legislative e amministrative, riconosciute ai medesimi enti sono strettamente intrecciati. Un finanziamento adeguato è necessario per svolgere le funzioni assegnate. In un quadro ben definito delle competenze, il sistema di finanziamento dovrebbe riconoscere ampia autonomia a tutti i livelli di governo e al tempo stesso garantire l’esercizio, secondo standard uniformi e adeguati, dei diritti sociali e civili su tutto il territorio nazionale. Questi principi di base dovrebbero essere garantiti anche qualora, in attuazione dell’articolo 116 della Costituzione, si decidesse di riconoscere ad alcune Regioni “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”. Il tutto è complicato dal dualismo territoriale che caratterizza il nostro Paese, evidenziato non solo dalla forte differenza dei livelli di reddito pro capite, ma anche da un’offerta estremamente sperequata dei servizi pubblici e da un sensibile divario nelle infrastrutture. Queste difficoltà stanno emergendo anche nel percorso intrapreso dalle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Le Regioni più deboli temono che la differenziazione nelle funzioni e, quindi, nelle risorse assegnate, approfondisca i divari, in particolare in settori come l’istruzione e la sanità, e indebolisca gli elementi di solidarietà nazionale che dovrebbero essere sottesi alla definizione e al finanziamento integrale dei Lep (Livelli essenziali delle prestazioni). Dall’altro lato vi è la rivendicazione da parte delle Regioni più forti di un regionalismo differenziato che valorizzi la virtuosità del proprio territorio, in modo da rendere possibile lo sfruttamento della propria maggiore efficienza a vantaggio dei propri cittadini attraverso un’offerta più qualificata di servizi pubblici. L’articolo 116 della Costituzione richiede che il riconoscimento di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomie a una o più Regioni debba avvenire nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119, che regola il finanziamento degli enti decentrati. Secondo la Costituzione, quindi, è necessaria una coerenza fra i principi del finanziamento ordinario dell’insieme delle Regioni e quelli sul finanziamento degli spazi aggiuntivi di autonomia eventualmente riconosciuti a singole Regioni. Questa previsione incontra un ostacolo nel fatto che il processo di attuazione de ll ’articolo 119 della Costituzione, iniziato con l’emanazione della legge delega 42 del 2009 sul federalismo fiscale è tutt’altro che compiuto. Manca quindi un sistema di finanziamento assestato in cui inquadrare il finanziamento specifico delle funzioni eventualmente devolute. Ciononostante, è indubbio che anche tale finanziamento debba rispondere ai principi individuati dalla citata legge delega. Il più importante richiede che esista un legame preciso fra natura delle competenze attribuite, da un lato, entità e modalità attraverso cui le stesse devono essere finanziate e attraverso cui deve essere attuata la perequazione, dall’altro. La distinzione fondamentale è fra spese relative ai Livelli essenziali delle prestazioni (Lep), che hanno il compito di garantire livelli adeguati e uniformi sul territorio nazionale di prestazioni che riguardano i diritti civili e sociali e altre spese (cosiddette “autonome”), definite residualmente. La garanzia di finanziamento integrale prevista dal comma 4 dell’articolo 119 è riservata, nella normativa di attuazione, alle sole spese relative ai Lep, da finanziarsi attraverso tributi propri e compartecipazioni ai tributi erariali e un sistema di perequazione dei fabbisogni.Le spese autonome devono invece essere finanziate con tributi propri e assistite da una perequazione delle capacità fiscali, al solo scopo di integrare, parzialmente, i gettiti fiscali dei territori con basi imponibili per abitante più basse, e che quindi, pur applicando aliquote standard, non potrebbero ottenere un gettito standard. A tutt’oggi queste previsioni non hanno trovato attuazione. In particolare, la distinzione stessa fra questi due tipi di spesa, che svolge un ruolo cruciale nell’impianto della legge 42 del 2009, non è mai stata effettuata e, soprattutto, i Lep, che secondo il dettato della legge 42 dovevano riguardare, oltre alla sanità, anche l’assistenza, l’istruzione, il trasporto pubblico locale con riferimento alle spese in conto capitale e altre materie da individuare, non sono stati sinora definiti. In assenza della definizione dei Lep, tutto l’impianto del cosiddetto federalismo fiscale viene privato di un elemento essenziale. La sua attuazione è stata quindi rimandata di anno in anno, da ultimo al 2020. L’intreccio con la legislazione della crisi ha comportato tagli alle risorse delle Regioni che l’hanno accompagnata (nel periodo 2011-2017 7,2 miliardi di euro), un forte accentramento del coordinamento delle finanze pubbliche e una mutevolezza degli orientamenti a favore o contro l’autonomia degli enti decentrati, che lasciano un quadro istituzionale non ancora assestato. In questo quadro incerto è difficile procedere a un equo e ordinato finanziamento del regionalismo differenziato, nel rispetto dell’articolo 119 della Costituzione. Guardando al regionalismo differenziato sotto il profilo delle problematiche relative al trasferimento di risorse finanziarie, che dovrebbe accompagnare il riconoscimento di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, come affrontate dal Titolo I delle bozze di intesa sottoscritte nel febbraio del 2019, sorgono dubbi di grande rilievo. Le bozze di intesa, infatti, prescindendo in larga parte dal quadro normativo di attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, prefigurano un quadro di finanziamento che è indeterminato nei suoi aspetti quantitativi. La definizione di tali aspetti viene rimandata a dpcm da emanarsi, in epoca successiva all’approvazione definitiva delle intese e pertanto ad atti normativi che sarebbero esclusi non solo dal vaglio parlamentare ma anche da quello del presidente della Repubblica e della Corte costituzionale. L’individuazione delle modalità di finanziamento sembra animata dalla preoccupazione principale di garantire che le Regioni interessate alla devoluzione di materie non possano subire, al momento dell’assegnazione, alcuna diminuzione di risorse, e possano, al tempo stesso, plausibilmente, contare, nel medio periodo, in un loro incremento. Riaffiora prepotentemente nelle previsioni contenute nelle bozze di intesa l’idea che alle Regioni con più alti residui fiscali debba essere riconosciuto il diritto a godere in misura maggiore delle risorse fiscali che maturano sul loro territorio. Il che, in presenza del vincolo in base al quale dall’applicazione delle intese non devono derivare maggiori oneri a carico della finanza pubblica, non può che tradursi in una redistribuzione di risorse dai territori più deboli a quelli più ricchi. © RIPRODUZIONE RISER