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 2019  luglio 05 Venerdì calendario

Intervista allo scrittore di fantascienza Ted Chiang

Finalmente la fantascienza, per noi scrittori, non è più un marchio d’infamia». Combinate l’attitudine all’affresco politico di Ray Bradbury, l’immaginazione applicata alla scienza di Arthur C. Clarke, la capacità di creare universi di Isaac Asimov ed ecco a voi Ted Chiang, americano di Port Jefferson, 52 anni e una laurea in informatica, autore poco conosciuto qui in Italia ma adorato, nel resto del mondo, da critici letterari e appassionati discience fiction : con sole due raccolte di racconti pluripremiati (uno dei quali ha ispirato il film Arrival di Denis Villeneuve) ha già conquistato i lettori, compresi i più snob. Parlargli, anche a distanza, è un’opportunità rara: approfittiamo dell’uscita per Frassinelli del più recente dei suoi libri — Respiro ,repertorio di storie che va dai viaggi nel tempo all’intelligenza artificiale, in una prosa limpida e raffinata — per fare due chiacchiere con lui.
Mr Chiang, perché ha scelto proprio la fantascienza? Una volta ha detto di amarla per il modo in cui drammatizza i dilemmi filosofici.
«In effetti questa è una delle ragioni per cui mi piace adesso, da adulto.
Ma quando ho cominciato a leggerla, a undici anni, avevo tutt’altra spinta: adoravo le storie ambientate nello spazio. Credo che molti ragazzini inizino ad appassionarsi al genere per questo motivo. Poi magari, quando crescono, cambiano gusti. Io invece ho trovato un nuovo motivo d’interesse: l’uso delle speculazioni scientifiche come lenti per esaminare la condizione umana».
Lei lo fa in un modo né freddo né distaccato: sia nel suo ultimo libro che nel precedente "Storie della tua vita" ci sono elementi di critica politica alla Ray Bradbury.
«In un certo senso ogni forma d’arte è politica, ma credo che la fantascienza lo sia in maniera particolare. In ogni società il potere vuol far credere che il modo in cui appaiono le cose è l’unico possibile.
La fantascienza invece fa il contrario: costruisce mondi differenti. Ci fa capire che il nostro modo di vivere, il nostro mondo, non sono i soli possibili. Dimostra che una situazione considerata inevitabile non lo è affatto. E ci chiede di immaginare situazioni definite "fantastiche" come reali. In questo senso, la sua funzione è fondamentalmente progressista».
E in effetti le storie di "Respiro", anche quando parlano di pappagalli intelligenti o di androidi, trasudano umanesimo da ogni riga...
«Penso che qualsiasi forma di narrativa degna di questo nome sia una forma vivente di umanesimo.
Dovrebbe essere questo l’obiettivo di ogni scrittore».
Un altro tema suggestivo, presente nel primo racconto del libro, è quello dei viaggi nel tempo: come mai la affascinano tanto?
«Il tempo è un concetto che ci intriga da sempre. Ciò che distingue gli esseri umani dal resto degli animali è proprio l’avere un senso del tempo: possiamo immaginare ciò che accadrà in futuro, riflettere su ciò che è avvenuto in passato. Non importa quanto diversi siamo: nessuno di noi può vivere pienamente nel singolo istante come può fare, ad esempio, un cane. È l’elemento essenziale della condizione umana».
In questo, come negli gli altri racconti, si coglie una tensione di tipo spirituale: scienza e religione possono convivere?
«Io sono interessato alla scienza almeno quanto alla fantascienza: entrambe provocano un sentimento di meraviglia, di piacere. E il senso di soggezione vissuto dagli scienziati di fronte alle scoperte è, in un certo senso, simile a quello che provano i credenti quando si sentono vicini al divino. Infatti in passato gli scienziati erano spesso uomini di fede. Cerco sempre di ricordarmelo, quando nei miei racconti inserisco personaggi religiosi».
Pur affrontando temi così complessi, fino a poco tempo fa la fantascienza era "un marchio d’infamia" (parole sue). Ora è amata da tanti, e le distopie "invadono" i romanzi non di genere: una moda passeggera?
«No, non credo. Ormai gli steccati tra i vari tipi di narrativa si stanno dissolvendo. Sono convinto che la fantascienza oggi sia rilevante perché viviamo in un mondo sempre più fantascientifico: le nostre vite sono sature di tecnologia, ed enormi cambiamenti accadono in un attimo. Fantascienza non vuol dire predire il futuro, ma fare i conti con l’inevitabilità del cambiamento. I generi letterari che non lo colgono perderanno di importanza».
A proposito di tecnologia: entusiasta o pessimista?
«La tecnologia è per definizione uno strumento: farla andare verso il bene o verso il male è compito delle persone che la usano. Computer e web hanno portato nelle nostre vite tante cose sorprendenti, ma non abbiamo voluto vederne i lati peggiori, come invece avremmo dovuto. Riguardo ai social, la mia preoccupazione maggiore è il loro diffondere disinformazione. Quanto poi all’intelligenza artificiale, non ho paura che una sua forma malevola arrivi a dominare il mondo: temo invece che venga manipolata dalle corporation per assolvere se stesse dalle proprie malefatte».
Anche al di là degli aspetti tecnici o scientifici, non le sembra che il mondo viva una fase oscura?
Razzismo, intolleranza, odio…
«Prendendo come unità di misura gli ultimi secoli, credo che razzismo, intolleranza e odio siano diminuiti.
Ma abbiamo assistito a un aumento nell’ultimo decennio: penso sia una reazione alla crescita della tolleranza che abbiamo registrato nei decenni precedenti. Io comunque credo ancora in un futuro migliore: però non arriverà senza il nostro duro lavoro, senza uno sforzo collettivo».
Per l’ambiente, ad esempio: supporta i movimenti giovanili che in tutto il mondo chiedono un cambio di passo sul clima?
«Naturalmente sì. Il riscaldamento globale è la più grande minaccia che l’umanità deve affrontare: spetta ai governi occuparsene, ma visto che loro non lo fanno, dobbiamo essere noi cittadini a spingerli ad agire».