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 2019  luglio 03 Mercoledì calendario

Il suicidio di Liliana che distrusse Totò

La sera del 12 dicembre 1929. Al Teatro Nuovo di Napoli sta per andare in scena Totò. Salvatore Rubino, segretario e servo di scena di De Curtis, lo avvicina mentre si sta truccando nel camerino, informandolo che in un palco è seduta Liliana Castagnola, una sciantosa genovese di 35 anni dal fisico sensuale, avviata al declino della sua carriera, con un passato di femme fatale. Che ha vissuto, fino a quel momento, in bilico tra pettegolezzi e cronaca nera. Per lei due marinai (uno rimasto gravemente ferito) in Francia duellano davanti alla sua promessa «Battetevi a duello, il vincitore mi avrà», che le costa l’espulsione dal paese. In Italia, mentre sta facendo il bagno, viene ferita da un costruttore milanese che le spara due colpi di pistola. Uno la colpisce di striscio, provocandole una cicatrice che nasconderà con una pettinatura a caschetto. La scheggia dell’altro invece rimane incapsulata nella volta cranica, provocandole continue emicranie mitigate con tranquillanti e sonniferi. L’uomo, convinto di averla uccisa, si suicida disperato. All’ospedale, un patrizio genovese la va a trovare e si innamora perdutamente di lei. Le compera una villa dove poter guarire, sperperando quattro milioni, fino a quando la famiglia non lo costringe a lasciarla. Lei si consola con il romano Rossellini che finisce, secondo le cronache, per dilapidare la sua fortuna. I giornali la definiscono «una bambola irrequieta, tormentata da forze inique e misteriose, condannata ad essere amata senza calma, né limiti, da uomini privi d’equilibrio». Totò scosta il sipario per sbirciarla e ne rimane folgorato, infischiandosene della sua cattiva fama. De Curtis, quella sera, recita per lei, continuando a fissarla. Il giorno successivo nella pensione degli artisti Ida Rosa, dove alloggia la cantante, arriva un grande mazzo di rose e un biglietto. «È con il profumo di queste rose che vi esprimo tutta la mia profonda ammirazione. Antonio». Lei, che sa come farsi corteggiare, gli manda subito la risposta: «Signor Antonio De Curtis, Vi ringrazio, gentile signore, delle belle rose che ho gradito con molto piacere. Intanto suppongo non vi dimentichiate che, dopo un certo numero di giorni, queste meravigliose rose appassiranno. Che fare per contraccambiarvi? Sabato, al Santa Lucia, canterò per voi le mie migliori canzoni. Liliana Castagnola». Il 21, ecco un’altra missiva: «Caro Antonio, Intanto, perché ci si possa salutare, all’ora in cui più vi piace, telefonatemi. Ho piacere di sentirvi. Come potevate farlo ieri sera, dopo la vostra conversazione telefonica, cosi potete venire a conversare con me, ed anche questo quando vi piaccia. Sappiate che in me, per voi, nulla è cambiato. Lunedì andrò dal fotografo per potervi offrire una mia fotografia». Lo scambio di galanterie va avanti per qualche tempo, tra gentilezze, visite reciproche a teatro, fino a quando Totò va a trovarla nella sua stanza. Lei si avvicina per donargli la foto promessa, con abito di scena vaporoso e la dedica: «Totò, un tuo bacio è tutto». È l’inizio della loro passione. Lei, soprattutto, la vive in maniera intensa. Alla sua età, dopo aver sedotto molti uomini, vorrebbe accasarsi definitivamente con il suo Antonio. Che però ha idee diverse. Lei è gelosa, insicura. «Antonio, dopo mezz’ora da quando te ne sei andato, mi hanno chiesta al telefono e mi è stato detto così: Voi credete che Totò si sia recato a casa sua? Vi illudete!. Ed hanno troncato la comunicazione, senza che io abbia avuto il tempo di chiedere altre informazioni. Che debbo fare? Come vivere così? Perché dici che mi ami, quando invece non mi sei che un nemico? Io ti voglio bene, Antonio, e non sai come il cuore e la mia mente soffrano! Debbo credere alla telefonata? Vivo in orgasmo. Lilia». Dopo qualche settimana Totò prova a rompere la relazione dopo una scenata di gelosia. Preoccupata per il suo Antonio, Nannina Clemente, mamma dell’attore, manda il marchese Giuseppe De Curtis per convincere la Castagnola a rompere. Liliana, offesa, scrive: «Spero che si sia trattato di uno sbaglio, fosse vero capirete che io non posso assoggettarmi a questo». Da notare il voi, usato da Liliana, quando è arrabbiata. Totò all’apice della carriera non può farsi condizionare da litigi e scenate. Vuole lasciare Napoli per Padova, lei gli scrive: «Lavoriamo insieme. Tu sarai il mio maestro e direttore del nostro lavoro. Non ti lascerò mai, perché ti voglio bene, perché tu sei un uomo di ardimento, pieno di entusiasmo per il bello e per il lavoro. Puoi darmi qualche speranza? Puoi incominciare a darmi la felicità? Ti amo. Lilia». È disperata. Non lo vuole perdere, ma lui non vuole saperne di portarsi dietro l’amante. Capendo che ormai il rapporto è alla fine Liliana fa un’ultima telefonata disperata al Teatro Nuovo, ma lui è freddo, distaccato. «Domani parti. Già tu domani parti. Vai a Padova e io? Parto anch’io». Le chiede un bacio, ma Totò chiude la comunicazione. Nella notte tra il 2 e 3 marzo 1930, non potendo sopportare quell’addio, si veste con l’abito più elegante, si trucca, scioglie un intero tubetto di sonniferi nell’acqua, si sdraia sul letto e scrive l’ultimo messaggio al suo Totò: «Antonio, potrai servire a mia sorella Gina tutta la roba che lascio in questa pensione. Meglio che se la goda Gina, anziché chi mai m’ha voluto bene. Perché non sei voluto venire a salutarmi per l’ultima volta? Scortese omaccio! Mi hai fatto felice o infelice? Non so. In questo momento mi trema la mano. Ah, se mi fossi vicino! Mi salveresti, è vero? Lilia tua». La morte tarda ad arrivare e la donna fa in tempo a scrivere le ultime righe per il suo amato: «Antonio, sono calma come non mai. Grazie del sorriso che hai saputo dare alla mia vita grigia e disgraziata. Non guarderò più nessuno. Te lo avevo giurato e mantengo. Stasera, rientrando, un gattaccio nero mi è passato dinnanzi. E ora, mentre scrivo, un altro gatto nero, giù nella strada, miagola in continuazione. Che stupida coincidenza è vero?». L’indomani, avvisato, Totò corre da lei. Alla vista del cadavere stramazza per terra, privo di sensi. Raccoglie poi un fazzoletto intriso di rimmel, con il quale probabilmente lei si era asciugata le lacrime in attesa della morte e le taglia una ciocca di capelli, da conservare, singhiozzando: «Liliana, Liliana mia, perché non ti ho creduta, perché ho infranto così il tuo grande amore?». Sceglie, per lei, una delle tombe nella cappella di famiglia dei principi De Curtis, al cimitero di Poggioreale, riservandosi la tomba accanto: «Un giorno torneremo a essere insieme». A Liliana dedica una poesia: «È morta, se n’ ghiuta ’n paraviso!. Pecché nun porto ’o llutto? Nun è cosa rispongo ’a gente e faccio ’o pizzo a riso, ma dinto ’o core è tutto n’ata cosa!» E deciderà di chiamare sua figlia, proprio Liliana, in memoria del suo tormentato amore con la bella cantante.