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 2019  luglio 03 Mercoledì calendario

Biografia di Ursula von der Leyen

Tonia Mastrobuoni, la Repubblica 3/7
Nei travagliati anni da ministro della Difesa, l’impeccabile caschetto biondo di Ursula von der Leyen ha finito per somigliare sempre di più a un elmo. Travolta da uno scandalo dopo l’altro – fucili che facevano cilecca, carrarmati ed elicotteri che si surriscaldavano o si inceppavano, consulenze esterne milionarie – “Panzeruschi” come la chiamano i suoi detrattori, ha sempre resistito con un enigmatico sorriso sulle labbra e un’incrollabile fede in sé stessa alle bordate continue dei suoi nemici. I suoi avversari si sono moltiplicati dal 2013, da quando governa la Difesa, e sono riusciti intanto a seppellire le sue aspirazioni a succedere ad Angela Merkel come cancelliera. Ma von der Leyen è l’unica ad aver sempre avuto un ministero di primo piano nei quattro governi Merkel.
Da ministra della Famiglia, tra il 2005 e il 2009, si batté come una leonessa per migliorare le condizioni delle mamme lavoratrici – categoria della quale è cintura nera, con i suoi sette figli e la carriera micidiale. Il suo coraggioso piano per la costruzione di asili nido e il congedo parentale sono stati imposti spesso attirandosi gli strali della parte più bacchettona del suo stesso partito. Da responsabile del Lavoro, nella legislatura successiva, si impose nella difesa delle donne, in particolare per l’introduzione delle quote, persino contro il parere della cancelliera. Quando ci riprovò come ministra della Difesa, chiedendo condizioni più agevoli per le soldatesse mamme, i suoi nemici bollarono l’iniziativa come “offensiva pannolino”.
Indubbiamente la seconda donna più potente della Germania è sempre stata molto meno popolare della prima – anche per errori che Merkel non commetterebbe mai. Allo scandalo sui neonazisti scovati nella Bundeswehr reagì sostenendo che il pesce, più o meno, puzzava dalla testa. E qualcuno sommessamente le fece notare che la testa della Bundeswehr era lei. Ma non è l’unico motivo per cui von der Leyen sembra attirarsi critiche spesso esagerate rispetto ai casus belli. Come tutte le superdonne che non si comportano da Pollyanna e osano adottare un linguaggio tagliente e financo aggressivo, la neo presidente della Commissione europea divide gli animi.
Nata 61 anni fa a Bruxelles, von der Leyen ha frequentato lì la scuola europea e parla fluentemente tre lingue. Uno dei suoi dettagli biografici più noti è che, tornata in Germania, ha fatto sette figli studiando nel frattempo economia e poi medicina; pare sia anche una strepitosa cavallerizza. Von der Leyen è figlia di un leggendario politico della Cdu, Ernst Albrecht, che dopo la carriera a Bruxelles divenne amministratore delegato del colosso dei biscotti Balsen e, negli anni Settanta governatore della Bassa Sassonia. E con la sua affiatatissima famiglia di origine aristocratica, l’adolescente von der Leyen registrò in quegli anni, due canzoni popolari. Una si intitolava “Lanciamoci nel bel mondo creato da Dio”.
Von der Leyen non sembrava destinata alla vita politica. Ci è arrivata tardi, dopo 40 anni, e la chiave del suo successo è stata anche la fedeltà alla cancelliera, di cui ha sempre sostenuto anche le contestate scelte sui profughi. Imponendo la sua ex delfina a Bruxelles, Merkel ha preso uno stormo di piccioni con una fava. Perché ha proposto una donna, perché von der Leyen è un’europeista di provata fede, perché le sarà sempre molto più fedele di quanto mai avrebbe potuto esserle qualcun altro o, neanche a parlarne, un Jens Weidmann presidente dell’istituzione europea più allergica a intrusioni esterne come la Bce. Perché a Berlino si libera una casella, quella di ministro della Difesa, che aveva infragilito persino il governo causa dei continui scandali che avevano colpito la titolare. Probabilmente, non è stata scelta in quanto icona gay; anche se al Pride di Berlino, regolarmente, le dedicano canzoni.

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Paolo Valentino, Corriere della Sera 3/7
Ursula von der Leyen è tornata a casa. Non tanto perché a Bruxelles la ministra della Difesa tedesca c’è nata nel 1958. Quanto perché, se il Parlamento europeo confermerà la sua nomina a presidente della Commissione, von der Leyen segue un destino di famiglia: nella capitale belga infatti, suo padre, Ernst Albrecht, fu uno dei giovani pionieri della Comunità europea del carbone e dell’acciaio, partecipò alla redazione del Trattato di Roma, divenne capo di gabinetto del primo commissario alla concorrenza e poi direttore generale.
Ursula von der Leyen è una sopravvissuta. È l’unica ministra di Angela Merkel ad aver fatto ininterrottamente parte dei suoi governi sin dal 2005. I maligni dicono che a tanta longevità abbiano contribuito anche le molte controversie che l’hanno indebolita politicamente soprattutto negli anni alla Difesa. «A Merkel — dice una fonte governativa — piace circondarsi di persone non troppo popolari o che siano nel mirino delle critiche, che non possano diventare un pericolo per lei». È un fatto che dopo una breve stagione nella quale il suo nome veniva regolarmente citato fra i possibili eredi di Merkel, al momento decisivo è scivolato nell’oblio.
Madre di sette figli, sempre perfettamente pettinata, vestita con eleganza un po’ demodé, composta anche nelle situazioni più drammatiche, mai uno scatto d’ira, von der Leyen è l’immagine della grazia e dell’autocontrollo in ogni circostanza.
Questione di lignaggio familiare aristocratico, colto e benestante. Quello suo, che la vede discendere da Johann Ludwig Knoop, industriale anseatico, imprenditore del cotone, fatto barone dallo zar Alessandro II. E quello del marito, Heyko von der Leyen, erede di una dinastia nobiliare che fatto le sue fortune con il commercio della seta, sposato nel 1986. Detto altrimenti, se c’è una persona che ha fatto la politica per passione questa è Ursula von der Leyen.
Non era scontato, anche se il padre Ernst, lasciata Bruxelles, si impegnò nella Cdu e fu per otto anni ministro-presidente della Bassa Sassonia, sconfitto solo da un certo Gerhard Schroeder nel 1990. Finiti gli studi di economia, infatti, la giovane Ursula si era laureata in Medicina, specializzandosi e lavorando da ginecologa. Uscito di scena il padre, però, von der Leyen seguì il destino familiare e continuò la tradizione: nel 2003 diventò ministra della Famiglia nel Land Niedersachsen. Ci rimase solo 2 anni. Nel 2005 Angela Merkel la chiamò a Berlino affidandole lo stesso incarico nel governo federale.
Von der Leyen diventò subito uno dei volti del corso centrista e moderato della nuova cancelliera: più asili nido, incentivi ai congedi di paternità e tante accuse di svendere i valori tradizionali della famiglia dalla destra del partito.
Nel 2009, nella coalizione Cdu-liberali, von der Leyen passò al ministero del Lavoro, battendosi senza successo per le quote rosa nei consigli di amministrazione di quel club per soli uomini che è il capitalismo renano. Nel 2013 il grande salto alla Difesa, con la missione di modernizzare la Bundeswehr dopo 25 anni di tagli continui al bilancio. Un compito rivelatosi titanico.
Sei anni dopo la Germania continua ad essere ben al di sotto del 2% del Pil, concordato in seno alla Nato per la spesa militare. Di più, la ministra è al centro di un fuoco incrociato: il Pentagono (e Trump in persona) l’accusano di spendere troppo poco, gli alleati della Spd la criticano per l’esatto contrario, dopo la decisione di aumentare di ben 4 miliardi di marchi il bilancio militare per il 2020. I generali non si fidano più di lei. I suoi tentativi di riforma non hanno risolto alcun problema. Nel frattempo, lo stato dell’esercito federale è pietoso, gli aerei non volano, le navi non prendono il mare, mancano i pezzi di ricambio, perfino gli aerei del governo sono spesso costretti a lasciare a piedi cancelliera e ministri a causa di guasti improvvisi.
Ora Ursula von der Leyen avrà la ribalta di Bruxelles. Presto per dire che tipo di presidente della Commissione sarà. Ma se i mentori insegnano qualcosa, lo stile ricorderà probabilmente quello della cancelliera: cauta, attenta al compromesso, mai sopra le righe, concreta e poco retorica. Sulla flessibilità, è lecito avanzare qualche dubbio.

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Walter Rauhe, La Stampa 3/7 
Nel mondo della grande politica Ursula von der Leyen (61 anni) è approdata solo nel 2005, quando Angela Merkel la nominò a sorpresa ministro per la Famiglia nel suo primo governo di grande coalizione. Discendente di una nota famiglia nobile dell’Ottocento, figlia dell’ex governatore cristiano-democratico della Bassa Sassonia e madre di ben sette figli, von der Leyenon der Leyen sembrava possedere allora le prerogative ideali per occupare il dicastero chiave tanto caro al conservatorismo tedesco. Ma in veste di ministro, «Ursula la mansueta» e la «fedelissima di Angela» - come veniva soprannominata all’epoca dalla yellow press - avviò una piccola rivoluzione tradendo la vecchia immagine della donna propagata da generazioni e generazioni di patriarchi della Cdu di «madri tutta casa e chiesa». 
E se dovessimo cercare un filo conduttore nella veloce carriera politica della «madre coraggio di Hannover», questo è senz’altro la sua capacità camaleontica di travolgere aspettative, luoghi comuni. Sopratutto quelli che vengono diffusi nei suoi confronti. Von der Leyen viene ritenuta come una delle fedelissime di Angela Merkel, ma al tempo stesso è sempre stata la sua principale rivale e concorrente. L’unica donna cristiano-democratica in grado di contenderle il trono di cancelliera. Ed è proprio per questo, ovvero per neutralizzarla politicamente, che sei anni fa Angela Merkel, dopo una breve parentesi alla guida del ministero del Lavoro, le affidò il delicatissimo e pericolosissimo incarico di ministro della Difesa. Ursula divenne la prima donna a guidare generali, ufficiali e le imprevedibili gerarchie (maschili) della Bundeswehr. Al contrario di molti suoi predecessori l’impavida Ursula non fu costretta a gettare la spugna dopo pochi mesi, a rassegnare le dimissioni in seguito a uno scandalo orchestrato dai suoi stessi dipendenti e sottosegretari. No. Anche al ministero della Difesa Von der Leyen avviò una piccola, grande rivoluzione e con guida ferrea e intransigente ammodernò l’esercito, lo rese più efficace e preparato per le missioni di pace internazionali, lo aprì alle reclute donne e lo rese più moderno e preparato alle sfide non solo militari classiche, ma anche a quelle digitali delle cyber wars. 
Nata nel 1958 a Ixelles in Belgio e cresciuta a Bruxelles, Von der Leyen è un’europeista per biografia e convinzione, che meglio di molti altri esponenti politici conservatori riesce a mantenere un elegante equilibrio fra l’amore per la propria patria e quello per il processo di coesione in Europa. Con la sua nomina alla successione di Jean Claude Juncker alla presidenza della commissione europea, Angela Merkel ha incassato un notevole successo diplomatico per la Germania assicurando a Bruxelles una certa continuità per quel che concerne la politica comunitaria. Sostenuta da Berlino e Parigi, Von der Leyen in veste di ministra della Difesa non ha mai temuto il confronto e lo scontro con avversari politici del calibro di Erdogan, Orban, Salvini o Trump. Noti sono i suoi stretti legami al di là dell’Atlantico e la sua fedeltà all’alleanza con gli Usa. Ma non a tutti i costi e soprattutto senza per questo trascurare il suo vero, grande sogno. Quello degli Stati Uniti d’Europa. Un’Unione basata però anche sul pieno rispetto delle regole e dei dogmi (squisitamente tedeschi) della disciplina di bilancio e di un rigore fiscale imposto a suo tempo con durezza ferrea anche ad Atene e alle altre capitali europee più spendaccione. Con lei - si mormora nei corridoi del potere - a Bruxelles potrebbe cambiare tutto, affinché non cambi nulla.

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Mario Ajello, Il Messaggero 3/7
Sforna figli (ne ha sette) e sfoggia grande determinazione. E’ più conservatrice e più rigorista (ma dice sempre che vuole smettere) della Merkel, che l’ha creata e fatta ministra dal 2005 ininterottamente, ma poi si è resa abbastanza autonoma anche da Frau Angela la neo-presidente Ue. La battuta che circola su Ursula von der Leyen, 60 anni, donna d’acciaio in un corpo minuto, è una critica al predecessore Juncker, pasticcione e dubbioso, e dice così: «Finalmente c’è un uomo alla guida dell’Europa». 
Sicuramente, dietro il volto nuovo femminile della leadership comunitaria, c’è un’operazione gattopardesca nel senso che il cambiamento è un ritorno indietro al monopolio franco-tedesco uber alles e a una scelta che più di casta o di élite o di establishment non si potrebbe immaginare. La von der Leyen, a volte ospite del club Bilderberg, ai tempi della Grexit superava anche il terribile falco Schauble. I suoi colleghi popolari in Germania presero le distanze da lei, facendo notare che i piani di salvataggio della Grecia contenevano già condizioni abbastanza dure e la von der Leyen «si deve dare una calmata». Schauble dichiarò che tenere a bada la crisi della Grecia in mezzo a colleghi come la ministra Ursula (ora alla Difesa e prima al Lavoro e alla Famiglia: a proposito: tra i 7 figli ha anche 2 gemelli) era come «attraversare con una candela accesa una stanza piena di nitroglicerina». 
Ai sovranisti dell’est lei piace (e forse a Salvini fa comodo perché con una perfetta rappresentate di quelli che lui chiama i poteri forti può sparare ancora contro la Ue) perché ne condividono il rigorismo contabile a tutto svantaggio dei Paesi mediterranei. Ma soprattutto, la donna d’acciaio - che incarna la forza ma anche una grazia signorile di derivazione familiare e di censo - è fortemente anti-Putin. Il suo atlantismo è a 24 carati (è l’ufficiale di collegamento tra Germania, Nato e Usa) e anche la sua convinzione storico-politica, da molti considerata datata e anti-storica, che il pericolo di guerra per l’Europa può venire soltanto dall’ex impero sovietico. E’ tedesca ma è nata e cresciuta a Bruxelles. Luterana osservante, figlia di un ex direttore generale della Commissione Ue, poi diventato ad della Bahlsen, gruppo famoso per i biscotti. Ha vissuto nella capitale belga fino a 13 anni, poi in Bassa Sassonia. Laureata in medicina, ha studiato anche economia, sposata con un prof di medicina, membro di una famiglia aristocratica attiva nel tessile e ad di una industria di ingegneria clinica, si è molto battuta da madre prolifica per aiutare le donne con figli che lavorano, ha imposto i congedi di paternità e varato, pur essendo politicamente conservatrice, i matrimoni gay. Inadatta a gestire il partito merkeliano, per questa ragione Frau Angela non ha scelto lei come delfina. 
GLI INCIAMPI
Ogni volta che da ministra della Difesa è arrivata in Italia stupiva i suoi partner per la conoscenza dei dossier. Ma anche per un piglio tutto teutonico - e non è questo che serve ora all’Europa, bisognosa di guardare avanti e di coinvolgere - come per esempio sulla difesa europea: «Noi procediamo su questo progetto, se gli altri ci vogliono seguire bene. Sennò, andiamo avanti lo stesso». Ecco il tipo. E’ finita nella bufera per il presunto plagio della tesi di dottorato ma l’ha superata. Così come l’affaire dei consulenti del ministero della Difesa non l’ha azzoppata. E si tratta di un dicastero che in Germania non conta molto, per ovvi motivi storici, ma lei lo ha fatto contare potenziando le forze armate e l’industria militare. 
E comunque: se l’Europa deve diventare più pop, più vicina alle genti e meno assimilabile a schemi ed eredità oligarchiche, né Ursula né la Lagarde (alla Bce) sembrano le donne più adatte all’uopo. 

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Riccardo Pelliccetti, il Giornale 3/7 
Ursula von Der Leyen è stata considerata per lungo tempo una delle candidate al titolo di «delfina» della cancelliera Angela Merkel. Dal punto di vista politico si può definire una «figlia d’arte»: suo padre, Ernst Albrecht, è stato ministro e presidente della Bassa Sassonia e un politico molto noto in Germania alla fine del Novecento.
Laureata in medicina, la von Der Leyen ha iniziato la sua carriera politica solo diciotto anni fa, quando ha ottenuto prima un mandato locale presso la regione di Hannover e poi è stata eletta deputata al Landtag della Bassa Sassonia nel febbraio 2003. Il passaggio all’esecutivo è avvenuto poco tempo dopo: il 4 marzo 2003 è diventata ministro degli Affari Sociali, delle Donne, della Famiglia e della Salute della Bassa Sassonia. Nel novembre 2005 il salto nel governo nazionale, chiamata dalla Merkel a ricoprire l’incarico di ministro della Famiglia. Durante il suo mandato ha promosso politiche sociali volte a tutelare la famiglia, a cominciare dagli asili nido, e i diritti delle madri lavoratrici. Si è sempre presentata come una sostenitrice delle quote rosa. Classe 1958, sposata con il medico e imprenditore Heiko von der Leyen, la donna oggi in corsa alla guida della Commissione europea è madre di sette figli, nati fra il 1987 e il 1999.
Nel 2009 Ursula von Der Leyen è stata confermata prima come ministro della Famiglia, poi nominata ministro del Lavoro e degli Affari Sociali in seguito alle dimissioni di Franz Josef Jung. Nel dicembre del 2013 l’ultima tappa della sua carriera politica: la nomina a ministro della Difesa, diventando la prima donna in Germania a ricoprire questo ruolo. Nel maggio del 2016, si è resa protagonista di una vera e propria inversione di strategia nella gestione delle forze armate tedesche: ha annunciato il reclutamento di migliaia di nuovi soldati nella Bundeswehr, rafforzando in particolare presenza alla frontiera con la Russia, per rassicurare i Paesi dell’est europeo, membri della Nato, che si sentivano in pericolo dopo l’annessione russa della Crimea e il conflitto nell’Ucraina orientale. Nel 2017 ha accusato i generali di «debolezza di conduzione» dell’esercito ritrovandosi così al centro di uno scontro con i vertici militari e del conseguente scandalo dopo che in alcune caserme erano stati trovati materiali appartenenti alla Wermarcht, le forze armate naziste. Alle critiche la ministra rispose con l’annuncio di una grande riforma che avrebbe garantito maggiori investimenti a favore della Difesa.


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Stefano Feltri, il Fatto Quotidiano 4/7
Cosa c’è nella testa di Ursula von der Leyen, nominata presidente della Commissione europea in attesa di conferma dall’Europarlamento? Che visione ha dell’Europa? “Vogliamo rimanere transatlantici mentre diventiamo anche più europei, vogliamo che l’Europa si faccia carico di un peso maggiore in termini di potenza militare, così da diventare più indipendente e autonoma anche all’interno della Nato”. Il 16 febbraio 2018, alla Conferenza per la Sicurezza di Monaco, il ministro della Difesa tedesco ha pronunciato un discorso sulla sua idea di Europa.
Forza militare autonoma, ma anche cooperazione per gestire le minacce e arginare l’immigrazione: “A che serve liberare una famiglia di Mosul dai terroristi solo per lasciarla morire di fame? E a che scopo aiutare un contadino in Mali a installare un sistema di irrigazione se poi viene massacrato da al Qaeda?”. Dopo l’elezione di Donald Trump, nel 2016, Ursula von der Leyen è stata tra i più espliciti in Germania nell’indicare una contrapposizione strategica inedita tra Usa e Germania: agli Stati Uniti trumpiani fa comodo un’Unione europea debole e una leadership tedesca fragile. La Von der Leyen, da parte sua, ha aumentato la spesa militare a 43 miliardi di euro annui, che resta ben al di sotto dell’obiettivo del 2 per cento del Pil per i Paesi Nato.
Dopo la nomina alla Commissione, i critici tedeschi hanno rilanciato le critiche che l’hanno accompagnata in questi mesi: nonostante gli investimenti, la situazione della Bundeswehr resta al di sotto delle sue ambizioni, c’è un’inchiesta in corso per consulenze strane e perché i lavori sulla nave da addestramento Gorch Foch sono costati dieci volte il previsto, poi le polemiche perché la ministra ha detto che nell’esercito c’è un problema di leadership.
Sui temi economici, la Von der Leyen non si è pronunciata di recente, anche se ha un passato da ministro del Lavoro e della famiglia con riforme progressiste su asilo e congedi parentali. Anche se è considerata molto vicina a Wolfgang Schäuble, il presidente del Parlamento tedesco interprete delle posizioni più oltranziste nel dibattito sull’austerità fiscale, la Von der Leyen non sembra assimilabile allo schieramento dei “falchi”. La prospettiva maturata da ministro della Difesa l’ha portata a maturare la convinzione che serva un’Europa più forte. E la spesa militare, per quanto contestata da chi preferirebbe altri investimenti, è pur sempre spesa pubblica: il progetto di una difesa europea non si può finanziare senza un approccio almeno in parte espansivo ai conti pubblici.
C’è poi un aspetto molto tedesco della questione: in patria Angela Merkel ha lasciato la guida della Cdu ad Annegret Kramp-Karrenbauer che deve gestire la concorrenza a destra dell’euroscettica Alternative für Deutschland e che ha già compromesso i suoi rapporti con Macron. Questo crea le condizioni per la Von der Leyen, indicata dall’asse Merkel-Macron, per essere inevitabilmente meno organica al dibattito interno tedesco e meno ostaggio delle ossessioni rigoriste che lo attraversano. Vedremo.

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Francesca Basso, Corriere della Sera 5/7 
La decisione di nominare alla guida della Commissione europea la popolare Ursula von der Leyen, ministra tedesca della Difesa, sta creando molti malumori al Parlamento Ue ma anche in Germania tra i socialisti della coalizione che sostiene la cancelliera Angela Merkel. Divisioni che dovranno essere ricomposte entro il 16 luglio, quando il Parlamento europeo voterà la presidente designata dal Consiglio.
Von der Leyen per diventare la numero uno della Commissione ha bisogno del voto dell’Eurocamera, che non ha apprezzato l’ingerenza dei capi di Stato e di governo nell’elezione del presidente del Parlamento Ue e la decisione di mettere da parte il sistema degli Spitzenkandidaten usato nel 2014 per la nomina di Jean-Claude Juncker alla testa dell’esecutivo europeo. Questa volta popolari e socialisti sono più deboli e infatti a Strasburgo l’alleanza è stata allargata a liberali e verdi per avere una salda maggioranza.
In Germania la Spd ha ottenuto alle urne il suo risultato peggiore, che ha avuto un riflesso anche su Strasburgo. Il tedesco Udo Bullmann, già capogruppo S&D, ha ritirato la propria candidatura alla guida dei socialdemocratici, che è andata alla spagnola Iratxe García Pérez, forte dell’appartenenza alla delegazione più numerosa. Ora la Spd sta cercando di recuperare terreno agli occhi degli elettori. Bullmann ha già dichiarato che allo stato attuale i socialisti tedeschi voteranno contro von der Leyen, ma anche gli olandesi non sarebbero a favore. In patria ad alzare il livello dello scontro ci ha pensato l’ex leader spd Sigmar Gabriel, ormai senza incarichi istituzionali, per il quale la decisione presa da Merkel di smettere di sostenere l’olandese Frans Timmermans, Spitzenkandidat dei socialisti, senza il via libera del gabinetto di governo poteva essere motivo per porre fine alla coalizione. Molto critico anche l’astro in ascesa dei giovani socialdemocratici Kevin Kühnert, leader degli Jusos. Uno dei tre commissari dell’Spd, Malu Dreyer, ha però dichiarato che Merkel si è astenuta al momento del voto al Consiglio Ue e dunque ha rispettato i patti. Schermaglie che aumentano la conflittualità all’interno della coalizione, anche se gli osservatori aspettano la verifica di dicembre sull’attuazione del programma per valutarne la tenuta.
Von der Leyen mercoledì prossimo parteciperà a Bruxelles alla conferenza dei presidenti, l’organismo del Parlamento europeo formato dai capigruppo e dal presidente. Un primo confronto prima del voto. Oltre a Bullmann, anche Ska Keller ha dichiarato che i Verdi non voteranno per von der Leyen e così il leghista Marco Zanni, che guida Identità e democrazia. Il Ppe, invece, sarà fedele all’accordo preso tra i leader Ue anche se al suo interno non mancano i mal di pancia. Leali anche i liberali di Renew Europe.

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Beda Romano, Il Sole 24 Ore 5/7
La presidente designata della Commissione europea Ursula von der Leyen ha due settimane per costruire una maggioranza nel Parlamento europeo che possa sostenerla in occasione del voto di conferma previsto a metà mese. La sua è una Charmoffensive, per usare una tipica espressione tedesca. Non per caso, in aula a Strasburgo, il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha esortato l’establishment comunitario a coinvolgere i verdi nel nuovo assetto istituzionale.
L’attuale ministra della Difesa tedesca, nominata alla guida dell’esecutivo comunitario martedì dai Ventotto, è giunta ieri qui a Bruxelles per incontrare l’attuale presidente della Commissione Jean-Claude Juncker. Quest’ultimo, che lascerà la carica il 31 ottobre, l’ha definita in modo enfatico: «Siamo lieti di accogliere a braccia aperte una vera europea. Siamo sulla stessa lunghezza d’onda quando si tratta di difendere gli interessi europei».
Per eleggere la nuova presidente c’è bisogno del sostegno dei popolari, dei socialisti, dei liberali e forse anche dei verdi. La scelta dei governi di nominare la signora von der Leyen non è piaciuta a molti, che speravano nella nomina di uno degli Spitzenkadidaten. La presidente designata dovrà ottenere almeno 376 voti (da tenere conto che il nuovo presidente dell’assemblea David Sassoli ha ottenuto più o meno 100 voti in meno rispetto a una ipotetica maggioranza popolare-socialista-liberale).
In un dibattito ieri a Strasburgo, molti deputati hanno criticato il processo decisionale, in particolare i socialisti, ma anche alcuni popolari, come lo spagnolo Esteban González Pons. Il M5S ha spiegato che deciderà se accordare la fiducia «in base al programma che presenterà al Parlamento europeo». Preoccupato da una eventuale bocciatura della signora von der Leyen, il presidente Tusk ha esortato ad accogliere i verdi nelle cariche di responsabilità al vertice dell’Unione.
«Sono certo – ha detto l’uomo politico polacco – che la cooperazione con i verdi e la loro presenza negli organi decisionali dell’Unione sarà benefica all’Europa nel suo insieme». Lo stesso presidente Tusk ha spiegato in aula che avrebbe trasmesso il messaggio alla signora von der Leyen, a cui spetta distribuire i portafogli e le vice presidenze nella futura Commissione. Dei 14 nuovi vice presidenti del Parlamento europeo, solo due sono ecologisti.
Intanto ieri su Twitter, la signora von der Leyen si è voluta esprimere in tre lingue (francese, tedesco e inglese): «Appena arrivata a Bruxelles, il primo incontro è con Jean-Claude Juncker. Voglio chiedergli consiglio, scambiare idee con tutti i gruppi parlamentari, e preparare un piano per il futuro dell’Europa». La presidente designata giungeva da Strasburgo dove mercoledì aveva incontrato i leader dei popolari e dei liberali. Verdi e socialisti li incontrerà nei prossimi giorni.