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 2019  luglio 02 Martedì calendario

Il nichilismo elettorale del Sud

L e ultime elezioni hanno confermato in maniera clamorosa la crisi tra il Sud e la politica. In molte città e in moltissimi comuni dove si è votato, hanno vinto i candidati meno interessati al bene comune. Si dice giustamente che il resto dell’Italia poco si interessa del Sud, ma forse è il caso di ricordare che questo disinteresse è dilagante proprio nel Sud. IN MOLTI PAESIhanno vinto i sindaci che suscitavano meno speranze. Si va alle urne non per trovare un governo, ma per confermare la propria sfiducia. Gli elettori hanno premiato i candidati che volavano più basso, quelli che si sono limitati a promettere di risolvere qualche problema personale, quelli che erano deliberatamente disinteressati a un modo nuovo di amministrare. I voti alla Lega sono solamente in parte legati alla retorica salviniana, in molti casi si tratta semplicemente del gusto di votare male, una sorta di nichilismo elettorale come sfogo alla frustrazione di un territorio che non offre lavoro e comincia anche a essere poco protettivo rispetto alla solitudine. I meridionali stanno perdendo rapidamente la loro radice comunitaria. Diventa difficile in questo momento immaginare che il resto d’Italia si possa occupare dei problemi meridionali. Non può accadere perché il malessere è generale e non ci sono partiti con politiche di lungo periodo. Esistono proposte politiche dell’u lt i m o minuto, calibrate sulla caccia dell’ultimo voto. Le elezioni le hanno vinte quelli che con più determinazione li hanno cercati i voti, quelli che non si sono fatti scrupolo di usare mezzi leciti e illeciti: al Sud la percezione dell’il – lecito è ampiamente facoltativa. Nei seggi si è fatto ampio uso dei telefonini per testimoniare la fedeltà ai vari nipotini di Achille Lauro. Non abbiamo un re, ma si può dire che al Sud la Repubblica è finita. Non esiste un partito monarchico, ma lo spirito della monarchia è risorto dalle sue ceneri perché qui non era mai morto del tutto. Io penso che riscattare politicamente il Mezzogiorno è un compito che non può essere affidato agli attori politici sulla scena. Bastava vedere la gente che andava a votare per avere la sensazione che certe persone sembrava fossero state scongelate solo per il voto. Ora sono tornate nel congelatore di una nuova plebe insediata dalla miseria morale prima che da quella materiale. E i piccoli monarchi che hanno vinto ora li tratteranno da sudditi, proveranno a risolvere qualche problema senza neppure immaginare di cambiare strutturalmente la situazione. La poetica è un pigro “si salvi chi può”, tanto chi si salva non è che ha molte più speranze di chi affonda. Lo chiamano Sud, ma è una sorta di palude antropologica che poco ama chi la vuole bonificare. PER FORTUNA le noti dolenti riguardano il paesaggio sociale. Quello naturale si può dire che resiste, resistono i boschi, resiste il mare. E dove la modernità fallisce c’è una naturale rimonta dell’arcaico che in qualche caso diventa anche occasione di sviluppo economico, vedi Matera. Il Sud che esce dalle urne è disperante, ma le urne non sono tutto e la qualità della vita non corrisponde agli indici economici. Nessun governo ci può salvare, la salvezza, forse, verrà dalla forza del passato più che da un presente vacuo e isterico. In fondo chi ha vinto le elezioni è già morto, dimenticato. ©