il Fatto Quotidiano, 2 luglio 2019
Intervista a Oliver Stone
“La Nato? È un’organizzazione pericolosa, e in Italia qualcuno se n’è accorto. Anche una politica estera comune europea non è una buona cosa: meglio posizioni indipendenti, l’olandese, la tedesca, ne sono convinto”. Parola di Oliver Stone, presidente di giuria del 65° Taormina Film Fest, terra non straniera: “Nel 2007 portai Alexander, al Teatro Greco si gelava e fu un mezzo disastro; nel 2016 sono tornato con Ukraine on Fire di Igor Lopatonok, da me prodotto; ora faccio il presidente di giuria, un privilegio”.
Mister Stone, dopodomani al Teatro Antico nel trentesimo anniversario verrà proiettato Nato il quattro luglio, il Viet-movie con Tom Cruise che le valse il suo secondo Oscar per la regia.
Il vero protagonista, Ron Kovic, è vivo e vegeto. Volli che condividesse con me i credits della sceneggiatura, anche se agli Academy Awards venimmo battuti da A spasso con Daisy – e Cruise dal Daniel Day-Lewis de Il mio piede sinistro. Lo scrissi nel 1979, Platoon nel 1976, entrambi vennero realizzati solo dieci anni più tardi: non avrei dovuto essere io a farlo, la norma è che gli sceneggiatori scrivono per altri, come mi era successo con Fuga di mezzanotte. Nessuno voleva girarli, pensavo a una maledizione, ma alla fine…
Alla fine?
Fu meglio così, quando uscirono ricordarono all’America cosa fosse stata la guerra in Vietnam: l’avevano già dimenticato. Nato il quattro luglio arrivò in sala il 20 dicembre del 1989: il Muro di Berlino era appena caduto, l’Unione Sovietica si sarebbe dissolta di lì a poco, ma proprio quel weekend invademmo Panama. C’era eccitazione, il film ne beneficiò al box office.
Qualcosa da allora è cambiato?
In tutte le guerre ci si ammazza, e per ogni morto ci sono tre, quattro o cinque feriti: Ron Kovic è sulla sedia a rotelle da 50 fottuti anni, è una delle persone più forti che conosca. Altri veterani nelle sue condizioni non hanno resistito: overdose, e l’hanno fatta finita. Dall’Iraq all’Afghanistan, gli ordigni esplosivi improvvisati (IED) hanno massacrato i soldati nei tanks: gambe polverizzate, bacini distrutti. Ma oggi la medicina è migliorata, la gente è costretta a sopravvivere. L’America, però, non sembra cambiare: non ha smesso di andare in guerra. Si sono fatti solo più furbi, le perdite richiamano proteste, casino, strazio dei parenti, sicché oggi la guerra è elettronica, ibrida, come in Iran pochi giorni fa. La nostra politica estera è un conflitto senza soluzione di continuità: chi sarà il prossimo, la Cina?
Ha intervistato Vladimir Putin per una serie documentaria nel 2017, a George Bush ha dedicato W. nel 2008: Trump lo risparmia?
Me lo chiedete tutti, in ogni Paese in cui vado, e sì, forse un film su Trump dovrei proprio farlo. Ho un’idea, ma svelarla è prematuro.
Un altro anniversario importante riguarda Natural Born Killers: l’ha girato 25 anni fa, inchiodando i media alle proprie responsabilità.
All’inizio degli anni Novanta, la copertura mediatica cambiò, si fece più sensazionalistica, violenta, drogata: si vendevano gli spazi televisivi, OJ Simpson era ovunque, perché garantiva ascolti. Ma le news non sono intrattenimento, il mondo non lo è: è una politica malsana, in America come – credo – in Europa. Mi accusarono di amare la violenza, ma quella di Natural Born Killers era volutamente ridicola, esagerata: nel finale si cantava ‘I’ve seen the future, brother, it is murder’, e oggi ci siamo arrivati, viviamo quel futuro omicida.
I social media aiutano?
Sono il prosieguo di quei media, ma hanno un lato positivo: veicolano opinioni diverse. Oggi i mezzi di comunicazione negli Usa sono come nell’Unione Sovietica, assomigliano tutti alla Pravda: il 98% dice le stesse cose, sostiene guerre e bombardamenti.
In Russia invece?
I media russi sono molto buoni perché offrono differenti prospettive. Non parlo l’italiano, purtroppo, ma so che anche da voi ci sono punti di vista diversi, per esempio sulla Nato: non si può accettare che gli Stati Uniti siano i leader di un’organizzazione che governa il mondo, capite bene quanto sia pericoloso. Contrariamente allo statuto, preme sui confini dell’Europa orientale, è già stato così in Jugoslavia e in Libia, ed è questo il suo vero fine.
A tenere banco è anche la crisi dei migranti.
Le migrazioni e le immigrazioni sono un valore perché danno diversità e ricchezza. Non si può aspettare anni per gestire legalmente il fenomeno, ma non si può neanche accelerare troppo: potrebbe diventare esplosivo.