La Stampa, 4 luglio 2019
Storia di Stromboli
Di cinquecento e più vulcani attivi al mondo, ce ne è solo uno di cui ci si può fidare, perché è in eruzione da quando i sapiens incrociano nel Mar Tirreno e perché raramente ha provocato dolori. Anche quando l’isola si spopolò a causa di un’eruzione più forte delle altre nel 1930, passando da 3mil abitanti agli attuali 400. Quel vulcano è Stromboli, il faro del Mediterraneo. Questa volta, però, è una di quelle. Ed è anche per questo che Stromboli può essere molto amata oppure molto odiata, difficilmente per colpa sua. Basta conoscere la sua storia, anche quando, come in questo caso, la minuziosa sorveglianza cui è sottoposto il vulcano non ha dato modo di prevedere un parossismo che, si ritiene, possa rimanere isolato.
A Stromboli, in media ogni 5-15 anni, i fenomeni esplosivi parossistici e le frane che scatenano i maremoti provocano danni a persone e cose. Normalmente l’attività stromboliana procede per getti modesti di vapore acqueo (le colonne di gas sono bianche, segno che non vengono eruttate ceneri) che scaraventano in aria piccoli frammenti incandescenti originati dalle bolle di gas che arrivano alla sommità della colonna magmatica ogni 20 minuti circa. Qualche volta le fontane di lava raggiungono i mille metri di altezza e possono essere viste da molto lontano, soprattutto quando è notte e mancano altri punti di riferimento. Per questa ragione Stromboli è il faro del Mediterraneo, conosciuto da greci e fenici, da romani e punici, come un amico.
Il vulcano è più o meno lo stesso da almeno diecimila anni, ma la sua storia comincia con l’attività di Strombolicchio (lo scoglio davanti Stromboli, rimanenza di un camino vulcanico) circa 200.000 anni fa e prosegue con quattro periodi eruttivi. Centomila anni fa esisteva un Paleostromboli che eruttava lave, ma soprattutto ceneri, sia da caduta che da pericolosi flussi piroclastici (aerosol ardenti e velocissimi), e colate di fango: nessun uomo ne ha osservato la nascita da vicino. Successivamente il vulcano ha prodotto più lave che ceneri, lave che sono proseguite nel periodo immediatamente precedente al cosiddetto Stromboli recente, cioè quello della Sciara del Fuoco, la grande scarpata di frana sul fianco del vulcano, e di un’attività talmente tipica da aver dato il proprio nome a tutte le eruzioni simili in ogni parte del mondo (appunto "stromboliane"). Anche le lave sono cambiate: inizialmente erano molto più ricche di silice, oggi sono più simili a basalti con elevati tenori di potassio.
Come nel 1879, nel 1916 e nel 1919, come ancora nel 1944, nel 1954 e nel 2002, i parossismi di Stromboli hanno causato limitati tsunami. Sono fenomeni piuttosto frequenti anche per la storia degli uomini: nulla a che vedere con i giganteschi tsunami che potrebbero essere provocati da eventuali collassi degli enormi vulcani sottomarini centro-tirrenici come il Marsili, legati però a dinamiche del tutto diverse e, al momento, non pericolosi. La storia di Stromboli è fatta di enormi frane, qualche esplosione e onde da crollo, oltre che di fontane di lava e nubi di gas.
L’eventuale pericolo Stromboli lo cela in profondità. Se ne sollevassimo la sottile pellicola crostale superficiale, Stromboli ci mostrerebbe il suo cuore di tenebra: una camera magmatica superficiale messa in luce da una tomografia eseguita dall’Ingv: una specie di sfera infuocata di 150 metri di raggio posta a circa 700 m di quota e alimentata da condotti che pescano molto più in profondità. Cosa accadrebbe se una grossa frana portasse via una fetta importante di montagna precipitandola in mare? Il denudamento del cuore bollente del vulcano avrebbe senz’altro conseguenze catastrofiche.
Il vulcanismo di Stromboli dipende da un’unica causa, lo scontro che avviene nel basso Tirreno tra Africa e Europa, due delle maggiori placche geologiche del pianeta Terra. In realtà la collisione dura da milioni di anni, ma i processi di collisione fra i continenti sono discontinui, e le crisi sono legate alla lenta "digestione", da parte del mantello terrestre, della placca africana che si piega a ginocchio proprio sotto le isole Eolie per essere riassorbita sotto quella europea. Gli sforzi generati dall’attrito scatenano terremoti che vanno da venti a oltre quattrocento km di profondità. Non solo: la placca che si piega trova in profondità temperature sempre più elevate e quindi fonde, generando i magmi che alimentano i vulcani delle Eolie.
Ma chiunque conosca Stromboli, sa che la cima dell’isola (cioè il vulcano) è costantemente interessata da piccole esplosioni che fanno fuoriuscire una lava non troppo viscosa né troppo fluida insieme a una caratteristica nube di vapore biancastro. Quando scalo Stromboli mi fido di lui e dovremmo continuare a farlo. A patto di non dimenticare che si tratta di un vulcano, finestra aperta sull’interno della Terra. Mai avere paura di un vulcano, solo rispetto e amore per la madre Terra. Nonostante il dolore di oggi.