La Stampa, 2 luglio 2019
Michelangelo, un’icona gay
Firenze agli inizi del XVI secolo era la Silicon Valley dell’epoca: una città che esplodeva di idee e creatività. Alcuni dei più grandi visionari che la nostra cultura abbia mai prodotto – Michelangelo, Leonardo da Vinci, Botticelli, Filippino Lippi, Machiavelli – vissero a dieci minuti a piedi l’uno dall’altro. La città che chiamavano casa aveva molto in comune con le attuali democrazie liberali dell’Occidente. Firenze era un crogiolo di etnie e orientamenti sessuali, e la sua esistenza era minacciata da nemici interni ed esterni. Oltre i suoi confini era in agguato Cesare Borgia, un terrorista psicopatico con un talento per la pubblicità – l’Isis di quel tempo – il cui padre era il Papa più dissoluto della storia. Tra le sue mura infuriava una battaglia che riconosciamo nelle nostre guerre culturali: la lotta tra liberalismo e cristianesimo conservatore. Questa battaglia che riecheggia nei secoli fino ai giorni nostri, trovò il suo epicentro nella famiglia di Michelangelo di Ludovico Buonarroti Simoni. Michelangelo, che all’inizio del XVI secolo aveva una ventina d’anni, era il figlio secondogenito di una dinastia che pensava (a torto, a quanto risulta) di discendere dalla più alta aristocrazia. Suo padre, Ludovico, voleva che imparasse il latino e facesse carriera negli affari, per guadagnare i soldi necessari a rinverdire gli allori ormai svaniti dei Buonarroti. Suo fratello maggiore, Leo, era un monaco domenicano. I domenicani derivano il loro nome dal latino Domini canes, i cani del Signore, e a Firenze erano i brutali esecutori di una crociata anti-gay che rispecchia le leggi draconiane approvate nella nostra epoca dal sultano del Brunei. Oggi, nel Brunei, gli uomini giudicati «colpevoli» di omosessualità vengono lapidati. Nella Firenze rinascimentale l’amore per il tuo stesso sesso poteva farti finire sul rogo. Leo Buonarroti era un ardente sostenitore di tanta ferocia. Quando Michelangelo completò la sua sbalorditiva statua di David, attorno al desco famigliare devono essere nate discussioni spiacevoli. Michelangelo era stato un ribelle sin dalla prima giovinezza, quando sfidò suo padre, rifiutò di imparare il latino e accettò l’invito di Lorenzo de’ Medici a vivere a Palazzo Medici e ricevette la migliore educazione umanistica disponibile in Europa. La sua dichiarata intenzione di essere uno scultore – o uno «scalpellino», come diceva il padre – sconvolse Ludovico Buonarroti. Gli aristocratici non fanno gli scultori, non si rovinano le morbide mani da gentiluomo plasmando blocchi di marmo in forma umana. Eppure Michelangelo non solo ha insistito nel seguire i suoi sogni, ma è diventato forse il più grande scultore che la nostra civiltà abbia prodotto – e uno dei nostri più grandi pittori, poeti e architetti. Nel 2016, quando mi è stato chiesto se volevo scrivere una serie televisiva su Michelangelo, non ho detto subito di sì. Michelangelo! Sembrava una responsabilità enorme. Così sono andato a Firenze, chiedendomi se potevo farmi un’idea dell’uomo in base alle opere che aveva lasciato. Mi sono fermato nella Galleria dell’Accademia, di fronte al suo David, così splendidamente restaurato dalla fondazione Friends of Florence, e ho pensato: Chi l’ha fatto? Chi ha preso un blocco di marmo, che era rimasto fuori sotto la pioggia per 40 anni ed era stato danneggiato da un altro scultore, e l’ha trasformato in questo gigante nudo dall’aria così disinvolta? Ero incuriosito e ho intrapreso una ricerca che ha dominato la mia vita per diversi anni. Per prima cosa, mi sono immerso negli archivi. La tragedia di Michelangelo, che è diventata anche la forza che ha guidato i suoi vertiginosi successi, è che non si sentiva amato o ammirato dal padre. La madre morì quando era molto giovane e lui passò tutta la vita a dipingere, disegnare e scolpire la Pietà: il simbolo ultimo dell’amore materno che trionfa sulla morte. A trent’anni, Michelangelo si innamora di un affascinante giovane aristocratico, Tommaso de’ Cavalieri, a cui dedica alcune delle più potenti poesie d’amore mai scritte. In seguito si innamora di una donna, Vittoria Colonna, dimostrando che la sessualità umana è molto più sfumata e complessa di quanto possano suggerire le definizioni contemporanee di «omosessuale» o «eterosessuale». Essendo attratto dal proprio sesso in un’epoca in cui i «sodomiti» venivano bruciati vivi, Michelangelo si trovò di fronte a una scelta impossibile. Per sopravvivere doveva sopprimere la sua natura più profonda e accettare il giudizio del fratello maggiore. Per creare la sua grande arte doveva esprimerla in modo glorioso e senza vergogna, sfidando ogni aspettativa della famiglia. La sua scelta era tra la morte e la mediocrità. Le rifiutò entrambe. Michelangelo compì passi da gigante per l’umanità. Creò alcune tra le opere d’arte più durature che la nostra civiltà abbia prodotto. Ma per me, il suo passo più grande è stata la coraggiosa decisione di essere sé stesso.Sono cresciuto nel Sud Africa dell’apartheid, un momento e un luogo in cui non era assolutamente consigliabile essere gay. Ho frequentato una scuola privata inglese satura di bullismo omofobo. Sono stato fortunato perché essere bruciato sul rogo non era una delle opzioni agli atti, ma questa non è necessariamente una grande consolazione per un solitario ragazzo gay che sente che non potrà mai svelarsi agli altri. Che io ora viva apertamente, libero di amare chi mi piace, che sia stato sposato con un uomo per quindici anni, che il nostro matrimonio sia stato benedetto da un prete in una chiesa alla presenza della mia famiglia e dei miei più cari amici, sarebbe sembrato inimmaginabile a una persona omosessuale nel Rinascimento – e persino al mio io sedicenne. Studiando in modo sempre più approfondito Michelangelo, ho compreso che le libertà di cui io e innumerevoli altri godiamo in Occidente, libertà che sono minacciate in gran parte del mondo, sono direttamente collegate ai passi da gigante che i visionari come Michelangelo hanno fatto per tutta l’umanità. Michelangelo non ha permesso alle convenzioni dell’epoca di soffocare la sua natura più profonda. Quando si innamorò di Tommaso de’ Cavalieri, non solo scrisse per lui intense poesie erotiche, le pubblicò. Quando papa Giulio II gli chiese di dipingere il soffitto della Cappella Sistina, non solo trasformò la cappella in una delle stanze più famose della Terra, l’affrescò con venti enormi uomini nudi, di cui non si trova traccia nelle Scritture. È un gigantesco atto di sfida che risuona nei secoli e mi fa sorridere. Il fatto che alcune di queste figure continuino a indossare i drappeggi che le generazioni successive dipinsero su di loro è un’indicazione significativa di quanto la scelta di Michelangelo risulti ancora trasgressiva. Qualunque sia la nostra etnia o il nostro orientamento, quelli tra noi così fortunati da vivere nelle democrazie liberali devono la libertà di essere sé stessi a innumerevoli atti di coraggio individuale nei secoli che ci hanno preceduto. La vita e l’opera di Michelangelo rappresentano un enorme balzo in avanti per l’umanità, con un impatto che è tuttora avvertibile. — Traduzione di Carla Reschia