il Fatto Quotidiano, 5 luglio 2019
L’amore tra Gozzano e Amalia
L’amore, un’invenzione dei poeti: “Io non sono innamorato che di me stesso”, dice lui. E lei risponde per le rime: “Chiamatemi Amalia – con un m solo, ahimè!”. Tra comuni mortali la relazione sarebbe iniziata e finita lì, ma tra anime belle e laureate questo scherzetto sentimentale è durato tre anni e più, dal 1907 al 1910, con una piccola “resurrezione” nel 1912: protagonisti sono Guido Gozzano (1883-1916), “considerato a sua insaputa crepuscolare”, e Amalia Guglielminetti (1881-1941), alias “Lady Medusa”. Maledetti poeti innamorati.
Quodlibet ripubblica le Lettere d’amore tra i due – di cui anticipiamo sotto uno stralcio –, con la curatela di Franco Contorbia e sulla scorta dell’edizione Garzanti del 1951 poiché gli scritti originali sono andati perduti. Gozzano e Guglielminetti si conoscono nel 1906 – lui 23enne, lei 25enne – e iniziano a flirtare nel 1907, dopo essersi scambiati le reciproche raccolte di versi: La via del rifugio lui e Le vergini folli lei, due titoli profetici rileggendo ora il loro tormentato carteggio. Dopo la bruciante infatuazione, l’uomo scappa a piè veloce dalle grazie della giovane collega, ritirandosi in questo o quel “rifugio”, sempre più lontano, e fino in India. Lei, viceversa, è fresca di Seduzioni, sulla carta più che nella vita: la raccolta è salutata con toni enfatici dallo stesso amico-amante (“L’Italia ha una nuova grande poetessa”, scrive in un articolo), che prima la corteggia e poi l’abbandona.
È bravissimo Guido a titillare la sensibilità e l’intelligenza di Amalia: “Le giuro, cara Signorina, che non conosco nella letteratura muliebre italiana, presente e passata, opera di poesia paragonabile alla sua… Come fare per dirle che di molti suoi sonetti sono innamorato?”. La donna ci casca, proprio come una “vergine folle”, salvo poi lamentarsi delle “cose belle e perfide di cui noi poeti si vive e ci s’avvelena”.
Mammone (“Non mi concederò il piacere di scriverle. Perché è qui la mia Mamma”, maiuscolo!); egocentrico (“Io non sono innamorato che di me stesso”); lamentoso (“Sono amaro con tutti; non vogliatemi tanto bene, non me lo merito!”); seduttore (“Prima di tutto siete bella”); freddo (“Ho un profondo disprezzo per la mia e per la vostra anima”): Gozzano è l’amante perfetto. Da scaricare. Ma Amalia non riesce a resistergli; se lo terrà per almeno tre anni, anche solo per corrispondenza di amorosi e odiosi sensi, anche solo su carta, come amico di penna, e di letto chissà: “Voi rimpiangete ch’io non sia un uomo. E lo rimpiango anch’io intensamente. Non sono che un essere ibrido male adatta a vivere fra gli schermi anche leggiadri della pura femminilità”.
Nel giro di qualche mese passano dal “lei” al “tu” e dalle chiacchiere ai fatti: si incontrano tête-à-tête nel salotto di casa Guglielminetti, a Torino; dopodiché la passione si infiacchisce. Ma solo per Guido: “Lasciando Torino ho avuto come un senso di liberazione. Per tante cose. E principalmente per Voi. Era tempo di frapporre tra noi due molti mesi e molti chilometri”. Amalia, suo malgrado, si ritrova più innamorata di prima. E in preda alla fregola vagheggia spasimanti toy boy: “M’avvedo che invecchio. Una volta non potevo soffrire gli uomini al disotto dei trentacinque, ora mi piacciono anche gli adolescenti”.
Il poeta, viceversa, è allergico al sentimentalismo e refrattario a qualsiasi emozione, crepuscolare com’è: “La passione è un ingombro… Mi sento nelle ossa un languore, e nel cervello una nebulosità sentimentale che mi umiliano… L’idea di accoppiare una voluttà acre e disperata alla bellezza spirituale di una intelligenza superiore come la vostra mi riesce mostruosa, intollerabile… Risento sulla mia bocca la crudeltà dei vostri canini. Non ti amo”.
La scrittrice per un po’ resiste, poi cede anch’ella al sarcasmo, al disamore, all’oblio: “Fate bene a non mettervi anche Voi ad amoreggiare in versi e in rime con la solita classica antipatica noiosa donna bella che tutti i poeti hanno posseduto o detto di possedere come una cortigiana qualunque”. Poi esce di scena, non prima però di aver vergato dolcissime parole d’amore: “Ti bacio su gli occhi lungamente e su la bocca in fretta, per non morire”. Ma questa è poesia, non prosaica cronaca rosa.
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Due missive del 1908
» GUIDO GOZZANO E AMALIA GUGLIELMINETTI P erché mi fate piangere, Guido, perché mi fate rimpiangere quel poco che v’ho dato di me? Non dovevo venire con Voi quel giorno per soffrirne dopo, così, per vedermi tolta anche la piccola dolcezza di sentirvi qualche volta vicino. È così poca cosa la vita e così breve per negarci qualche poco della sua bellezza per tormentarci volontariamente anche quella piccola parte di bene che ci concede? Voi vi dite corazzato anzi insensibile a ogni ferita. Io no, mio dolce Amico, io vi voglio bene e soffro crudelmente di sentirvi tanto lontano... No, noi non abbiamo ancora sepolto nulla di noi stessi. Io sono per te come il primo giorno che ti vidi, non sazia, né stanca, né oppressa dalla più piccola parte di te... È un senso strano ch’io non so dire, ma che non ho mai sentito per altri, una malia, quasi, che è credo, una occulta profonda fraternità, un oscuro legame spirituale che ci unisce anche nostro malgrado. Ma tu mi allontani con un gesto che mi pare un urto di disdegno... Nessuno, ti giuro, mi ha mai veduta così spoglia d’orgoglio, così vestita di pura tenerezza. Tu solo che non mi ami, tu solo che mi sfuggi. Amalia Guglielminetti, 24.03.1908 Sento in fondo all’anima una specie di fiera tristezza, per aver saputo essere crudele con me e forse – perdonami – anche un po’ con te… Io provo una soddisfazione speciale quando rifiuto qualche bella felicità che m’offre il Destino. E quale felicità, Amica mia! Il nostro amore che sarebbe fiorito con tutti i fiori della primavera torinese! (così dolce per l’esule che ritorna!) anche la stagione sarebbe stata propizia alla nostra follia! E quanti mesi di serenità, di sole, di profumo! E quanti sogni!... Io li ho già sognati tutti e t’ho già vista in tutti... Io non vedrò le tue vesti nuove. Sarò lontano, solo, con la mia ambizione taciturna: una compagna ben più crudele della tua malinconia…Ah! Se io potessi darti una parte soltanto di questo mio orgoglio latente, anche il dolore che tu dici di avere in te impallidirebbe e l’amore ti apparirebbe qual è: un inganno della giovinezza e un episodio trascurabile in un destino come il mio e come il tuo.... Amalia, quante di queste cose t’avrei detto e ti vorrei dire se tu non fossi giovine e bella! Ma hai degli occhi luminosi ed una bocca tentatrice ed è impossibile starti vicino senza diventare irriverenti con te come con una crestaia od una cortigiana qualunque…Parlo, parlo, e, sopra tutto, ragiono: quanto devo farti soffrire! E anche sdegnare. Perdonami! Perdonami. Ragiono, perché non amo: questa è la grande verità. Io non t’ho amata mai. Guido G