3 luglio 2019
Biografia di Christine Lagarde
Anais Ginori, la Repubblica 3/7
Il soffitto di vetro non esiste, almeno non per lei. Christine Lagarde si appresta a rompere per l’ennesima volta quell’invisibile tetto che impedirebbe alle donne di arrivare in poltrone di spicco, storicamente occupate da uomini. Arrivata alla guida dello studio legale americano Baker McKenzie, poi diventata ministra dell’Economia nel pieno della crisi finanziaria, Lagarde è stata chiamata alla testa del Fondo monetario internazionale dopo l’arresto per tentato stupro di Dominique Strauss-Khan. E ora sarà la prima donna presidente della Bce.
Campionessa di nuoto, vegetariana, riconoscibile per la sua chioma bianca e i completini Chanel, Lagarde ha costruito una carriera quasi unica nel mondo della politica e della finanza internazionale. Madre di due figli, si è risposata con l’uomo d’affari francese Xavier Giocanti che l’ha seguita nella sua vita a Washington. Il trasferimento a Francoforte per sostituire Mario Draghi è atteso in autunno. Lagarde, 63 anni, ha deciso intanto di sospendersi già da ieri dall’incarico al Fmi dov’è stata apprezzata per aver sollevato anche tematiche sociali, riconfermata per un secondo mandato che sarebbe dovuto finire nel 2021.
«Sono onorata di essere stata nominata per la presidenza della Bce» è stata la sua breve dichiarazione dopo l’annuncio uscito dalla riunione dei capi di Stato e di governo. Lagarde entra in quota di Emmanuel Macron, ma non era la prima scelta del leader francese che aveva predestinato come suo candidato l’attuale governatore della Banque de France, François Villerau de Galhau. Alla fine la regola della parità ha giocato in favore di Lagarde che ha ottimi rapporti con Angela Merkel con la quale si ritrova regolarmente nelle classifiche delle donne più potenti del mondo. E negli equilibri di posizioni il suo arrivo al posto di Draghi è stato caldeggiato anche dal governo Conte per poter mandare un italiano nel board della Bce.
A convincere Macron pare sia stato anche Nicolas Sarkozy che quando era all’Eliseo aveva lanciato in politica l’allora avvocata d’affari, nominandola al ministero dell’Economia. Durante la sua permanenza al governo, tra il 2007 e il 2011, Lagarde ha affrontato la crisi finanziaria in Europa mentre al Fmi si è occupata del salvataggio della Grecia. Insomma, anche se qualcuno storce il naso perché per la Bce non è stato scelto un banchiere, ha imparato a conoscere dall’interno la complessa macchina dell’eurozona. Qualche giorno fa, l’Eliseo ha postato sul profilo Twitter un video del G20 di Osaka in cui Macron parla con Lagarde e Theresa May mentre la giovane Ivanka Trump tenta goffamente di inserirsi nel discorso. Lo sguardo di Lagarde non ha bisogno di sottotesto.
Dotata di autoironia, come quando ha ricordato di essere stata bocciata due volte all’esame di ingresso nella prestigiosa Ena, si è sempre battuta per le donne e ha rivendicato una forma di femminismo come quando disse che se al posto dei Lehman Brothers ci fossero state delle “sisters” si sarebbe evitata la crisi dei subprime. Abituata al successo, ha avuto un percorso in continua ascesa con una sola, unica ombra, ovvero l’inchiesta sul maxi risarcimento versato dallo Stato a Bernard Tapie. È stata Lagarde, infatti, da ministro dell’Economia, nel luglio 2008, ad affidare a un arbitrato extragiudiziale l’ultima parola sul contenzioso tra il discusso imprenditore francese e l’ente pubblico incaricato di gestire la liquidazione del Crédit Lyonnais relativo alla cessione di Adidas. Nel 2016 i giudici francesi l’hanno dichiarata colpevole di “negligenza” senza però applicare la pena. Dicono lei l’abbia vissuta come un’umiliazione, anche perché si è sempre dichiarata innocente. Molti pensavano che questo precedente le avrebbe sbarrato le porte per un eventuale ritorno in patria. Ma Super Christine, ancora una volta, ha spiazzato tutti.
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Danilo Taino, Corriere della Sera 3/7
Christine Lagarde, nominata ieri dai leader dei Paesi della Ue alla presidenza della Banca centrale europea dal prossimo 1° novembre, è una superstar del circuito dei grandi civil servant della globalizzazione. Non è un’economista, la sua carriera parte da avvocato sui temi della concorrenza. Non ha esperienza diretta di politica monetaria. Ma porta con sé il fascino della seria mediatrice di potere unito a quello di una francese di mondo, raffinata, sorriso da classe dirigente. Non che Mario Draghi, del quale prenderà il posto, avesse meno fascino. Era però difficile trovare chi lo sostituisse dopo otto anni di guida incomparabile della Bce. Serviva un leader. Forse ne è stata trovata una.
Lagarde non è destinata a essere amata dalle forze anti-globalizzazione. Se c’è un simbolo dell’economia mondiale senza frontiere, questo è il Fondo monetario internazionale del quale è stata fino a ieri, dal 2011, managing director, cioè il boss. Ma non solo. Da anni, è una delle presenze forti, più ricercate, del World Economic Forum di Davos, sia quando interviene, nel suo ottimo inglese solo un po’ addolcito dall’origine francese, nelle sale dei dibattiti, sia quando è l’attrazione dei party serali, sia quando abbraccia un cane San Bernardo sulle nevi della cittadina delle Alpi.
Se c’è una donna (o un uomo) che ha contatti a 360 gradi nel mondo, che è rispettata, che ha leadership senza essere arrogante, questa è Lagarde. In Europa come in Asia, in Africa come in America, anche se le sue qualità non è detto siano necessariamente le preferite di Donald Trump.
Nata a Parigi da una famiglia di accademici il primo giorno del 1956, Christine Madeleine Odette Lallouette, poi sposata Lagarde (ora è divorziata), si è laureata in Diritto del Lavoro e Sociale e in Inglese, ha studiato anche in America — dove per un certo periodo è stata assistente di un congressman repubblicano a Washington — ma non è riuscita a entrare alla École Nationale d’Administration, la famosa Ena levatrice di quasi tutti i grandi di Francia. Nel frattempo gareggiava nella nazionale francese di nuoto sincronizzato. E sviluppava la sua tendenza vegetariana, oggi giunta a piena maturità (anche poco alcol, pare). Poi la carriera da avvocato, poco importa la bocciatura all’Ena, nel grande studio internazionale americano Baker & McKenzie, del quale scala i vertici. Fino a quando la politica non chiama.
Di tendenze politiche di centrodestra, nel 2005 diventa ministro del Commercio a Parigi e poi sale, nel gabinetto del premier François Fillon, a ministro dell’Economia e delle Finanze, la prima donna a guidare un dicastero di quella rilevanza. Da lì, affronterà la crisi finanziaria del 2008 e quella del debito europeo del 2010. Poi, nel 2011, il volo negli Stati Uniti, alla guida di un Fondo monetario in piena fase di cambiamento dopo gli anni del cosiddetto Washington Consensus che sosteneva nell’intero mondo le virtù dei bilanci pubblici in ordine. Anni turbolenti, non solo per i confronti tra diverse tendenze in merito ai modi di intervenire nelle economie ma anche per l’emergere, non facile da accomodare, della Cina e per la crisi greca nella quale l’Fmi è intervenuto con grandi risorse, attirando anche forti critiche dai Paesi non europei.
Non ha esperienza di banche centrali. Questo è un limite. A Francoforte, però, troverà un team tra i più preparati, in testa l’irlandese Philip Lane appena arrivato nel board della Banca centrale europea, un economista e banchiere centrale tra i più apprezzati e rispettati. Non solo. Dal 1° novembre, quando prenderà il posto di Draghi, avrà la strada già tracciata, per quel che riguarda le scelte di politica monetaria, dal suo predecessore che, con le dichiarazioni recenti e con le azioni che prenderà nei prossimi quattro mesi, sta creando la cornice di stimolo all’economia per i prossimi anni, dalla quale sarà molto difficile distaccarsi per chiunque.
D’altra parte, le sue opinioni non sono molto diverse da quelle del predecessore Draghi. «Loose money», denaro facile, può andare bene, se viene dalle banche centrali nei momenti di crisi. Ma i bilanci pubblici, vanno tenuti sotto controllo, «tight», usa dire. Continuità, a Francoforte.
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Il Post 3/7
Quando lo scorso settembre il Financial Times le chiese se fosse interessata a diventare la nuova presidente della Banca Centrale Europea, la direttrice del Fondo Monetario Internazionale Christine Lagarde rispose in maniera molto chiara: «No, no, no, no, no». Meno di un anno dopo, i capi di stato e di governo europei hanno ufficialmente nominato Lagarde a candidata presidente della BCE. Ci vorrà ancora del tempo per formalizzare e poi ultimare la nomina, ma al momento appare quasi sicuro che il prossimo 31 ottobre Lagarde sostituirà Mario Draghi alla guida della Banca Centrale Europea.
Le prime reazioni alla candidatura di Lagarde sono state in generale di apprezzamento (per molti era importante soprattutto che non venisse scelto l’attuale capo della banca centrale tedesca, Jens Weidmann). In molti sono comunque rimasti sorpresi dalla sua nomina: nessuno nei mesi scorsi aveva contemplato seriamente l’idea che Lagarde potesse essere scelta per guidare la BCE, un ruolo fino a oggi riservato ad esperti economisti che avessero già guidato la banca centrale del loro paese.
Questo punto è anche quello che ha attirato la maggior parte delle osservazioni critiche: Lagarde non ha esperienza di politica monetaria (è laureata in Giurisprudenza) ed è considerata una figura politica (è stata più volte ministro in Francia) e non tecnica. Questo, secondo i critici, rischia di avere un’influenza negativa sulla tradizionale indipendenza assoluta della BCE dal potere politico.
Lagarde sarebbe anche la prima donna a diventare presidente della BCE, così come è stata la prima donna a essere nominata direttrice del Fondo Monetario Internazionale nel 2011 e, nel 2007, la prima donna a essere nominata ministro delle Finanze in uno dei paesi del G8 (che nel 2014 è diventato G7 in seguito all’espulsione della Russia).
Nata a Parigi nel 1956 in una famiglia di accademici, da giovane Lagarde fece parte della nazionale francese di nuoto sincronizzato («Mi ha insegnato a digrignare i denti e sorridere», ha detto in un’intervista). Dopo un periodo di studi negli Stati Uniti ha iniziato a lavorare per lo studio legale internazionale Baker & McKenzie, di cui nel 1999 è divenuta presidente.
La sua carriera politica è iniziata nel 2005, quando venne scelta dal presidente francese Jaques Chirac come ministro del Commercio, per poi essere promossa due anni dopo al ruolo di ministro dell’Economia, in seguito alla vittoria alle presidenziali del candidato di centrodestra Nicolas Sarkozy. Pochi anni dopo lo stesso Sarkozy sostenne con forza la sua nomina a direttrice del FMI, in sostituzione del dimissionario Dominique Strauss-Kahn. Lagarde ottenne l’incarico nel 2011 e ha ottenuto un rinnovo nel 2016 (il suo mandato scadrà nel 2021).
Nel 2013 la sua abitazione di Parigi venne perquisita dalla polizia nel corso di un’indagine sull’imprenditore francese Bernard Tapie, che aveva ottenuto 400 milioni di euro grazie a un arbitraggio autorizzato da Lagarde quando era ministra dell’Economia. Il tribunale impose a Tapie di restituire il denaro ottenuto e condannò Lagarde per negligenza, anche se preferì non imporle alcuna punizione.
Durante la perquisizione la polizia trovò anche delle lettere senza data, ma risalenti probabilmente al 2007, che arrivarono poi al giornale Le Monde che le pubblicò. Nelle lettere, indirizzate all’allora candidato presidente Sarkozy, Lagarde professava la sua ammirazione e lealtà nei suoi confronti, gli chiedeva di farle da mentore e sostenitore e prometteva di aiutarlo senza chiedergli nulla in cambio.
Il periodo di Lagarde al Fondo Monetario Internazionale è coinciso con il momento più grave della recessione globale e della crisi dei paesi che adottano l’euro: l’FMI è stato coinvolto in una misura senza precedenti nelle complesse procedure di intervento in Grecia. In generale, tra i creditori del paese, l’FMI è spesso stato considerato tra i meno severi e più comprensivi, almeno se paragonato alla BCE e agli altri paesi europei.
Seguendo i consigli dei suoi “uomini sul campo”, Lagarde ha sempre insistito affinché la Grecia adottasse profonde e severe misure di austerità (all’inizio della crisi disse che per i greci era arrivata “la resa dei conti”, un’espressione che suscitò moltissime polemiche e che in qualche misura si rimangiò), ma lavorando con altrettanta forza affinché al paese venisse concessa una riduzione del debito a cui gli europei, primi tra tutti i tedeschi, erano fermamente contrari.
Lagarde viene descritta come una figura tutto sommato positiva persino dall’ex ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis, un uomo estremamente critico con l’establishment europeo. Proprio una battuta di Lagarde a proposito della necessità di avere “adulti nella stanza” dà il titolo al libro nel quale Varoufakis racconta dall’interno la crisi finanziaria del suo paese.
La testimonianza di Varoufakis ricorda che Lagarde ha dimostrato di avere un grande talento politico e l’abilità di raggiungere compromessi e farsi ben volere anche dai suoi avversari, come Varoufakis. Nelle scelte di orientamento economico ha sempre dato molto ascolto ai suoi consiglieri, come il capo economista del Fondo fino al 2015 Olivier Blanchard, uno dei primi ad ammettere che l’FMI aveva sottovalutato l’impatto dell’austerità sui paesi in crisi. Negli anni in cui è stata in carica, l’FMI è stata una delle poche istituzioni a mettere in discussione e rivedere le strategie adottate nel corso della crisi.
Anche se proviene politicamente dal centrodestra, Lagarde non appartiene ai cosiddetti “falchi”, la corrente più conservatrice: non è una sostenitrice della disciplina fiscale e monetaria a tutti i costi e ha dimostrato di essere politicamente molto flessibile. Nel suo ruolo di direttrice dell’FMI ha spesso consigliato ai banchieri centrali di adottare misure espansive per sostenere la crescita economica, ed è entrata in polemica con il governo tedesco affermando che la Germania avrebbe dovuto spendere di più per pareggiare il suo enorme surplus commerciale.
Viste queste sue posizioni, la maggior parte degli osservatori si aspetta che alla BCE Lagarde si appoggerà molto agli economisti della Banca e ai banchieri centrali che formano la maggioranza del consiglio esecutivo, quasi tutti di orientamento progressista (le “colombe”, come vengono definiti nel gergo delle banche centrali). Così facendo, Lagarde probabilmente finirà con il proseguire le politiche espansive del suo predecessore Mario Draghi: tagli dei tassi di interesse e, se necessario, un nuovo programma di acquisto di obbligazioni e titoli di stato come il Quantitative Easing.
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A.Ger., Il Sole 24 Ore 3/7
Sarebbe stato bello entrare nei pensieri di Christine Lagarde, quando al G20 di Osaka la figlia di Donald Trump, Ivanka, ha fatto irruzione nel colloquio che il direttore dell’Fmi stava avendo con il presidente francese Emmanuel Macron e altri. Il video ha fatto il giro del mondo, in particolare l’espressione di sufficienza (e fastidio) che la francese ha riservato alla giovane americana. In quello sguardo si misura la distanza tra due culture e due competenze. Eppure Christine Lagarde gli Stati Uniti li conosce bene avendoci vissuto e lavorato per anni come avvocato d’affari, dal 1999 presidente del consiglio d’Amministrazione della law firm Backer & McKenzie a Chicago. Nata nel 1956 a Parigi, laureata in legge, è stata la prima donna ad essere nominata, nel 2011, direttore del Fondo monetario internazionale in sostituzione di Dominique Strauss Kahn, travolto da un clamoroso scandalo sessuale.
Il suo nome alla guida della Bce è sorprendente. Non ha competenze particolari di politica monetaria, ma negli anni al Fondo ha sviluppato una notevole capacità nella gestione delle crisi: il salvataggio della Grecia e più recentemente il più consistente pacchetto d’aiuti mai offerto a un Paese, quello da 57 miliardi di dollari all’Argentina. Elegante, ex campionessa nazionale di nuoto sincronizzato, fa parte della famiglia politica dei neogollisti ed è stata ministro con il presidente Jacques Chirac (Commercio Estero) e con il presidente Nicolas Sarkozy (Economia).
È un personaggio di calibro internazionale e chi difende la sua candidatura alla guida della Banca centrale europea non è preoccupato dalla dimensione politica del personaggio. La cassetta degli attrezzi anti-crisi è già pronta ed è stata adeguatamente potenziata da Mario Draghi
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Maria Latella, Il Messaggero 3/7
Che cosa significherà avere due donne nei posti chiave dell’Europa, la presidenza della Commissione europea e la presidenza della Bce? Troppo presto per dirlo, anche se le prime reazioni, almeno in Italia, non sono positive. «Christine Lagarde alla Bce penserà prima di tutto alla Francia. Se saremo in scia bene. Se no peggio per noi», riflette un economista. «Timmermans per l’Italia sarebbe stato un amico. È romanista e adora il nostro Paese. Che errore avergli preferito la von der Leyen», si dispera un ex ministro del governo Gentiloni.
Se questa è l’accoglienza della politica, vediamo di farci un’idea di come sono le due nuovissime potentissime. Intanto, umanamente, che tipi sono? Se è vero che le donne stabiliscono una particolare e sia pure effimera intimità quando si incontrano (o si accompagnano) a lavarsi le mani, ecco un dettaglio che rivela un tratto comune, e gentile, delle due non malleabili signore.
Ho conosciuto Christine Lagarde in una toilette dello stade de France, a Parigi. Il comune amico René Carron, allora presidente del Credite Agricole, ci aveva appena presentato mentre stavamo seguendo i mondiali di rugby. Tutte e due avemmo poi la stessa esigenza e ci ritrovammo davanti a uno specchio a lavarci le mani e ridere della nostra scarsa conoscenza del rugby. Ci siamo viste qualche altra volta, ma quel primo informale contatto resta anche il più vero.
Bizzarramente, un giro in toilette è anche l’episodio che ricorda Roberta Pinotti, ex ministro della Difesa e dunque a lungo collega di Ursula von der Leyen: «Ci incontravamo spesso, nelle riunioni della Nato e in Europa, ma di lei mi ha colpito la gentilezza con la quale, nel primo bilaterale Germania- Italia, a Berlino, volle personalmente accompagnarmi alla toilette. Mi aspettò pure in corridoio».
Un uomo non vi racconterebbe mai di incontri alla toilette per darvi l’idea di cosa c’è dietro un personaggio. Ma è anche lì che le donne capiscono di che pasta è fatta un’ altra rappresentante della specie.
Gentile e formale la tedesca. Divertente e provvista di un humour affilato la francese. «Nella sua vita professionale ci sono uomini che le hanno fatto le scarpe senza meritarlo?» hanno chiesto alla presidente del Fmi in una recente intervista ad Elle. «Sì, ma non sono durati molto», ha risposto lei beffarda.
Stessa generazione, Christine Lagarde del 1956, Ursula von der Leyen del 1958. Identico e stretto rapporto con gli Stati Uniti, Lagarde vi è arrivata da studentesaa e vi è tornata da avvocato prima e da presidente del Fmi poi. Von der Leyen ha studiato a Stanford e affinato e rafforzato la relazione negli anni in cui, da ministro della Difesa, aveva più riunioni con la Nato che con i colleghi cristiano democratici. Le due nuove potenti sulla scena internazionale sono simili e insieme molto diverse. Intensi occhi azzurri la tedesca, portamento da indossatrice la francese, hanno in comune un’educazione severa. Aristocratica e figlia del presidente della Bassa Sassonia, Ursula von der Leyen è stata allevata secondo i principi della religione evangelica. Figlia di un professore d’inglese morto quando lei ancora studiava al liceo, Christine Lagarde ha avuto un’adolescenza meno privilegiata. Da ragazza ha anche venduto pesce al mercato per pagarsi gli studi.
Sono donne della loro generazione, convinte di poter avere tutto, famiglia e carriera. Famiglia numerosa, sette figli e sempre lo stesso marito, il medico professor von der Leyen la tedesca Ursula. «Senza di lui non potrei fare il ministro - mi disse quando, anni fa, la intervistai per Skytg24 nel suo ufficio al ministero del Lavoro, a Berlino - Abbiamo una vita organizzata, lui sta con i ragazzi , io nel fine settimana torno a casa. Non viaggio mai il sabato e la domenica. Salvo sia indispensabile».
Come per Angela Merkel, anche per Ursula la figura di un partner che ti sostiene nel percorso senza entrare in competizione è stata la chiave di una carriera di successo. Per Lagarde a un primo matrimonio concluso da un divorzio è seguito il magnifico rapporto col secondo marito: «Mi trova sublime anche se ho più di cinquant’anni». Massimo simbolo di adesione all’establishment, Lagarde ha un figlio che non lavora in finanza: gestisce un ristorante. L altro è architetto. È anche già fieramente nonna.
Che cosa altro hanno in comune? Si tengono in forma con esercizio e autocontrollo, sono più amate fuori dai loro Paesi che in Francia e Germania. Sono rispettate. Scelte diverse? Molte. Sulla comunicazione per esempio. Lagarde la usa con abilità. Sa di essere una role model per molte donne e da sempre parla in pubblico della parità di genere, sua la dichiarazione dopo il 2008: «Se Lehman Brothers fosse stata Lehman Sisters forse sarebbe andata diversamente». Ad Atene, la Troika, cioè anche lei, non è stata particolarmente popolare, ma Lagarde è comunque riuscita a difendere brillantemente la sua immagine.
Da ministra della Famiglia Ursula von der Leyen ha fatto molto per le sue connazionali, ma l’ha raccontato meno. D’altra parte è tedesca e non francese, e questo spiega molto. Andranno d’accordo? Molto probabilmente sì. Sarà un asse franco-tedesco dall’aria più cosmopolita ed elegante, ma franco-tedesco sarà. Sospira un economista: «Noi italiani le votiamo per evitare la procedura d’infrazione, ma a ottobre, incassato il voto, ce la rifileranno lo stesso».
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Nicola Borzi, il Fatto Quotidiano 4/7
Martedì prossimo, 9 luglio, sarà un giorno decisivo per l’ascesa di Christine Lagarde da direttrice generale del Fondo monetario internazionale a presidente della Banca centrale europea. I giudici di Parigi decideranno se condannare a tre anni (metà pena sospesa) Stéphane Richard, amministratore delegato del gigante delle tlc francesi Orange, per il suo ruolo nello scandalo Tapie. Richard era il capo dello staff di Lagarde quando la futura presidente della Bce era ministro delle Finanze d’Oltralpe e decise un arbitraggio che versò al controverso finanziere un risarcimento pubblico da 404 milioni. Per Tapie l’accusa chiede cinque anni.
Bernard Tapie, classe ’43, è un imprenditore da sempre legato alla politica: prima socialista, parlamentare e ministro con François Mitterrand, poi amico e sostenitore del presidente di destra Nicolas Sarkozy. Presidente del club calcistico Olympique Marsiglia che ha portato sulla vetta d’Europa nel 1993, Tapie s’è fatto otto mesi di carcere per aver comprato una partita. Ma adesso rischia ben più grosso e, con lui, molti altri.
Nel ’90 Tapie compra l’80% della tedesca Adidas, tra i leader mondiali negli articoli sportivi, grazie a fondi erogati dalle banche, tra cui l’istituto pubblico Crédit Lyonnais. Ma nel 1993, alle strette per i troppi debiti, Tapie chiede al Lyonnais di vendere Adidas. Poi contesta la vendita, sostenendo che gli è stato riconosciuto un prezzo troppo basso. Nel 1994 la sua holding non ripaga i debiti e il Lyonnais escute i pegni sulle sue attività. Nel 1995 Tapie fallisce.
Il finanziere sembra finito, ma nel 2007 riprende quota quando appoggia Nicolas Sarkozy, candidato della destra, alle elezioni presidenziali. Con Sarkozy presidente, la Lagarde è ministro delle Finanze (aveva già fatto parte dei governi de Villepin da giugno 2005, sotto la presidenza Chirac, al commercio estero e poi all’agricoltura) e istituisce un collegio arbitrale “indipendente” sul caso Tapie. Nel 2008 gli arbitri stabiliscono che il finanziere deve essere risarcito dal governo, perché nel frattempo il Crédit Lyonnais è scomparso. Lagarde spiega che lo Stato pagherà a Tapie tra 30 e 50 milioni. Ma a settembre 2010 emerge che il risarcimento pagato è stato molto più alto, 403 milioni, di cui una quarantina per “danni morali”. Nel 2013 Tapie viene arrestato per 96 ore con l’accusa di “truffa in associazione a delinquere”: emerge che uno degli arbitri ha avuto quattro rapporti di lavoro con il suo avvocato e che un altro è stato dirigente dello stesso partito in cui militava il finanziere. La Lagarde, interrogata come “testimone assistita”, cerca di difendersi sostenendo che la sua firma su alcuni documenti sia stata falsificata ma c’è un suo biglietto indirizzato a “Nicolas” con scritto “usami come vuoi”.
Il 5 luglio 2011 Lagarde viene nominata undicesimo direttore generale del Fondo monetario internazionale, ma ad agosto 2014 è sotto inchiesta a Parigi per il caso Tapie. A dicembre 2015 una sentenza d’appello stabilisce che il finanziere deve rimborsare i 404 milioni. Esattamente un anno dopo Lagarde, riconfermata a capo del Fmi, viene condannata dal tribunale dei ministri per “negligenza” per non aver impedito il pagamento. A far insospettire la Corte è il fatto che da ministro, ed esperta legale di controversie finanziarie, non tentò alcun ricorso dopo l’assegnazione dei fondi. Non viene però punita, evitando un anno di carcere e 15mila euro di multa.
A maggio 2017 Tapie perde definitivamente la guerra legale quando la Cassazione francese stabilisce che deve rimborsare i 403 milioni non essendo stato frodato dal Lyonnais. Ad aprile scorso, infine, l’accusa chiede le condanne di Richard e Tapie per lo scandalo Adidas. Come tante paia di sneakers, i grand commis di Parigi e il futuro capo della Bce sono ai piedi dei giudici.
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Roberta Amoruso, il Messaggero 4/7
La rotta è un po’ quella tracciata da Mario Draghi. Quella del nuovo Quantitative easing e della politica super-accomodante. I segnali chiari che arrivano dall’economia Ue, tra crescita fiacca e inflazione ben sotto gli obiettivi, non chiedono certo di creare un nuovo manuale di politica monetaria al nuovo presidente della Bce. Nè tantomeno richiedono una lunga esperienza alle spalle da esperta di politica monetaria o governatore di una banca centrale che Christine Lagarde in effetti non ha. Per questo ci penserà i brillante staff di tecnici. La sorpresa Lagarde ha però una carta certa da giocare nei suoi 8 anni di mandato, un profilo da policy maker e tutto il carisma necessario per creare il consenso. Qualcosa di prezioso che nelle curve non dolci che potrebbe avere il suo mandato porterà i suoi frutti nell’Europa dei mercati. Una visione che mette d’accordo un po’ tutti, a poche ore dalle nomine Ue, banchieri d’affari, economisti e uomini dei mercati internazionali. Ma anche chi come Andrea Montanino, da ex direttore esecutivo del Fmi per l’Italia e altri Paesi dell’Europa meridionale, ha conosciuto bene tutta la determinazione di Lagarde. «Peserà eccome una figura così magnetica nel nuovo corso della Bce», per il direttore del centro studi di Confindustria, «peserà la sua capacità di portare dalla sua parte anche le posizioni più lontane e conterà quell’inclinazione particolare a parlare con i politici e a trattare con tutti», quando porterà sui tavoli internazionali i temi della crescita e delle riforme fiscali e strutturali necessarie per l’Ue. Sarà più colomba che falco? Chi la conosce bene dice che certe etichette hanno poco a che fare con la flessibilità politica dimostrata dal presidente dell’Fmi. Certamente Lagarde non appartiene alla corrente più conservatrice, non è una sostenitrice della disciplina fiscale e monetaria a tutti i costi, e si spinse in un endorsement preciso a Draghi all’indomani del lancio del maxi-piano di acquisto di titoli pubblici Ue nel 2015. Ma dopo aver impostato la rotta in continuità con Draghi, è certo che sarà la voce di lady Fmi, più che un cambio di rotta, a rafforzare la credibilità della Bce.
LA SFIDA DELLA CREDIBILITÀ
L’impressione, per Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte sim, è che Lagarde può «riuscire a costruire un consenso ampio per implementare» certe misure, «in particolare un eventuale nuovo round di Qe sfruttando le modifiche sul tavolo all’impalcatura giuridica delle precedenti versioni, al fine di allargarne il raggio di azione oltre che l’ammontare». Almeno nel breve periodo nessun cambio di aspettativa nemmeno per Alessandro Tarello, gestore obbligazionario di Columbia Threadneedle Investments: «Ci aspettiamo un insieme di misure accomodanti, tra cui un taglio al tasso sui depositi presso la banca centrale e un nuovo Qe entro fine anno». Per il resto, sarà un mandato che avrà il focus su «temi come l’unione fiscale e bancaria, lasciando al capo economista, Philip Lane, la parte più tecnica di politica monetaria» in continuità con la linea Draghi. Una linea garantita anche dall’affiancamento - una conferma- di tecnici come il direttore delle operazioni di mercato Benoit Coeurè.
Del resto, potrebbe essere l’esperienza in dote sui temi fiscali maturata anche da ministro delle Finanze francese, oltre che la dimestichezza a muoversi nei contesti di crisi, spiega Marco Piersimoni, senior investment Manager di Pictet Asset Management, a fare la differenza. «A capo di una delle poche istituzioni europee in cui la sintesi politica funziona potrà avere un peso importante», fa notare.
Gli ostacoli non saranno pochi, però. Anzi. Si tratterà di accreditare la politica della Bce, sia verso i paesi della zona euro sia verso gli investitori globali, oltre che di impostarla», dice Dave Lafferty di Natixis Investments. E certe capacità negoziali dovranno mettercela tutta nel «sostenere le riforme fiscali e strutturali in tutto il continente, in un contesto in cui gli strumenti monetari hanno perso gran parte della loro efficacia».Chissà, però, se tante doti basteranno, si chiede Mark Haefele, di Ubs GlobalWealth Management, «a rendere l’Europa una terra più attrattiva per gli investitori». Visto da Morgan Stanley, poco, anzi pochissimo cambierà nella rotta di Francoforte. La conferma arriverà dal lancio del nuovo Quantitative easing, dicono gli esperti. E allora si comprenderanno meglio, aggiungono, anche le dichiarazioni, da colomba di Lagarde degli ultimi mesi. Nient’altro che una conferma del sostegno esplicito già dato al famoso what ever it takes di Draghi. Anche i mercati l’anno presa così.
Basta guardare il calo dell’euro e la discesa a picco degli spread nell’Eurozona, a partire dallo spread Btp/Bund arrivato ieri sotto quota 200. Non succedeva da maggio del 2018.
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Isabella Bufacchi, Il Sole 24 Ore 4/7
Emmanuel Macron sembra non l’abbia sostenuta un granché inizialmente, soprattutto non la voleva alla presidenza della Commissione europea per il timore che lo avrebbe messo in ombra. In Germania e in Olanda non è amatissima, perché attraverso l’Fmi ha spesso criticato gli enormi surplus della bilancia commerciale dove mancano adeguati investimenti pubblici in infrastrutture. Ma non sta simpatica neanche ai Paesi europei con alto debito pubblico, perchè li pungola continuamente a riparare il tetto quando splende il sole, fare le riforme strutturali e mettere fieno in cascina, per evitare di trovarsi senza spazi di manovra quando piove: il rainy day fund, che tanto vigorosamente ha sponsorizzato anche con discorsi a Berlino, non si è fatto. Solo questo basterebbe a spiegare come Christine Lagarde sia arrivata alla presidenza della Bce, giovane istituzione che, con i tre presidenti che ha avuto nei suoi primi venti anni - compreso il francese Jean-Claude Trichet -, si è costruita un’ottima reputazione basata sull’indipendenza e garantita da una sana distanza dalle sfere politiche.
Se non è stato questo, della Lagarde, non è stato neanche il know-how che le manca da supertecnica esperta di politica monetaria ed economica a farla approdare in Bce. Erediterà da Mario Draghi, quando inizierà il suo nuovo incarico il primo novembre, una Bce impegnata sul fronte di un’inflazione che stenta a convergere verso il target di medio termine su livelli inferiori ma prossimi al 2% e con un rallentamento economico in corso più lungo e più pesante del previsto che, se le incertezze su vari fronti dovessero perdurare, potrebbe trasformarsi in recessione. Le sfide che richiederebbero un banchiere centrale navigato non mancheranno alla Lagarde, anche se potrà permettersi per un po’ il pilota automatico: una politica monetaria ampiamente accomodante è in corso, con forward guidance che al momento mantiene i tassi sui livelli attuali fino almeno alla prima metà del 2020 (per il mercato potrebbero essere tagliati entro settembre scendendo sotto il -0,40% delle deposit facilities); i fattori mitiganti per le banche sono già stati presi in esame ; la terza serie di TLTRO è stata già avviata; il programma di acquisti netti di asset è pronto a ripartire con la possibilità in prospettiva di estendere la gamma dei titoli acquistabili; le OMT del whatever it takes, sia pur mai usate finora, restano il bazooka deterrente nel cassetto; e Philip Lane è arrivato da poco nel Board come nuovo capoeconomista di alto standing (si veda articolo sotto).
I mercati, e in buona parte anche i politici che hanno nominato Christine Lagarde alla presidenza della Bce, si aspettano da lei che prosegua sul solco tracciato da Mario Draghi, dunque che porti avanti la politica ultraaccomodante finché sarà necessario e che sia creativa il giusto se la cassetta degli attrezzi dovesse richiedere l’aggiunta di strumenti non convenzionali.
Ma la sfida più grande per l’ex-direttore generale dell’Fmi sarà forse un’altra: far crescere di più la Bce in peso e standing, andare insomma oltre la già forte eredità dei suoi precedessori e soprattutto quella di Draghi, con il quale i rapporti sono buoni e basati su stima reciproca e con il quale potrebbe rimanere in contatto dal primo novembre. La Lagarde ha cambiato profondamente il Fondo, nei suoi otto anni di direzione, lo ha rilanciato dopo la fine traumatica della presidenza di Dominique Strauss-Kahn, ne ha elevata l’immagine a livello mondiale. E questo non solo perchè, come le è stato riconosciuto in più occasione, è una brava comunicatrice. Perchè ha preso decisioni forti, esercitando con equilibrio leadership e team work. Così, sotto la direzione Lagarde, l’FMI nel 2015 è riuscito infine a portare a termine una riforma impostata nel 2010 che ha modificato le quote (al passo con i tempi facendo entrare nei primi dieci Cina e India) e quasi raddoppiato la potenza di fuoco, da circa 500 a circa 1000 miliardi di dollari (+456 miliardi). Tra il 2011 e il 2012, Lagarde, arrivata da poco, ha messo a punto 50 programmi di prestito impegnando 185 miliardi di dollari. Ha poi portato allo “0%” i tassi d’interesse applicati alle linee di credito del Fondo per i Paesi più poveri: difficile, dunque, pensare che possa rialzare i tassi prematuramente in Bce, come invece è capitato a Trichet.
In Europa il Fondo sotto la sua guida è intervenuto non solo per la Grecia ma anche in Islanda, Irlanda, Lettonia, Portogallo, Cipro e in ultimo Ucraina. Sempre spetta alla Lagarde la decisione di far entrare il renminbi nel basket delle valute per i Diritti speciali di prelievo, riconoscendo così alla Cina il ruolo che le spetta ora rispetto al 1944, anno di fondazione dell’Fmi. Ma oltre all’attività classica del Fondo, quel che forse verrà ricordato di più della legacy Lagarde è quello che ha fatto oltre lo steccato dell’istituzione: combattere la disuguaglianza, per esempio assicurandosi che nei prestiti del Fondo venga dato supporto alle classi più deboli; contrastare il cambiamento climatico (è noto il suo sostegno alla carbon tax); promuovere la parità di genere (è sua la battaglia per provare, dati e statistiche alla mano, che una maggiore partecipazione delle donne nel mercato del lavoro aumenta la produttività e la crescita); contrastare la corruzione (e in questo l’attende la matassa piena di nodi del money laudering nell’Eurozona); promuovere la spesa sociale.
Isabella Bufacchi