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 2019  luglio 02 Martedì calendario

Il problemma dell’auto connessa

La faccenda è complicata di suo e lo è ancor di più perché c’è di mezzo il pazzotico processo legislativo Ue. La possiamo riassumere così: da circa un anno è in corso una guerra tra lobby e all’interno dei governi sul futuro dell’auto connessa, tecnologia che entro pochi anni cambierà il mercato e, ovviamente, si candida a essere volano di innovazione tecnologica nonché fonte di pacchi di miliardi per costruttori e fornitori di servizi (tra cui chi gestisce il bancomat delle autostrade). Ecco, la guerra si concluderà in un modo o nell’altro giovedì 4 luglio a Helsinki, durante il meeting informale dei ministri europei della “competitività” (il nostro Sviluppo economico).
L’Italia, bizzarramente, ci arriva senza una posizione chiara, anche se potrebbe finire per essere l’ago della bilancia in uno scontro fratricida in cui, ad oggi, le più “obsolete” Volkswagen e Renault stanno vincendo su Ford, Daimler, Psa (Peugeot e altre) e l’intera industria europea delle Tlc.
Per capirci su quanto conti questa partita, un report dell’Osservatorio Autopromotec calcola in 270 miliardi il valore del mercato al 2025. Nel frattempo sono già programmati investimenti per decine di miliardi in pochi anni: ovviamente le applicazioni più ovvie riguardano la sicurezza, ma c’è anche la gestione della guida, la connessione con semafori, luci e quant’altro fino alla futuribile e forse non augurabile guida senza pilota. Un pezzo, e di rilievo vista la tradizionale funzione guida del settore automobilistico, del cosiddetto “Internet delle cose”.
Qual è il problema? Una penetrante azione di lobby, che dice molto sulla trasparenza del processo legislativo a Bruxelles, ha fatto sì che la Commissione europea violasse il principio della “neutralità tecnologica” teoricamente in vigore in Europa: in sostanza, il legislatore impone gli obiettivi, come arrivarci sta alle imprese. Sull’auto connessa, invece, un cosiddetto “regolamento delegato” dell’ottobre 2018 impone per “i sistemi di trasporto intelligente”, brutalizzando la tecnologia wi-fi su cui si muovono Volkswagen e Renault: tutti gli altri sistemi dovranno essere resi compatibili con questa.
Problema: molte case automobilistiche e tutte le aziende di Tlc stanno invece puntando sul 5G, la prossima generazione di Internet. In molti si sono chiesti perché scegliere la tecnologia più vecchia. Perché così hanno chiesto alla Commissione, su mandato delle loro maggiori aziende dell’auto, i governi tedesco e francese a ottobre: peccato che Stati Uniti e Cina, all’avanguardia nel settore, stiano progettando l’auto connessa sul 5G. Quale tecnologia usare non è una scelta minore, visto che la rete infrastrutturale su cui funzionerà va in gran parte costruita: per capirci, la Repubblica italiana ha da poco concesso le sue frequenze 5G a Telecom e altre aziende per oltre 6 miliardi di euro, però ora la Ue potrebbe spostare per legge un mercato ricchissimo su altre frequenze, quelle del wi fi. Una discreta beffa.
La decisione di Juncker e soci non è rimasta senza risposta. Reuters ha rivelato che Deutsche Telekom e Bmw hanno subito inviato una lettera al governo tedesco per chiedere di bloccare il testo; il governo francese, spinto da Psa e dai big delle Tlc, ha già cambiato idea. Il treno, però, è partito e la lobby Volkswagen & C. fa le cose per bene. Quando della materia si è occupato l’Europarlamento, ad aprile, è stato come guardare una puntata di House of cards: la commissione Trasporti ha votato contro il lock-in tecnologico della Commissione, ma poi in Aula il risultato è stato 304 voti a favore del wi-fi contro 270. Il relatore Dominque Riquet non l’ha presa bene: “La mia obiezione è stata appena respinta: nessun rispetto per la neutralità tecnologica e testimonianza dell’efficacia delle lobby”. La commissaria ai Traporti Violeta Bulc (quella con cui trattiamo sul Tav) ha invece festeggiato: secondo lei il wi-fi è una tecnologia “economica e facile da implementare”. Finito? Nient’affatto.
Nella Babele del processo legislativo europeo mancano quelli che comandano davvero, i governi: il Consiglio europeo può porre il veto agli atti proposti dalla Commissione e votati dall’Europarlamento; in questo caso serve però un’ampia maggioranza qualificata per bloccare il favore a Volkswagen. Ad oggi le squadre sono composte così: a favore ci sono solo 3 Paesi (Belgio, Austria, Polonia), per il veto si sono schierati in 9 (tra cui Francia e Spagna) ma ne servono più del doppio. Gli altri 18 Paesi sono divisi equamente tra quelli che hanno espresso “dubbi” e “preoccupazioni” legali e quelli – tra cui l’Italia – che non hanno ancora detto nulla. Se nessuno parla, vincono Volkswagen e Renault.