Il Parlamento aveva chiesto di essere coinvolto nella scelta del successore di Jean-Claude Juncker, ma così non è stato. “Vdl” è considerata figlia di un’abile strategia di Macron, che con il suo nome ha costretto Merkel e il resto dei premier del Ppe ad accettarla, salvo incassare le altre poltrone di peso con il fedelissimo belga Charles Michel (Consiglio europeo) e con Lagarde (Bce). I più infuriati sono i socialisti, secondo partito d’Europa che ha ricevuto briciole rispetto a popolari e liberali. E tra loro i parlamentari della Spd, alleato di governo della Cancelliera. Lo scontento serpeggia anche tra i parlamentari dell’Est del Ppe, fuori dai vertici dell’Unione, e nella componente non macroniana dei liberali. Gli strateghi politici stimano che alla fine Ursula ce la farà. Ma forse dovrà ricorrere ai voti dei polacchi del Pis, il partito dell’illiberale Kaczynski, pronto a chiedere una cambiale.
Se von der Leyen resterà in sella, in molti temono che la sua Commissione sarà meno flessibile di quella di Juncker sui conti pubblici. Ieri “Vdl” negli incontri riservati a Strasburgo (ha visto anche Sassoli) non ha fornito indicazioni sulla linea economica, ma parlando a porte chiuse ai deputati del Ppe una prima idea programmatica l’ha data: «Voglio una riforma europea del sistema elettorale», è il senso di quanto ha annunciato a fianco di Manfred Weber. Insomma, “Vdl” punta a ripristinare il sistema democratico dei “candidati di punta” in modo da farlo funzionare e legare la scelta del suo successore all’esito delle elezioni, non ai giochi politici dei leader. Forse anche per levarsi di dosso il peccato originale con cui arriva a Bruxelles.
Oggi la presidente in pectore incontrerà Juncker, ma intanto già si inizia a mormorare di come potrebbe essere la sua squadra. Timmermans e Vestager, i frontman elettorali di socialisti e liberali come Weber bocciati dai leader, saranno i suoi primi vicepresidenti. L’olandese potrebbe essere responsabile dei commissari Ue legati all’economia reale, come industria e investimenti. La rigorista danese, invece, potrebbe guidare il comparto conti pubblici. Non proprio una bella notizia per l’Italia. Il posto di commissario agli Affari economici, oggi della colomba Moscovici, andrà di nuovo a un socialista. Ma si parla del pressing del governo finlandese per assegnarlo alla paladina dell’austerity Jutta Urpilainen. La speranza dei Paesi del Sud è di un repentino trasloco del morbido portoghese Mario Centeno da presidente dell’Eurogruppo alla Commissione. Von der Leyen dovrà poi gestire le richieste di Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca: i Visegrad hanno chiesto gli Affari interni per gestire direttamente il dossier migranti, Giustizia, Industria e Ambiente. Settori nei quali puntano a ribaltare le politiche Ue e a blindare le derive dei loro Paesi.
Anche a Francoforte la Bce cambierà volto con Christine Lagarde. E non sarà certo la sua laurea in legge a impedire alla francese di svolgere egregiamente il suo compito di presidente dell’istituzione, visto che anche Jerome Powell, presidente della Fed, la banca centrale più potente del mondo, è un avvocato.
Per Lagarde, in uscita dal Fmi e in arrivo alla Bce, i primi otto mesi di mandato sono già ipotecati: Mario Draghi ha promesso che la politica monetaria fino alla metà del 2020 sarà ultra accomodante, cioè che i tassi rimarranno azzerati. Inoltre da qui a novembre Draghi potrebbe lasciarle in eredità l’avvio di un nuovo Qe, una riedizione del programma di acquisti dei titoli di Stato. E i dati pessimi che arrivano dalla Germania, dove l’inflazione cosiddetta “core”, ossia depurata dalle spese per l’energia, è scesa all’1%, fanno pensare che i prossimi mesi saranno ancora difficili per l’eurozona. Costringeranno Lagarde a mettersi subito l’elmetto che Draghi ha ripreso a indossare per colpa dell’economia in affanno e dello spettro deflazione. Più in generale, a giudicare dai commenti che ha fatto in questi anni della Bce, Lagarde difficilmente sarà un “falco”, piuttosto sarà pragmatica e “americana” come il suo predecessore. Insomma lontanissima dall’ortodossia monetaria della Bundesbank e dei nordici. Ma anche dell’altro presidente francese della Bce, Jean-Claude Trichet, percepito unanimemente come molto “tedesco”.
Chi la conosce bene scommette su tre qualità di Lagarde che potrebbero rivelarsi importanti nei prossimi anni. Quando prese il timone del Fmi, lo scandalo sessuale del suo predecessore, Dominique Strauss-Kahn, aveva devastato l’istituzione. Grazie a una straordinaria capacità politica, Lagarde è riuscita velocemente a voltare pagina. Il Fmi aveva già cominciato a rivedere le “ricette” per ristrutturare i Paesi con Strauss-Kahn, abbandonando il dogma neoliberista. Ma lei ha fatto di più: si è scusata. Per l’austerità eccessiva imposta alla Grecia, per non aver capito che la globalizzazione aveva danneggiato la classe media, e i suoi economisti hanno rivisto il modo di calcolare gli effetti dell’austerità sulle economie. E via riformando. Anche nella metodologia Lagarde voltò pagina: mentre “Dsk” si consultava con pochi eletti, lei ha istituito riunioni settimanali con i dipartimenti e ha cercato il dialogo con ogni angolo del Fmi. In un’istituzione dove la collegialità è importante come la Bce, una qualità essenziale. Infine, lo riconoscono tutti, Lagarde ha spiccate qualità comunicative, altro tratto essenziale per chi lavora con effetti enormi sui mercati.