Il Sole 24 Ore, 5 luglio 2019
Il triste tramonto di Cesare Geronzi
Con la condanna definitiva in Cassazione si chiude nel peggiore dei modi la carriera di Cesare Geronzi, 84 anni, uno dei banchieri più influenti della Prima (e Seconda) Repubblica. Ma Geronzi è stato per oltre trent’anni molto più di un banchiere. È stato un vero e proprio power broker, un gestore del potere, che nel dopo Cuccia si è diviso il ruolo, il primo da Roma e il secondo da Milano, con Giovanni Bazoli. Guidando le principali evoluzioni del sistema finanziario italiano, e di un sistema imprenditoriale bancocentrico, in stretto raccordo conla politica (e il Vaticano).
Il giovane Geronzi si era fatto le ossa entrando per concorso in Banca d’Italia ed era poi diventato uno degli allievi diretti di Guido Carli. Arrivò a guidare l’ufficio cambi, negli anni della svalutazione della lira, frenando e limitando molte speculazioni (e forse accumulando molti segreti). Da Via Nazionale passò per un breve periodo al Banco di Napoli, per poi essere chiamato alla guida della Cassa di Risparmio di Roma. In pochi anni costruisce il grande polo bancario del centro sud Italia, incorporando in Banco di Roma e il non florido Banco di Santo Spirito. Siamo nel cuore del mondo finanziario romano vicino alla Dc, ovvero a Giulio Andreotti. Il nuovo gruppo Banca di Roma è grande ma fragile. Ma Geronzi tesse trame a più livelli e, pur coltivando rapporti politici in tutto l’arco parlamentare, risulta decisivo nel salvataggio del gruppo Berlusconi. Quando la Fininvest si trovò in cattive acque per i debiti, e il Credito Italiano chiuse i rubinetti, fu Geronzi ad aprire le linee di credito e consentire poi la successiva quotazione in Borsa di Mediaset.
Con il Cavaliere i rapporti sono stati sempre strettissimi. Al punto da avere un ruolo decisivo, si racconta, nel suggerire il nome di Mario Draghi per l’incarico di Governatore della Banca d’Italia al posto di Antonio Fazio, caduto in disgrazia anche agli occhi di Geronzi che pure ne era stato l’alleato più vicino in tante battaglie. Due quelle più clamorose: a fine anni ’90 il no alla doppia Opa di UniCredit su Comit e di Sanpaolo-Imi su Banca di Roma. Successivamente fu la volta della scalata di sistema alle Generali, con l’obiettivo (poi raggiunto) di defenestrare Vincenzo Maranghi dalla guida di Mediobanca.
Uscito Fazio da Banca d’Italia, scattò la fase delle aggregazioni e la Banca di Roma (diventata nel frattempo Capitalia) fu costretta a confluire in UniCredit. Nelle more dell’accordo di fusione, garante la politica con in testa Massimo D’Alema, Geronzi ottenne la presidenza di Mediobanca e poi di Generali. L’ingresso nella Galassia del Nord non fu efficace, per tanti motivi. Il vero Geronzi, nel bene e nel male, è quello visto all’opera a Roma. Dove ha regnato per decenni. Senza immaginare che un giorno proprio da Roma, la corte di Cassazione, lo avrebbe condannato in modo definitivo.