la Repubblica, 4 luglio 2019
Le terre rare accendono il mondo
Quando il cellulare squilla, sono gli atomi di neodimio e disprosio ad avvertirci. Se ci colleghiamo a internet, usiamo impulsi di luce generati dall’erbio, mentre un suo parente, il terbio, accende gli schermi da cui siamo circondati. Le tonalità del rosso, in realtà, sarebbero invisibili senza il contributo dell’ittrio. Anche la musica che proviene dalla cuffia sfrutta le proprietà del neodimio, così come il lettore cd. Non potremmo salvare un file su una pennetta senza qualche granello di gadolinio. Se la batteria del cellulare dovesse scaricarsi, possiamo ricaricarla solo perché esiste il lantanio. La luce della lampadina che è sopra alla nostra testa funziona grazie all’europio. Perfino l’accendino che abbiamo in tasca ha bisogno di una dose di praseodimio per generare la sua fiamma.
E non ci siamo nemmeno alzati dalla scrivania. Perché se pensassimo a tutte le applicazioni delle terre rare all’aria aperta (ogni auto ibrida ne contiene dieci chili, oltre agli aerei, fino ai missili), avremmo un elenco lungo fino a Pechino. È infatti in Cina che il 95% dei 17 elementi detti “terre rare”, tanto sconosciuti e difficili da ottenere quanto insostituibili per le nostre vite tecnologiche, vengono estratti e purificati. Metà della produzione cinese di terre rare è concentrata in una sorta di inferno in terra: la miniera di Bayan Obo, visibile dai satelliti come una chiazza nero-brunastra ai margini del deserto di Gobi. Da qui provengono diverse decine di migliaia di tonnellate di terre rare, insieme a qualche migliaia di tonnellate di prodotti di scarto, fra reflui acidi e radioattivi. E viene da chiedersi se sia stata la geologia a concentrare qui la stragrande maggioranza delle terre rare. O se sia una legislazione più tollerante dal punto di vista della sicurezza a permetterne lo sfruttamento in Cina.
Qualunque sia la risposta, delle terre rare oggi non sapremmo fare a meno e Pechino ha raggelato il mondo quando, in piena guerra commerciale con gli Usa, ha minacciato di bloccarne le esportazioni ( gli Stati Uniti ottengono dalla Cina l’80% del loro fabbisogno).” Il medio oriente ha il petrolio, noi abbiamo le terre rare», si compiaceva nel 1992 Deng Xiaoping. «Bisognerebbe imparare a riciclare questi preziosi elementi. Un cellulare vecchio andrebbe smaltito, non relegato in soffitta. Perché non esistono solo animali o vegetali, ma anche elementi chimici in via di estinzione», spiega Giorgio Cevasco, professore all’università di Genova e vicepresidente della Società di Chimica Italiana. Il motivo per cui le terre rare si chiamino così – le più scarse in realtà sono 200 volte più abbondanti dell’oro, anche se non più economiche – e perché siano relegate in una riga della tavola periodica degli elementi, rappresenta la cifra del loro carattere enigmatico. «Mendeleev aveva lasciato nella sua tavola alcuni posti vuoti, con il punto interrogativo. Gli elementi che oggi chiamiamo terre rare furono identificate molto dopo» prosegue Cevasco. La chimica le ha considerate un “selvaggio west” per oltre 100 anni. Tanto ci è voluto ad assegnare una casella nella tavola periodica a ciascuna di esse. Chimicamente, i 17 elementi di questo gruppo, sembrano identici. Dal punto di vista magnetico o elettrico, invece, ognuno si comporta a modo suo e ha infatti applicazioni specifiche.
Descrivere cosa siano, dal punto di vista tecnico, non è facile. Ci aiuta Alessandro Trovarelli, professore di chimica industriale al Politecnicodell’università di Udine. «Le terre rare o lantanidi sono caratterizzate dall’avere una configurazione degli elettroni necessari a formare i legami chimici molto simile tra loro (i cosiddetti elettroni degli orbitali f).Questo fa sì che abbiano caratteristiche e proprietà chimiche molto affini». Più che rare, spiega Trovarelli, «sono spesso difficili da estrarre. Sono disperse in piccole concentrazioni nei minerali. Anche solo distinguerle è difficile, perché sembrano identiche. Non parliamo poi del separarle».
Da questi peculiari componenti della crosta terrestre non dipendono solo l’elettronica di consumo e gli armamenti ( dai motori degli aerei, ai laser, fino ai missili a puntamento autonomo). A contare su di loro è anche l’industria delle fonti rinnovabili. Batterie per le auto elettriche, marmitte catalitiche e magneti per le pale eoliche sarebbero molto più ingombranti – n pratica inutilizzabili – senza le particolari proprietà di questi elementi. Un gruppo del Massachusetts Institute of Technology si è chiesto nel 2012 se la quantità di terre rare fosse sufficiente a sostenere la transizione verso un’economia pulita. I ricercatori hanno preso come riferimento disprosio e neodimio, due elementi strategici per i magneti delle pale eoliche e delle auto elettriche. Mentre per il neodimio basterebbe” solo” un aumento del 700% rispetto alla produzione attuale nei prossimi 25 anni, per il suo sodale servirebbe una crescita del 2.600%. Il miracolo della moltiplicazione del disprosio: ecco cosa servirebbe per superare la crisi energetica e climatica attuale.