la Repubblica, 3 luglio 2019
La nuova Guerra Fredda negli abissi
Losharik era un cartone animato molto popolare nell’Unione Sovietica: un cavalluccio giocattolo composto da tante sfere. Un’idea grafica degli anni Settanta trasformata dagli ingegneri dell’allora Leningrado nel progetto di un sottomarino straordinario, capace di scendere ad almeno mille metri di profondità. In quell’abisso la pressione è enorme, così tutti gli apparati del battello – incluso il propulsore nucleare – sono stati costruiti all’interno di sette sfere di titanio. È nata così una delle armi più potenti e segrete dell’arsenale moscovita: un’eredità della Guerra Fredda, tornata a essere protagonista dei conflitti del presente e del futuro.
La missione del Losharik – che i russi chiamano in codice AS-12 e la Nato Norsub-5 – è quella di dominare i cavi sottomarini: le reti che un tempo convogliavano le linee telefoniche e che oggi sono il sistema nervoso del mondo digitale globalizzato. Fasci di fibre ottiche che attraversano gli oceani trasferendo miliardi di dati, dalle email alle telefonate fino alle comunicazioni militari: tutto passa attraverso queste condotte posate sui fondali, senza le quali l’universalità del web non potrebbe esistere. E chi le controlla – intercettandole, manipolandole o distruggendole – può diventare il padrone della Rete.
La costruzione del Losharik è cominciata nel 1988 ma si è interrotta con la fine dell’Urss. Quando Vladimir Putin è arrivato alla guida della Russia ha subito rilanciato gli investimenti bellici. Con una strategia chiara: poiché le risorse erano limitate, bisognava puntare sugli strumenti in grado di strappare la supremazia nel confronto con l’Occidente. Una declinazione del concetto di “guerra asimmetrica”, lo stesso principio adottato dai miliziani islamici in Afghanistan e Iraq, ma declinato in chiave altamente tecnologica. I sottomarini degli abissi sono così diventati prioritari: mezzi in grado di azzerare le comunicazioni del pianeta. Il Losharik è stato completato ed è entrato in servizio nel 2003. Negli anni successivi, giganteschi sottomarini nucleari Delta III, lunghi più di 150 metri e nati per tirare missili intercontinentali, sono stati modificati in “battelli madre” per trasferire il “Cavalluccio a sfere” attraverso i mari.
In quel periodo l’attenzione dell’America era tutta concentrata sulla guerra al terrorismo fondamentalista e la crescita della flotta sottomarina per azioni speciali voluta da Mosca è stata sottovalutata. Poi le “spedizioni di esplorazione geologica” – la copertura per le missioni degli incursori degli abissi – si sono intensificate, con sortite pure nel Mediterraneo, e il Pentagono ha compreso quanto grave fosse la minaccia. Il contrammiraglio Andrew Lennon, vice comandante delle forze navali della Nato, ha dichiarato: «Assistiamo a un’attività russa in prossimità dei cavi sottomarini senza precedenti». Solo nello scorso aprile un rapporto della Nato ha lanciato l’allarme: «Bisogna ricostruire le capacità di contrasto e prepararci per il futuro». E Sir Stuart Peach, ex comandante in capo delle forze britanniche ora alla guida dell’Alleanza atlantica, ha sottolineato: «La vulnerabilità dei cavi che attraversano i fondali mette in pericolo il nostro modo di vita». Un problema, quindi, non solo militare ma molto più esteso: senza quei cavi, rischia di scomparire la nostra società.
Correre ai ripari non è semplice. Negli ultimi venti anni i paesi della Nato, soprattutto quelli europei, hanno smantellato le flotte sottomarine e le navi anti-sommergibile: tutti sistemi costosissimi. Mentre i russi sono andati avanti e si ritiene che abbiano una dozzina di battelli capaci di scendere sui cavi. Grazie ai propulsori nucleari, possono restare in immersione per mesi anche sotto la calotta polare, sfuggendo a gran parte degli apparati di sorveglianza. E non temono rivali. Il Losharik arriva a mille metri: il migliore dei sottomarini occidentali – l’U-212 acquistato pure dall’Italia – tocca al massimo i 250 metri e persino gli Ohio statunitensi hanno prestazioni simili. Tanto che in Occidente adesso si pensa di utilizzare i droni come guardiani dei cavi: guerrieri robot contro l’ultimo orgoglio della flotta sovietica.