ItaliaOggi, 4 luglio 2019
In Veneto arrivano i medici in affitto
Gli esterofili lo chiamano outsourcing. In italiano: esternalizzazione, ovvero le imprese ricorrono ad altre imprese, spesso sotto forma di coop, per lo svolgimento di alcune fasi del proprio processo produttivo e dei propri servizi. Si può ricomprendere in questa categoria anche il lavoro in affitto: l’impresa chiede a un’altra società uno o più lavoratori per un certo periodo di tempo (può anche chiamarli direttamente). In genere questa modalità è utilizzata da aziende manifatturiere ma ora cade un tabù: il servizio sanitario nazionale affitta i medici. Di fronte alla carenza di sanitari pubblici si procede all’esternalizzazione e arrivano i sanitari a tempo. Mosche cocchiere sono le aziende sanitarie del Veneto. Per esempio la numero 6 Euganea ha deciso di esternalizzare due Pronto soccorso, quello di Cittadella e quello di Piove di Sacco (Padova). Qui stanno arrivando i medici in affitto per far fronte alla carenza d’organico e consentire di non chiudere i servizi.L’azienda sanitaria assicura che «sono state intraprese tutte le possibili vie per garantire nell’immediato l’erogazione dei servizi di emergenza, compreso il ricorso a professionisti di altri reparti degli ospedali che volontariamente potevano dare disponibilità per i poli di Pronto soccorso. Fino ad ora nessuno ha risposto positivamente, essendo tutti i medici contattati già impegnati nell’attività di gestione dei propri reparti». Di qui la decisione di esternalizzare, da oggi, i Pronto soccorso che saranno gestiti fino al 31 agosto dalla coop Castel Monte Onlus, che riceverà 39mila euro. La decisione non è stata digerita dall’Anaao, il sindacato dei medici, che ha annunciato un ricorso al tribunale amministrativo. Non sarà che con questo batti e ribatti ci rimetterà (come al solito) il povero malato?
Comunque medici e azienda sanitaria sono sul piede di guerra. Dice il segretario veneto dell’Anaao, Adriano Benazzato: «Con tali procedure illecite il Pronto soccorso va verso lo sfascio. La presenza di «medici coop», come vengono definiti negli ordini di servizio, non garantisce la sicurezza delle cure. La selezione dei candidati è inesistente, nessuno li conosce, non è garantita la lucidità sul lavoro in base ai riposi, chi può sapere se il medico coop che inizia il turno notturno non abbia già lavorato tutto il giorno altrove?».
L’azienda sanitaria non è intenzionata a recedere. Mancano 15 medici e non si trovano. E poi sottolinea di essere in buona compagnia, ormai molti Pronto soccorso in Veneto, alla chetichella, sono stati dati in outsourcing e la lista è piuttosto lunga: Rovigo, Malcesine, Lido di Venezia, Bibbione, Caorle, Adria, Trecenta.
Con buona pace dell’Anaao, nessuno si presenta ai concorsi. Morale: o si chiudono i Pronto soccorso o si affittano i medici. Il Veneto ha deciso di andare in questa direzione senza indugi tanto che a San Bonifacio (Verona) anche per la rianimazione ci si affida a una coop. E l’Anaao infuriata chiosa: «Un pezzo alla volta avremo gli ospedali pubblici gestiti dalle coop coi medici in affitto, tanti auguri ai malati». Ma allora che fare? Secondo il sindacato bisogna intervenire sull’imbuto formativo e raddoppiare le borse di specializzazione medica, inoltre andrebbe realizzata una seria programmazione all’accesso della professione.
I ministri della Sanità e dell’Istruzione che si sono succeduti sembra abbiano dormito. C’è anche un bisticcio interno al mondo sanitario, tra primari (che storcono il naso sull’utilizzo degli specializzandi) e l’Anaao (che invece è favorevole. Dice Carlo Palermo, segretario nazionale Anaao-Assomed: «I baroni universitari alzano le barricate contro ogni tentativo di cambiare un sistema di formazione medica post laurea del cui fallimento sono i principali responsabili.
Risultato: medici presi in affitto come un bilocale, a gettone come un jukebox, precettati, richiamati come ’riservisti’, medici stranieri reclutati a Timisoara ma scarsamente allettati dai nostri magri stipendi, mentre in omaggio a «prima gli italiani» i nostri giovani sono i primi ad andare via dopo che i contribuenti italiani hanno pagato fior di tasse per la loro formazione».
Insomma l’iniziativa delle aziende sanitarie del Veneto solleva il coperchio sulla pentola in ebollizione del servizio sanitario nazionale. Mancherebbero 8 mila medici, destinati ad aumentare per effetto dei pensionamenti anche in seguito a Quota 100. Secondo Fimmg (Federazione medici di medicina generale) al 2028 saranno andati in pensione 33.392 medici di base e 47.284 medici ospedalieri, per un totale di 80.676. Se nulla cambia ne arriveranno solo la metà. Dice Palermo: «L’attuale sistema delle scuole di specializzazione in medicina non garantirà un numero sufficiente di specialisti per il prossimo futuro: oggi, infatti, i posti resi disponibili per le scuole di specializzazione sono complessivamente circa 6.500 l’anno, ma secondo le nostre stime ne sarebbero necessari almeno 8.500».
Prima tra le specializzazioni che si troveranno maggiormente sguarnite è pediatria: di qui al 2025 andranno in pensione 6.127 pediatri. Al secondo posto anestesia e rianimazione (5.671 pensionandi), poi medicina d’urgenza (5.662), medicina interna (3.857), chirurgia generale (3.452), ecc.
Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione Europea, sostiene che la preoccupazione verso l’ondata dei prossimi pensionamenti dei medici italiani è giustificata. L’Italia ha i medici più vecchi d’Europa, con il 54% del totale che ha dai 55 anni in su (il primato della gioventù del personale medico va a Malta, dove oltre il 43% ha meno di 35 anni).
Per quanto riguarda i medici di base, le borse per il corso di formazione messe a disposizione sono oggi circa 1.100 l’anno. Se il numero non cambierà ad essere rimpiazzati al 2028 saranno non più di 11mila medici, a fronte dei circa 34.000 necessari. Chissà che ognuno di noi non dovrà prendere in affitto il suo medico di famiglia.