la Repubblica, 5 luglio 2019
La strategia di Putin
Dopo Xi Jinping, ecco Vladimir Putin. In tre mesi, l’Italia ha accolto a Roma con i massimi onori i capi supremi dei due imperi rivali del nostro padrone di casa, l’America. Ce n’è abbastanza per scatenare i complottisti. Forse il nostro Paese sta virando di rotta, con manovra spericolata, verso la strana coppia sino-russa? Stiamo valicando le linee rosse che Washington impone alla sovranità di uno Stato che ospita alcune delle più importanti basi militari Usa in Europa, bombe atomiche comprese? No, o almeno non ancora. L’Italia non ha una strategia alternativa alla Nato. Putin lo sa bene. Restiamo semmai fedeli alla nostra tradizione diplomatica. Roma ha una consolidata fama di ambiguità (o di destrezza, dipende dal punto di vista). Quella che il cancelliere tedesco Bernhard von Bülow sintetizzò nella formula dei “giri di valzer”. Più banalmente, ci è insopportabile avere dei nemici. Motivo per cui non abbiamo amici. E siamo da sempre sorvegliati speciali della potenza egemone nell’alleanza a cui partecipiamo, sia questa la Triplice o l’Atlantica. Il nostro “ventre molle” è sempre attraente per chi vuole infastidire lo schieramento di cui siamo parte. In rigorosa veste di junior partner. Oggi tutte le maggiori potenze vanno riscoprendo l’Europa e il Mediterraneo. Vale specialmente per la Russia, che nell’ex mare nostrum sta tornando in forze grazie all’intervento in Siria, al recupero di partner d’età sovietica (Egitto) e alla necessità di coltivare intese con l’Arabia Saudita e con le altre petromonarchie del Golfo sulla gestione del mercato energetico. Putin conta sul fatto che siamo il Paese più filorusso dell’Euromediterraneo. Non da oggi, né in base al colore dei governi. Con in più il vantaggio, ai suoi occhi, di trovare in Salvini un interlocutore simpatetico, come testimoniano fra l’altro le relazioni speciali tra il partito dello zar e la Lega. Lo sanno anche gli americani, che il 16 e 17 giugno hanno infatti convocato Salvini per ammonirlo in vista del vertice con Putin. Dopo l’adesione alle siniche Vie della Seta, un ulteriore avvicinamento alla Russia non è tollerabile. In particolare sul fronte del gas: per Washington dobbiamo diluire la dipendenza dalla Russia, importare gnl di marca americana, allacciare lo Stivale al Tap, la pipeline transadriatica che ci aprirebbe al gas azero. E dobbiamo toglierci dalla testa l’idea di allentare le sanzioni alla Russia, tema su cui anche i precedenti governi hanno tentato di smarcarci rispetto agli alleati. L’unico punto su cui Stati Uniti e Russia convergono, quanto ai dossier di nostro interesse, è il sostegno al generale Haftar, nostra nemesi in Libia. Come suole per i maggiori leader mondiali in visita a Roma, Putin ne ha profittato per un incontro particolarmente caloroso con il Papa. Al quale lo avvicina, fra l’altro, il giudizio critico sull’ordine liberale-liberista. Sul tavolo, soprattutto Ucraina, Venezuela e Medio Oriente, con speciale attenzione alla condizione dei pochissimi cristiani che vi rimangono. In attesa che il vento dello Spirito Santo spinga questo pontefice, o un suo successore, a Mosca. Questi i fronti principali su cui misureremo gli esiti della rapida puntata romana del presidente russo. Nella certezza che comunque l’Italia continuerà la navigazione a vista, zigzagando allegramente tra gli scogli. Come fossimo ancora protetti dalla bonaccia della guerra fredda, quando la rotta era tracciata. Oggi invece dovremmo trovarla. Pena l’isolamento cui è condannato chiunque rinunci a scegliere. Per non scontentare nessuno finiremmo per inimicarci tutti.